— Glorificemus — sussurrò la voce. Un numero esiguo di monaci indugiava ancora negli stalli dello scriptorium. Il tramonto era calato da poco, facendo sprofondare nel buio l’ampia sala e già all’esterno apparivano le prime timide stelle. La luce sottile delle candele rompeva a tratti le tenebre svelando nei suoi guizzi l’austera imponenza del luogo. Due file di colonne lo attraversavano, reggendo gli aguzzi costoloni che si innervavano nel soffitto e la teoria di finestre altissime che gli cingeva corona. Un leggio troneggiava al centro, dominando i banchi posti sotto le finestre e gli scaffali addossati alle pareti colmi di preziosi codici; una fitta selva di coste in pelle brunita e di legature d’oro si levava a baluardo contro l’oblio degli uomini. Metalli preziosi e avori si alternavano a stoffe e pelli, in file che correvano parallele nel vasto ambiente; lo sfarzo degli smalti e delle gemme non eclissava tuttavia la bellezza del cuoio sbalzato a secco, con fregi e figure o irrobustito da borchie, cantonali e fermagli. L’odore delle antiche carte, mescolato a quello molto più sottile del silenzio, avvolgeva lo scriptorium. Un’invisibile moltiplicazione di spazi, secondo calcoli sapienti, aveva prodotto quella proporzione tra quanto stava in piano e quanto in alto, che lo distingueva in ogni sua parte senza mai cedere nell’aspetto per molti versi rigoroso.Grazie per il tuo tempo e un grande in bocca al lupo per il tuo nuovo romanzo! Formato: Formato Kindle Dimensioni file: 860 KB Lunghezza stampa: 249 Venduto da: Amazon Media EU S.à r.l. Lingua: Italiano ASIN: B07KJKYQV7 Link d’acquisto: L’eremo nel deserto
Francesco Grimandi – “L’eremo nel deserto”
A cura di Roberto Orsi
In occasione dell’uscita del suo nuovo libro “L’eremo nel deserto”, abbiamo intervistato per voi l’autore Francesco Grimandi.
Prima di scambiare due chiacchiere con lui, vi lasciamo di seguito la trama del suo nuovo thriller storico:
Se la Storia non fosse come ci è stata tramandata?
Palestina, Anno Domini 1196. L’incoronazione di Enrico VI di Svevia, secondogenito di Federico I Barbarossa, ha posto in essere la temuta unione di Impero e Regno di Sicilia, avversata dal Papa e dalla Chiesa, imponendo un nuovo modus vivendi carico di conseguenze sul piano politico. Anche la caduta di Gerusalemme (1187) ha costretto a nuove priorità e solo un’altra crociata potrebbe ristabilire le pretese di dominio della cristianità sull’Oriente. In questo scenario si svolge la vicenda del romanzo, ovvero dei manoscritti rinvenuti nelle grotte presso un eremo sperduto nel deserto. Una cronaca di misteriose morti e sparizioni perpetrate tra le mura monasteriali che Guigo, uno dei novizi, dovrà dipanare prima che sia troppo tardi, mentre qualcuno è disposto a tutto pur di scoprire il segreto degli antichi rotoli di pergamena dimenticati per secoli e protetti da un oscuro codice.
Ciao Francesco e grazie per aver accettato questa intervista su TSD! Parliamo di te come autore. Da dove nascono le idee per le tue storie?
Prima di mettermi alla tastiera a scrivere, cerco di raccogliere ogni tipo di spunti e di suggestioni da approfondire nelle ricerche che svolgo. In me convivono due personalità distinte: quella razionale e quella che potremmo definire più fantasiosa e romantica. Entrambe collaborano per aspetti diversi, nei rispettivi campi. Tutto ciò che vivo o mi sta intorno, tutto ciò che entra per un qualunque motivo nel radar dei miei interessi, se ha una tenuta abbastanza forte, finirà prima o poi in uno dei racconti che scriverò, magari sotto una forma diversa perché è divertente giocare con la realtà.
Qual è il tuo genere preferito?
All’inizio non me lo sono mai chiesto. Ho iniziato a scrivere quando sentivo che avevo qualcosa da dire su un determinato argomento. Tirando le somme a distanza di qualche anno, mi sono accorto di avere scritto prevalentemente romanzi incentrati su temi storici, a cavallo tra il thriller e il mistico non religioso. Ne sono un esempio L’Orizzonte di Aton, un’antica indagine sulla morte del faraone Akhenaton – famoso per avere interrotto per un breve periodo il millenario politeismo egiziano -, e L’eremo nel deserto, un giallo ambientato ai tempi delle crociate scatenato dalla scoperta di alcuni misteriosi rotoli presso un monastero in Palestina. Anche in Affresco veneziano appare un filone di ricerca del lato più spirituale che è presente in tutti noi e di norma neghiamo, finché i casi della vita non lo fanno riaffiorare. Una specie di riserva di energia che spesso ci aiuta a superare le difficoltà più tenaci. Nel mio noir ambientato nella Bologna medievale, Il soffio della morte, il protagonista si dibatte in questo tipo di situazione, perché è molto comune, ed è alla ricerca di una sua strada per non affondare mentre è alle prese con una serie di morti misteriose e uno sfuggente assassino.
Come descriveresti il tuo stile?
Oggigiorno gli autori, cavalcando una tendenza molto americana, fanno interagire i personaggi e li rendono quasi identici a noi, con gli stessi tic, le stesse nevrosi e gli stessi modi di parlare. Questo, a mio avviso, è come dare una verniciata d’antico su qualcosa di moderno, una specie di taroccata la potremmo definire, per non dovere incappare nei limiti oggettivi che esistono nelle ambientazioni storiche. Io impiego molto tempo a documentarmi su tutti gli aspetti, anche minimi, di un’epoca che voglio raccontare. Parliamo di mesi e anche quando comincio a scrivere, se incontro un particolare nuovo – non tutto si può pianificare nella scaletta iniziale – mi fermo ad approfondire e a leggere le fonti che lo riguardano. Alle volte raccolgo pagine di dati per scrivere al massimo una riga. Pare un po’ assurdo, ma è così. La mia intenzione è di far rivivere al lettore le sensazioni e le situazioni che potrebbero aver sperimentato i protagonisti, facendogli compiere un salto indietro nel tempo. Ecco, sotto questo profilo i libri sono delle magnifiche macchine del tempo. Mi piace cercare di ricreare il modo di pensare e d’agire di una determinata epoca attraverso la narrazione, allo scopo di potersi calare nei panni di qualche nostro antenato o di qualcuno, magari, che abbiamo conosciuto in una vita precedente. Un mix di conoscenze e partecipazione, direi, per certi versi un ritorno alle origini, fornendo in più un’impronta di intrigo e di avventura.
Il mistero ti affascina?
Scrivendo certe storie, l’elemento inspiegabile, indecifrabile, risulta come rafforzato dalla venatura di antico che è alla base, soprattutto quando andiamo a trattare temi o periodi sepolti da secoli. La soluzione di adeguarmi alle notizie che ho raccolto dalle fonti storiche completandole dove il vuoto è più evidente, senza tuttavia esagerare ma rimanendo convincente, è secondo me una soluzione idonea. Ho sempre avvertito il fascino delle cose enigmatiche e misteriose, le cui radici si perdono nella notte dei tempi. Viviamo in una società dove tutto sembra ormai conosciuto, facciamo tutti le stesse cose, visitiamo gli stessi posti e la nostra vita è già stata progettata da altri. Per questo non possiamo lasciare assopire il nostro spirito, anzi dobbiamo mantenerlo vigile e curioso fornendogli spunti d’interesse. L’uomo ha bisogno di sognare, di sola quotidianità morirebbe.
Come nasce l’idea de L’eremo nel deserto?
Da tempo mi mulinava in mente un progetto. Ero in cerca di un’ambientazione perfetta per una storia escatologica, misteriosa e medievale e non vi è luogo al mondo, incontro delle tre fedi del Libro, che abbia una rilevanza storica come la Palestina, culla e crocevia di molti dei più importanti accadimenti degli ultimi due-tre millenni. Soddisfatto il primo requisito, sono passato a predisporre la trama della vicenda che come una ricerca, sfruttando l’escamotage offerto dalle investigazioni di Guigo, uno dei novizi, porterà il lettore a nuove consapevolezze. Il meccanismo della scoperta di antichi scritti, della contesa per controllarli, delle morti e delle sparizioni è un ben oliato ingranaggio che conosciamo fin dai precursori di questo genere letterario. Ma qui tengo a sottolineare la differenza tra il mio scritto e altre opere, ovvero lo squarcio prodotto dalle rivelazioni contenute nelle pergamene, che daranno materia su cui riflettere anche al più disincantato dei lettori. Che altro aggiungere?
Posso soltanto dire che i fatti si svolgono nell’anno 1196, circa nove anni dopo che Gerusalemme è caduta per mano delle truppe del Saladino. L’eremo è stato lambito e poi dimenticato dai disastrosi eventi legati al crollo dei regni cristiani in Terrasanta, mantenendo una sua autonomia che tuttavia verrà violata al ritrovamento dei misteriosi rotoli delle grotte, innesco della vicenda. Qui mi fermo per non rovinare il piacere a chi vorrà cimentarsi, anche solo per curiosità, nella lettura del romanzo.
Parlaci un po’ dei personaggi.
L’eremo nel deserto è frutto di accurate ricerche per cui non potevo travalicarne gli specifici limiti. Il cast, così mi piace chiamarlo, proviene direttamente dalle viscere del Medioevo in forma addolcita per renderlo più accessibile e fruibile al lettore moderno. Vi trovano posto un abate, anzi due, e tutta una schiera di personaggi a contorno, oltre al già menzionato Guigo. Protagonisti e testimoni, loro malgrado, di fatti molto importanti che tuttavia faticheranno a comprendere per difetto di conoscenza e prospettiva. Sullo sfondo di questo palcoscenico si muovono pure personalità di un certo spessore, come il Papa e l’Imperatore Enrico VI, figlio di Federico I Barbarossa, traino anche loro della vicenda. Senza svelare nulla di particolare posso dire di aver infuso a un protagonista in particolare un po’ di me stesso. Per quanto riguarda gli altri, lascio a voi scoprire di che pasta sono fatti e fino a che punto sanguinano, se li ferisci.
Chi è Guigo e qual è il suo ruolo all’interno del romanzo? Da dove nasce l’ispirazione per lui?
Guigo è un giovane uomo, novizio nello sperduto monastero ai confini del deserto. Ha fatto ingresso nell’ordine in tenera età, in base al destino di molti figli non primogeniti, esclusi da qualunque lascito. Crescendo ha maturato una visione delle cose più ampia rispetto al ristretto mondo da cui proviene e ora il suo animo è combattuto tra grandi dubbi e nuovi sogni. Incarna il lato luminoso, forse ingenuo, che c’è in noi, le domande che ci poniamo, la ricerca delle risposte e il conseguente rinnovarsi che porta a crescere. La scomparsa del suo mentore, padre Theophilus, scuoterà aspetti sopiti del suo carattere, innescando una graduale trasformazione che lo porterà a una maggiore consapevolezza di sé e a un riconoscimento implicito della sua funzione di guida per il gruppo dei monaci più giovani.
Sbirciamo tra le pagine. C’è un frammento del romanzo che ti piacerebbe condividere?
Certo, con piacere. Il brano scelto è tratto dal capitolo III e presenta la biblioteca, cuore pulsante del monastero: