Marina Migliavacca Marazza, conosciamola meglio!
Milanese, ex manager editoriale, studi classici, laureata in Storia, giornalista, traduttrice e scrittrice, Marina Migliavacca Marazza è autrice di una trentina di romanzi e ne ha tradotti anche di più. La sua passione è il passato, senza il quale il nostro presente non sarebbe tale, e che a ben vedere è molto ma molto più “attuale” di quanto molti pensino…
Buongiorno Marina e grazie per il tempo che vorrai dedicarci rispondendo alle nostre domande.
Parlaci un po’ di te, delle tue letture, dei tuoi generi preferiti. Ogni scrittore è anche un lettore, cos’è per te leggere?
Ho imparato a leggere a tre anni. Buffo, vero? Bambina timida, figlia unica solitaria, ho trovato dentro le pagine scritte una finestra aperta su un mondo che non vedevo l’ora di conoscere. Da allora leggere è qualcosa di naturale e indispensabile, come bere, respirare, parlare.
Leggere mi ha portata a scrivere. Anche questo fa sorridere, ma immaginati una bambina con la coda di cavallo che divora tutti i libri che trova. La nonna teneva in cantina una cassapanca piena di volumi assolutamente eterogenei, romanzi di Delly e memorie di guerra, dizionari e cappa e spada… be’, mi sono letta anche il dizionario, con grande spasso dei miei compagnucci che pensavano che fossi un po’ toccata. Probabilmente avevano ragione, ma era fame di parole. Mi portavo il Devoto Oli dappertutto, e ragazzi se pesava.
Dalla lettura alla scrittura il passo è stato abbastanza breve e relativamente veloce: quando una fiaba non mi soddisfaceva – e capitava – perché trovavo deludente il finale o misogino il contesto o poco credibile il plot, la riscrivevo modificandola, con la mia scritturona tonda e regolare, pagine e pagine di fogli a righe. E da lì scrivere cose originali è un attimo. Ho studiato calligrafia alle elementari, erano tempi in cui un compito non veniva valutato solo per i contenuti, ma anche per la sua forma grafica, la sua piacevolezza. Adoravo la calligrafia: una forma di rispetto per quei segni magici che sono le parole… scusa, sto divagando, fermami!
La storia cosa rappresenta per te?
Un grande amore e una piccola promessa di immortalità. Una grande maestra, se sai capire quel che ti sta raccontando, e una inesauribile fonte di spunti narrativi. Vorrei anche dire che i secoli passati sono anche la casa virtuale dove vivono persone che ho studiato così approfonditamente da sentirle amiche. Gente che ha vissuto prima di noi, che ha fatto cose buone e cose cattive, che ha sofferto, che ha lottato. E che magari nessuno ha ancora raccontato in modo onesto.
Sono alla costante ricerca del passato. Un oggetto antico, una pietra di un castello, un quadro, un pizzo, un dagherrotipo, sono schegge di vita di qualcuno che c’è stato, che è esistito e che adesso non c’è più.
Marina, quanto tempo dedichi della tua giornata alla ricerca e alla scrittura?
A dire la verità le mie giornate sono molto varie, quindi non posso vantare un’agenda regolare. Ho fatto per quasi 40 anni la manager editoriale, sono stata direttore editoriale per i libri e direttore responsabile di testate per l’edicola. Allora la mia giornata era quella di un dirigente in ufficio e solo la sera mi dedicavo alle mie passioni più vere. Da qualche anno sono una free lance, una giornalista, una traduttrice e una scrittrice; qualche volta sono in giro a cercare notizie e documenti, altri giorni li passo tutti al computer, fino a tarda sera. La mia cervicale può testimoniare in proposito…
Senz’altro la fase della ricerca è la più emozionante. Scopri cose, collegamenti. A volte intuisci prima ancora di avere le prove. Sei una specie di detective delle anime, è molto bello e anche molto impegnativo, ti ritrovi con gli occhi pieni di lacrime e il cuore stretto. Gli uomini fanno agli altri uomini delle cose orribili. Ti trovi a leggere documenti che stillano sofferenza. Oppure amore, passione, speranza, desiderio, coraggio… Quando comincia la fase di stesura, vai avanti finché non crolli e non esiste molto d’altro, perché sei in un’altra dimensione. Il mio paziente marito che mi sopporta da una vita ne sa qualcosa…
Quando termini la stesura di un romanzo, che sensazioni provi?
Ah, un bel mix! Un certo sollievo. Pfuiii, ecco fatto, finito! E poi un po’ di inquietudine. Ci metti del tuo, ti sveli in quelle pagine che hai scritto, quello col lettore è un rapporto molto intimo e sono sempre rimasta un po’ quella bambina timida con la coda di cavallo. Una certa soddisfazione: ora questa storia sarà letta da altri che potranno a loro volta raccontarla. E voglia di cominciare a raccontare un’altra storia.
Parlaci del tuo ultimo romanzo, com’è nata l’idea, cosa vorresti dire ai tuoi lettori per invogliarli nella lettura?
L’idea di scrivere di Christopher Robin mi è venuta quando ero direttore della testata mensile Winnie the Pooh e mi ero messa a studiare a fondo l’opera di A.A. Milne, il suo creatore. In Disney molti pensavano che fosse stato Walt a inventare l’orsetto. Io sono un po’ secchiona, mi piace prepararmi bene sulle cose, detesto l’improvvisazione e la superficialità. Se dovevo dirigere l’edizione italiana di Winnie, dovevo essere all’altezza, dovevo prepararmi. E leggi e studia, con uno di quei processi di serendipity che ho spesso incontrato nelle mie ricerche, mi è balzato davanti quel bambino e il suo dramma. Questa, mi sono detta, è una storia da raccontare assolutamente. Chi si immagina, guardando l’orsetto tutto miele, che ci sia dietro tanta ombra?
Ti riportiamo le domande di una tua lettrice:
Dal momento che la figura di Suor Virginia de Leyva ha subito la damnatio memoriae nel corso dei secoli, quanto è stato difficile risalire alle cronache dell’epoca che narrano le sue vicende e quelle della figlia?
Sei riuscita a studiare le carte del processo?
La base di tutto sono stati gli atti del processo integrali riportati nel preziosissimo volume Vita e processo di suor Virginia Maria de Leyva, Monaca di Monza, edito da Garzanti nel 1985. Un’opera di 962 pagine che riporta parola per parola la trascrizione delle filze notarili che solo in anni relativamente recenti sono uscite dagli armadi dove erano state tenuti accuratamente secretate all’arcivescovado. Inoltre molti studiosi hanno lavorato sui singoli personaggi e il materiale di approfondimento non manca. Ci vuole molta pazienza e applicazione, ma garantisco che la lettura degli atti del processo è un’esperienza psicanalitica. Di fronte all’inquisitore le persone ricostruiscono un mondo, trovi tutto, perfino le descrizioni fisiche dei protagonisti. Mi ha molto aiutata non solo la mia preparazione classica per le parti in latino, ma la mia conoscenza del dialetto milanese e dei suoi etimi, perché l’italiano della gente del popolo dell’epoca era un pastiche, un grammelot di lombardo linguisticamente affascinante. Oddio, fermami, che anche qui divago…
Per quanto riguarda il bambino di carta, ho amato moltissimo le descrizioni delle infinite sessioni di registrazione delle canzoni di Christopher Robin, hai avuto modo di ascoltarle durante la fase di scrittura?
Un breve estratto con la vocina di Billy, ma tutto è accuratamente descritto nelle autobiografie di Christopher Robin che non sono disponibili in italiano, ma reperibilissime in originale inglese, un inglese piacevolissimo da leggere. Christopher ama scendere nel dettaglio. Ann Thwaite ha scritto inoltre una formidabile biografia di Milne negli anni novanta, anche questa disponibile in lingua inglese: me la sono bevuta, divorata, fagocitata…
Quanto hanno aiutato le immagini d’epoca nella stesura del romanzo?
Oh, bellissima domanda, come tutte le altre, del resto, ma questa mi dà uno spunto… allora, la parte visual è fon-da-men-ta-le. Ho studiato i tratti del volto dei personaggi, i loro vestiti, le posture, gli ambienti… quelle foto del piccolo Christopher parlano, accidenti, a volte gridano. La cosa positiva di fare ricerca su epoche relativamente recenti è proprio questa: voglio dire, di Virginia non sappiamo per certo che faccia avesse, ma con i Milne è stato fantastico, anche perché loro erano molto “mediatici” ed è tutto documentato.
Il fatto che il tuo libro “Il bambino di carta” e il film “Vi presento Christopher Robin” siano usciti quasi in contemporanea è pura casualità o una scelta editoriale?
Ho sentito che stavano girando un film la cui sceneggiatura era basata esattamente sulle mie stesse fonti e mi sono detta: be’, vecchia mia, allora è destino!
Grazie per la tua disponibilità.
Grazie a voi per le domande! È stato un piacere!
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