Colore ambrato o rosso purpureo, decantato o appena imbottigliato, nettare degli dei e dell’uomo, elemento principe di convivialità e cordialità, celebrato sulle mense di tutti dalla notte dei tempi,
il vino è spesso stato raccontato in versi e in prosa da poeti e narratori. Anche il nostro
Leonardo da Vinci ne fece il protagonista di alcuni suoi brevi scritti
et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni
È il suo famoso aforisma dal quale traspare tutta la sua ammirazione per il vino. Ma il genio italiano va oltre, per lui il vino, l’uva hanno un ruolo quasi spirituale
Il vino, il divino licore dell’uva
E un genio come Leonardo, secondo voi, poteva limitarsi solo a scriverne?
Da scienziato qual era, assetato di conoscenza, curioso di scoprire e sperimentare,
Leonardo da Vinci studiava il vino, cercando di
perfezionare e approfondire le tecniche di produzione e conservazione, arrivando, più di 500 anni fa, a descrivere le migliori tecniche di vinificazione. Nei disegni dei suoi codici insegnava ai posteri come interrare l’uva perché sopravvivesse in inverno, specificava come appenderla per farla meglio appassire, oppure come sistemare il
broncone, la traversa che sostiene le vigne.
Il rapporto autentico con il vino è testimonianato anche dai tanti schizzi prodotti, primo fra tutti il celebre disegno di un grappolo d’uva appeso, seguito a ruota dalla
raffigurazione della prima barrique, sua intuizione per la vinificazione.
Ma, come si fa per le migliori notizie di cronaca, ripercorriamo brevemente i passi che hanno portato all’avvicinamento tra il genio del Rinascimento italiano e il vino.
Una curiosità spontanea quella di Leonardo per la natura e per i suoi frutti,
una predisposizione che parte da lontano e che nasce sin dalla sua fanciullezza, trascorsa tra le colline di Vinci, piccolo borgo vinicolo toscano a ridosso di Firenze, dove la famiglia da cui proveniva aveva una tradizione nella produzione del vino.
Una passione, una così alta considerazione del succo di Bacco lo porta addirittura ad
accettare del vino anche come forma di pagamento per i suoi capolavori. È il caso de
l’Adorazione dei magi, che fu in parte saldato dai frati del convento di San Donato a Scoperto con “uno barile di vino vermiglio”.
Allontanatosi dalla Corte dei Medici, Leonardo da Vinci si rifugia
a Milano, da Ludovico il Moro. Prende dimora nei pressi della Porta Vercellina, oggi nota come la
casa degli Atellani, che era la soluzione ideale per il suo soggiorno milanese: risultava assai vicino al Castello, sede della Corte di Ludovico e, nel contempo, rimaneva a pochi passi dal Convento di Santa Maria delle Grazie lì dove stava lavorando alla sua più grande commissione: il
Cenacolo.
Le Grazie si trovavano allora ai margini della città, fuori da porta Vercellina e, quindi, sostanzialmente in campagna. Sulla destra della chiesa, a poche centinaia di metri, si trovava un terreno chiamato la
Vigna grande di San Vittore. Ludovico il Moro, per remunerare i preziosi servigi del Maestro e rinforzarne i legami con la casa sforzesca, gliene fa
omaggio.
La donazione, avvenuta nel 1498, fu ufficializzata il 26 aprile dell’anno successivo, così come risulta da alcuni documenti, conservati oggi presso l’Archivio di Stato di Milano:
“Ludovicus Maria Sfortia dux Mediolani dono dedit d. Leonardi Vincio Florentino pictori celeberrimo pert. 16 pert. (pertiche) soli seu fundi ejus vineae quam ab abate seu Monasterio S. Victoris in suburbano porte Vercelline proxime acquisierat, ut eo spatio soli pro ejus arbitrio aedificare, colere hortus, et quidquid ei, vel posteris ejus, vel quibus dederit ut supra libuerit, facere ed disponere possit.
Chiudete gli occhi e provate a immaginare: Leonardo, al termine di una giornata di lavoro trascorsa tra colori, studi e pennelli, lascia il cantiere del Cenacolo, ormai quasi concluso, e va a controllare lo stato della sua vigna, così, come un “comune” (si fa per dire) lavoratore che finita la giornata va a dedicarsi al suo hobby. Qui giunto annusa l’aria della vigna, verifica lo stato delle sue coltivazioni… sogna il vino che ne potrà produrre.
Peccato che, a settembre di quello stesso anno, le truppe del re di Francia entrarono a Milano per rivendicarne il possesso, costringendo Ludovico il Moro a riparare a Innsbruck e mettersi sotto la protezione dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo.
Leonardo, così,
nel 1500, dopo il velleitario tentativo del Moro di riprendere il potere a Milano,
rientrò a Firenze, presumibilmente
senza poter realizzare il sogno di una vendemmia. Ma il genio italiano teneva così tanto a quel piccolo appezzamento di terreno destinato a vigna che, quando nel 1506 Carlo d’Amboise, luogotenente di Luigi XII, gli chiese di tornare in città per completare dei lavori, lui come condizione pose
la restituzione di quella proprietà, che gli era stata confiscata nel 1502.
E fu accontentato,
la vigna tornò a Leonardo e a lui restò fino alla sua morte, tanto che ne dispose nel suo testamento (
in che modo lo potete scoprire leggendo qui)
Ma il rapporto di Leonardo da Vinci col vino va ben oltre il suo amore per la vigna e per la coltivazione dell’uva, arrivando a stilare delle vere e proprio “regole” e tecniche di vinificazione. È del 1515 una
lettera di Leonardo al fattore del suo Podere di Fiesole che riveste un’importanza eccezionale perché è quasi un trattato viticolo ed enologico,
Questa Lettera al Fattore fu
pubblicata per la prima volta a Londra, nel 1828, da John William Brown nel volume Life of Leonardo da Vinci, volume in cui si precisa che l’originale, scritto da destra a sinistra, era stato acquistato dal Sig. Bourdillon, nel 1822, da una signora abitante nei pressi di Firenze.
Nella lettera, che è stata “tradotta”, si legge:
Da Milano a Zanobi Boni, mio Castaldo.
Li 9 de Xbre, 1515
Le ultime quattro caraffe di vino non erano come me le aspettavo e mi è dispiaciuto molto.
Le viti di Fiesole, coltivate in modo migliore, dovrebbero dare all’Italia un ottimo vino, come quello di Ser Ottaviano.
Sapete che ho già detto che bisognerebbe concimare i filari con macerie di vecchi muri demoliti che asciugano le radici e i fusti, così le foglie attraggono tutte le sostanze utili alla perfezione del grappolo.
In più, ai nostri giorni facciamo la cosa peggiore: fermentiamo il vino in vasi aperti e così l’essenza si disperde nell’aria e non rimane altro che un liquido senza sapore colorato dalle bucce e dalla polpa; e poi non si fanno i travasi come si deve e per questo viene fuori un vino intorbidito e pesante per lo stomaco.
Allora se voi e gli altri accoglieste questi ragionamenti berremmo un vino eccellente.
Che il Signore ci accompagni e vi conservi
Leonardo Da Vinci
Si indicano, pertanto, aspetti oggi dati per certi, ma all’epoca pionieristici, come l’ottimizzazione della qualità dell’uva, la concimazione della vite con sostanze basiche e la vinificazione in botti chiuse.
Conciosiacosache si voi et altri faciesti senno di tali ragioni, berremmo vino excellente
scriveva Leonardo.
E ora, tutti insieme, dedichiamo un brindisi al grande genio del Rinascimento italiano, ma ricordando sempre le sue parole
E’l vin sia temperato, poco e spesso. Non fuor di pasto, né a stomaco voto. (Cod. At. fol.195v.)
Qualche curiosità in appendice:
La Vigna di Leonardo è ora un meraviglioso giardino, detto delle Delizie, a Milano, nella Casa Atellani e tutt’ora esiste una piccola vigna plurisecolare piantata proprio da
Leonardo da Vinci.
Il
vino prodotto col metodo di Leonardo è oggi una realtà: è infatti del 15 aprile scorso la notizia che un’azienda toscana ha lavorato dal 2017 ad oggi al “
Metodo Leonardo” (oggi marchio registrato), un vero e proprio capitolato enologico, se così possiamo dire, per produrre il vino seguendo il metodo per la coltivazione dell’uva e fermentazone del vino sviluppato proprio a partire da quella lettera di Leonardo al suo Fattore di Fiesole.
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