“ho sempre considerato il carnevale un avvenimento superfluo, ritenevo ridicole le persone che ogni anno si truccavano e indossavano strane parrucche. Ho rifiutato più volte di esserne partecipe. La mia svolta è avvenuta circa dieci anni fa, quando mi fu proposto di indossare un vestito del ‘700 veneziano. Non fu facile convincermi ma alla fine accettai. Beh, non vi so descrivere l’eccitazione che provai quando per la prima volta andai a Venezia con quel vestito. Mi sentii trasportata nel tempo, quasi convinta di esserlo realmente. Perciò a qualche altro scettico, come lo ero io, che non crede a questa straordinaria festa, consiglio vivamente di sperimentarla almeno una volta nella vita”.Le foto pubblicate si riferiscono all’attuale Carnevale di Venezia 2018. Le maschere raffigurate fanno parte del gruppo storico le “Maschere di Mario del ‘700 veneziano” le quali hanno partecipato agli eventi legati al “Corteo Storico” e ai “Balli Storici”.
Il Carnevale di Venezia e la sua Storia
A cura di Manuela Moschin
Il Carnevale di Venezia è la festa più conosciuta e apprezzata tra tutti i carnevali celebrati nel mondo. Quali sono le radici di questa festa antichissima? Quali segreti e curiosità si celano in essa? Scopriamolo…
Con la parola carnevale, vengono indicati i festeggiamenti che precedono l’inizio della Quaresima, nella quale cessava il consumo di carne. La parola carnevale, infatti, deriva dal volgare e significa “carne a levare”.
Le prime notizie che si riferiscono al Carnevale di Venezia, risalgono al 1162, sotto il dogado di Vitale Michiel II, nel quale fu dato il via ai festeggiamenti del giovedì grasso. Progressivamente, anno dopo anno, si consoliderà fino al periodo che va dal 1487 al 1565 circa, quando ventitré compagnie di giovani patrizi veneziani, dette “Compagnie della Calza”, contrassegnate da calze variopinte, ricamate e dai nomi fantasiosi (Accesi, Ortolani, Sempiterni, Zardineri), organizzavano spettacoli con le loro ricche e bizzarre divise. Da questo desiderio di trasvestirsi sorsero “Le Mascherate”.
La cerimonia più celebre, fu allestita in seguito alla Battaglia di Lepanto, si festeggiò nel 1572 con l’allestimento di carri allegorici. In uno troneggiava la Fede col piede sopra a un drago incatenato, seguita dalle Virtù teologali, ispiratrici dei generali dell’armata, poi l’immagine dei vinti sovrastati dalla Vittoria e infine la Morte con la falce in mano a dimostrazione che anche lei ha trionfato.
Al carnevale si associa l’uso della maschera, al travestimento. Il bisogno di mascherarsi, di abbandonarsi al gioco sfrenato e incontrollato. La maschera è una specie di abito magico e sacrale che incarna il potere e l’autorità:
“ Quando il re pronuncia un giudizio, lo può soltanto ammantato della veste astrale e nei colori del suo Dio…Quando il sacerdote dà un oracolo, diviene persona: personat – deve parlare attraverso la maschera di Dio… Ogni autorità è maschera; l’umanità si divide in persone, cioè in maschere e in semplici uomini che non significano niente”. (cit. F.C. Rang)
Nella festa non esistono distinzioni tra attori e spettatori, è una celebrazione libera ma sotto controllo, dove il povero può sentirsi ricco e felice avvicinandosi al nobile e al potente.
Maschera significava anche anonimato, le donne a teatro dovevano obbligatoriamente indossare la maschera per trasgredire nel rapporto coniugale poiché forniva loro un alibi e una copertura giustificativa.
Carlo Goldoni nelle sue commedie rappresentò il tradimento coniugale come una trasgressione lecita come si può notare nella sua opera intitolata “La Mascherata” (atto II, scena 1) :” Qua la moglie e là il marito, ognun va dove gli par; ognuno corre a qualche invito, chi a giocare e chi a ballar. Par che ognun di carnovale a suo modo possa far”. La maschera era il simbolo della libertà e della trasgressione a tutte le regole sociali imposte dalla Repubblica Veneziana.
Ogni sera le maschere facevano il Listone (“far el liston” significa passeggiare per la piazza), il passeggio a San Marco era il momento per le dame di mettersi in mostra. Cavalieri, dame e cicisbei (nel settecento il cicisbeo era un gentiluomo che accompagnava una nobildonna sposata a feste mondane, a teatro o a far compere) si dedicavano alle “ciacole” (chiacchere) nelle caffetterie delle piazze. Dopo la passerella andavano a cena o a teatro.
In piazzetta si assisteva alle prodezze acrobatiche di equilibristi, che si esibivano in salite sul campanile, seguite da discese per offrire al doge un mazzo di fiori. Era questo il cosiddetto “svolo del turco” (o dell’Angelo),perché fu un turco a salire per la prima volta sul campanile.
Nelle piazze venivano collocati i “casotti” luoghi di aggregazione, palchi improvvisati da ambulanti, comici, giocolieri e burattini.
L’uso della maschera a Venezia ha origini remote, si trova citata per la prima volta in una legge del 1268, che proibì agli uomini in maschera di praticare il gioco delle “ova”, molto in voga nell’epoca. Essa non era usata esclusivamente nel periodo carnevalesco ma veniva tollerata per quasi sei mesi all’anno. Ci furono molti decreti per limitare l’uso della maschera poiché veniva usata anche dagli uomini per introdursi armati in luoghi sacri e dai giocatori di azzardo per proteggersi dalla vista dei creditori.
Si svilupparono pertanto le botteghe di artigiani i cosiddetti “maschereri”, appartenenti alla categoria dei pittori sin dal tempo del doge Foscari. In un documento conservato nel Museo Civico Correr di Venezia si registrano undici iscritti tra il 1530 e il 1600.
Negli ultimi secoli, soprattutto nel XVIII, presero forma una serie di maschere tipiche che in breve tempo divennero il vero e proprio simbolo del Carnevale di Venezia: la bauta, la maschera nobile della Serenissima, il travestimento veneziano per eccellenza, era concessa anche nei periodi al di fuori del carnevale. Era un capo di abbigliamento per tutte le stagioni, protagonista di ogni importante avventura veneziana. Piaceva ai Magistrati, agli Inquisitori, al Doge, alle dame anziane per nascondere i segni del tempo, ai preti e alle monache per qualche scappatella amorosa inoltre questa maschera permetteva di entrare in incognita nei Palazzi. Ne troviamo moltissimi esempi raffigurati nei dipinti di Longhi, Bella, Canaletto e Guardi.
La larva era una maschera usata solitamente assieme alla classica bauta indistintamente da uomini o donne. Il nome larva è riconducibile ad un etimo latino, infatti con la voce larva venivano indicati i fantasmi e le maschere di natura spettrale. La forma particolare del volto permetteva di bere e di respirare senza toglierla. Era inoltre sorretta dal tricorno, il tipico copricapo di feltro, panno o raso con eventuali decorazioni lungo l’orlo che non si toglieva dalla testa nemmeno in segno di saluto. La versione femminile era leggermente più piccola.
La maschera preferita dalle dame era la moretta, scura e priva di espressione, accompagnata sia da abiti lussuosi sia da quelli più modesti. Fu usata frequentemente poiché la sua forma coprendo solo parte del volto esaltava il colore dei capelli, il biondo veneziano di cui andavano molto orgogliose le cortigiane. La moretta possedeva un particolare curioso: nella parte interna in corrispondenza della bocca, vi era un bottone col quale la si sosteneva con i denti. In questo caso era preferita dagli uomini travestiti da donna poiché costringendoli a rimanere in silenzio non rischiavano di essere scoperti.
Il carnevale è legato anche alle rappresentazioni teatrali con i personaggi di Pantalone, Arlecchino, Brighella, il Dottore, Colombina e il Capitano. Con Goldoni le maschere della Commedia dell’Arte assunsero una nuova dimensione, passando da saltimbanchi buffoneschi a personaggi a tutto tondo come il Pantalone de “La putta onorata”.
Il carnevale di Venezia ha avuto comunque un momento di stasi durato quasi duecento anni. Con la caduta della Serenissima Repubblica di Venezia, provocata da Napoleone e la successiva cessione all’Austria, fu sancita la fine dell’indipendenza della città. Il carnevale da quel momento venne abolito.
Il primo segnale di rinascita avvenne nel 1976 quando un gruppo di studenti delle scuole superiori organizzarono feste e manifestazioni in tutta la città. Fu da queste iniziative, che nel 1979, grazie alla nomina dello storico Giuseppe Galasso, alla direzione della Biennale di Venezia e alla gestione della sezione teatro invece al regista e critico teatrale Maurizio Scaparro, il carnevale non venne più festeggiato solo da bambini che sfilavano per le calli mascherati. Scaparro, esattamente nel 1980, creò il “Carnevale a tema” con spettacoli presenti in vari luoghi della città. L’iniziativa ottenne un successo strepitoso che si perfezionò nel tempo. L’attuale manifestazione è molto ricca di eventi organizzati in piazza San Marco, tra i quali: il “Corteo Storico”, il “Volo dell’Angelo”, il “Volo dell’Aquila”, i “Balli Storici”, “Festa delle Marie”, esibizioni varie con sbandieratori, duelli e danze.
Il carnevale è diventato così un’occasione di svago atteso ogni anno da adulti e bambini, nel quale ognuno si sente protagonista di un momento magico e indimenticabile.
A tal proposito dedico alcune righe per una riflessione personale: