Chi di voi non ha mai sognato di fare una chiacchierata con
Fedor M. Dostoevskij?
Bene, oggi lui è qui con noi di TSD e risponderà alle nostre domande.
Buongiorno Fedor, raccontaci di te e delle tue origini.
- Sono nato a Mosca il 30/10 del 1821, secondo di sette figli, da Michail Andreevic, medico e Maija Fedorovna Necaeva, proveniente da una famiglia di commercianti. In gioventù ho frequentato il pensionato privato di Cermak, successivamente ho studiato alla scuola di Ingegneria di Pietroburgo.
Ci sono stati momenti drammatici nella tua vita. Ce ne vuoi parlare?
- Sì, mio padre è morto misteriosamente, forse ucciso dai suoi contadini che soleva maltrattare continuamente sotto i fumi dell’alcool. Questo avvenimento, traumatico, mi ha provocato un attacco di epilessia e per tutta la vita ne sono stato affetto.
Quando inizia la tua produzione letteraria?
- Nel 1846 esce il mio primo racconto “Povera Gente” e nello stesso anno “Il sosia”.
Parlaci del tuo rapporto con Michail Petrasevskij.
- Sempre nello stesso anno ho conosciuto Petrasevskij, convinto sostenitore del socialismo utopistico di Fourier, ogni venerdì sera partecipavo alle riunioni in casa sua. Si discuteva di problemi politici e di attualità. Purtroppo per via di questa mia frequentazione sono stato arrestato il 23 aprile del 1849 e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo con l’accusa di far parte di una società segreta sovversiva. Il 16 novembre sono stato condannato, con altri 20 imputati, alla pena di morte mediante fucilazione. Il 22 dicembre sono stato condotto, con gli altri condannati, sullo spiazzo Semenovskij per l’esecuzione. All’ultimo ci è stata concessa la grazia da Nicola I, che ha tramutato la pena capitale in condanna ai lavori forzati.Il 24 dicembre vengo destinato alla fortezza di Omsk in Siberia.
Terminata la condanna, raccontaci delle tue opere successive.
- Nel 1854, terminata la condanna, sono stato assegnato a Semipalatinsk come soldato semplice. Nel 1857 mi sono sposato con Marija Dmitrevna, vedova di un funzionario doganale. In questi anni ho stretto amicizia con il barone Vrangel, a cui devo molto per avermi permesso di rientrare nel mondo letterario
Abbiamo letto che “Delitto e Castigo” alla prima stesura lo hai bruciato. Cosa ti ha spinto a farlo e come è poi venuto alla ribalta?
- E’ vero, non immaginavo certo potesse avere questo successo. Dopo averlo distrutto ci ho lavorato dandogli una versione differente. Inizialmente, sapete, è stato pubblicato nel 1866 a puntate su una rivista
Il tuo ultimo romanzo invece?
- Ho vissuto diverse tragedie negli anni, ho perso molti soldi al gioco quindi versavo in condizioni finanziarie precarie. La morte della piccola Sonja a soli due mesi mi ha segnato. La successiva perdita dell’altro mio figlio Aleksej, di soli tre anni mi ha portato a frequentare il filosofo mistico Vladimir Solov’ev. Nel 1879 è uscito a puntate “I fratelli Karamazov”, forse il mio romanzo più drammatico e denso di profonda moralità.
La sua morte è avvenuta nel 1881 per un enfisema polmonare. La sua particolarità è che non pone mai un giudizio personale sui suoi personaggi.
Nelle opere di Dostoevskij, come nella sua esistenza, la brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si coniuga con una incessante ricerca della verità; egli scrisse:
«Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita […] e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà.»
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