I segreti dei Templari
Rubrica di Luigi Nardi
2° appuntamento – Massimo splendore e massima rovina
I Templari raggiunsero l’apice sotto il loro Gran Maestro Gerardo di Ridefort (1185-1191) che, con un intrigo astutamente condotto, aiutò il suo candidato preferito Guido di Lusignano a salire sul trono di Gerusalemme. Re Baldovino V era morto all’improvviso nel 1186 e quando venne eletto come suo successore, Guido fece il possibile per ringraziare il Gran Maestro. Il cronista Ernoul riferisce che “il re non osava contraddirlo perché lo amava e lo temeva, poiché gli era stato maestro”. Ma il sostegno di Gerardo non era stato disinteressato. Con la nomina di Guido, egli aveva ora la possibilità di pilotare la politica del regno quasi a suo piacimento, e la sete di potere lo condusse a usare la sua influenza solo per provocare danni. Giunto in Terrasanta come crociato nel 1170, provenendo dalle Fiandre, Gerardo trascorse un periodo al servizio di un principe, successivamente divenne Maresciallo del Regno di Gerusalemme e, più tardi, si ammalò gravemente. Venne curato in una casa dell’Ordine, alla quale aderì una volta guarito. La sua fu una carriera rapida: già nel 1183 era Siniscalco e nel 1185 il consiglio lo elesse Gran Maestro. Deve probabilmente aver avuto una condotta arrogante perché i cronisti lo descrivono come un avventuriero e uno smargiasso, la cui spavalderia rasentava la pazzia. Per lo storico Demurger la malattia per cui Gerardo si curò presso i Templari aveva a che fare con la sifilide, da cui a quel tempo difficilmente si guariva e che, come ultimo stadio, portava alla follia. Ma resta il fatto che Gerardo, già all’inizio del suo periodo in Terrasanta, aveva dimostrato una sinistra inclinazione alla pazzia. Terrasanta dove i Templari eressero la propria sede nella moschea di al-Aqsa. Per trasformarla nel quartier generale dell’ordine furono eseguiti diversi lavori e ipotesi vogliono che durante tali opere venissero scoperte numerose ricchezze entrata a far parte del leggendario tesoro dei cavalieri. Nei sotterranei della moschea si dice fu rinvenuto il patrimonio che gli Ebrei avrebbero nascosto nel II secolo d.C. per sottrarlo ai Romani: l’Arca dell’Alleanza, la tavola del pane che si trovava nel tempio di Salomone, le Tavole delle Leggi di Mosè, o ancora la Sacra Sindone e il Santo Graal. Si sa di certo che ai Templari era stato affidato il Lignum Crucis, i resti della Vera Croce, trovati nel IV secolo dall’imperatrice Elena, madre di Costantino. La Croce andò perduta in seguito alla conquista musulmana di Gerusalemme, per riapparire una seconda volta dopo la presa cristiana della stessa città. Infine, scomparve definitivamente nel 1187, quando i crociati vennero sconfitti da Saladino sui Corni di Hattin. A proposito del 1187 e di Saladino: all’inizio di quell’anno in Terrasanta regnava una relativa pace, e Cristiani e Siriani si attenevano alla tregua stipulata due anni prima. Fu allora che Rinaldo di Chatillon, il signore cristiano della Transgiordania, attaccò a sorpresa una numerosa carovana di Musulmani. Saladino, che nel frattempo aveva riunito nelle sue mani Siria ed Egitto, pretese soddisfazione e indisse una Guerra Santa contro i Cristiani: la vasta risposta alla chiamata confluì nell’assedio della città di Tiberiade. Gerusalemme reagì a sua volta, spogliando fortezze e città di ogni loro combattente e radunando un esercito vicino alle sorgenti di Saffurya, a una giornata di marcia da Tiberiade. Il principe Raimondo di Tripoli consigliò ostinatamente la sosta in una zona ricca d’acqua per offrire alla cavalleria, sotto il cocente sole di luglio, un adeguato rifornimento, sperando inoltre che, con il tempo, l’armata Musulmana mostrasse segni di rottura. La maggior parte dei principi cristiani seguì il suggerimento, ad eccezione di Gerardo di Ridefort: egli odiava profondamente Raimondo per motivi personali e persuase Guido di Lusignano a dirigersi subito verso Tiberiade. Il 3 luglio il re di Gerusalemme sferrò l’attacco. Il grosso delle forze si trovò sotto il tiro degli arcieri a cavallo di Saladino e l’armata di Guido fu costretta ritirarsi. Trovò rifugio alla calura nella sorgente di Kafr Hattin, a metà strada per Tiberiade. Il giorno seguente, i musulmani ripeterono l’agguato: nessuno scontro diretto, ma frecce scagliate da una lunga distanza. Ancora i Cristiani scapparono, questa volta sui Corni di Hattin, la catena montuosa sulla quale aveva trovato posto l’accampamento di Guido. La cavalleria, senza alcuna protezione, venne massacrata. Dei 30.000 Crociati circa la metà cadde, l’altra, di cui facevano parte Guido di Lusignano e il Gran Maestro, venne fatta prigioniera. Tutti i 230 Templari furono giustiziati. Saladino risparmiò Gerardo perché riteneva potesse essergli utile, tanto utile che le malelingue sostennero che Gerardo, durante la segregazione, si fosse convertito all’Islam. Dopo il trionfo dei Corni di Hattin, come detto, Saladino conquistò facilmente la sguarnita Gerusalemme e più volte esortò Gerardo affinché convincesse i difensori ad arrendersi per evitare spargimenti di sangue. In quel momento i Templari dimostrarono per la prima volta segni di cedimento: contravvenendo alla disciplina della loro Regola, si rassegnarono a una resa pacifica abbandonando tre loro fortezze, inclusa quella strategicamente importante di Gaza, a sud del regno. Nel dicembre del 1187 con una mossa astuta Saladino liberò Gerardo e Guido: la cristianità ricevette indietro i suoi capi che si erano dimostrati incapaci e si divise in due fazioni, una delle quali riteneva responsabili della sconfitta il re e il Gran Maestro. È lecito, alla luce di tutto ciò, l’interrogativo riguardo i motivi che avevano spinto il Consiglio a eleggere come Maestro un candidato tanto inadatto come Gerardo. Anche l’ordine dei Templari, alla stregua di tutte le più grandi organizzazioni, non si presentava come un blocco unico. Secondo lo storico e scrittore Martin Bauer nel tardo XII secolo era presumibilmente suddiviso in due diversi gruppi: i realisti e gli idealisti. I realisti, per lo più Fratelli che vivevano da molto tempo in Oriente, erano informati sulle forze limitate dell’ordine ed erano pronti a compromessi con i Musulmani, quando potevano essere utili alla causa dei Cristiani. Gli idealisti, appena arrivati dall’Occidente, ritenevano questi compromessi un tradimento, scegliendo spesso metodi bellicosi per risolvere le questioni. Odo di Saint Armand, fiero e battagliero, era per questi ultimi il maestro ideale, guidava i suoi uomini in ogni combattimento e infiammava a tal punto le sue truppe da portarle avventatamente alla rovina. Alla sua morte, nel 1185, i pochi Fratelli superstiti scelsero un realista, Arnoldo di Torroje, sotto la cui conduzione vennero acquisite nuove forze dall’Occidente. Quando anche Arnoldo morì il Consiglio era formato da giovani “teste calde” appena giunte in Terrasanta, che diedero con entusiasmo il loro voto allo spavaldo Gerardo di Ridefort. Con la nomina di quest’ultimo il destino fece il suo corso. La severa disciplina dei Templari proibiva qualsiasi discussione in merito agli ordini del Gran Maestro, il quale influenzava in modo decisivo la politica della confraternita. Bisogna ricordare, infatti, che la Regola non si era mai espressa in modo del tutto chiaro sulle competenze del Maestro, quindi un leader sufficientemente arrogante avrebbe potuto ignorare le scelte del Consiglio e seguire i propri impulsi. Bauer cita l’affermazione di un capo della setta degli Assassini: non valeva la pena assassinare un Maestro dei Templari perché i Fratelli ne avrebbero semplicemente eletto un altro che, in modo del tutto analogo, ne avrebbe portato avanti la politica. Tuttavia questa valutazione non è del tutto corretta. Innanzitutto, nella seconda metà del XII secolo, l’ordine sotto diversi capi cambiò costantemente la strategia bellica passando dalla lotta alla pace e non ebbe mai una politica prevedibile. A causa della severa gerarchia e dell’obbedienza incondizionata, il Consiglio altro non era che il braccio allungato del Gran Maestro nel bene e nel male e l’ordine si alternava di conseguenza tra successi e rovine. Dopo la disfatta del 1187 i Templari toccarono per la prima volta il fondo: la maggior parte dei cavalieri era morta e Gerusalemme perduta, e pochi sopravvissuti trincerati in desolate fortezze. Un’autentica crisi sottolineata, come ricorda Hartwig Sippel (http://www.humanist.de/kultur/literatur/religion/sippel.html), perfino da un cronista musulmano, tale Ibn Shddad, che ebbe a dire: “Prima non si era udito nulla di simile”.