Trama:
Un giovane di Verona, immerso nella guerra sul Carso, resiste all’orrore ricorrendo alle sue armi; la cultura umanistica, l’ironia, le lezioni napoleoniche. Assiste, stando in prima linea, al regredire dell’uomo verso uno stato di animalità proprio di tempi molto antichi. Il soldato infatti vive dentro a tane, non si lava, deve uccidere. Dopo una delle tante azioni sanguinose, commenta così: “È stato feroce il sottotenente? D’altronde la Patria gli chiede anche questo; sparare e gettarsi avanti con una vanghetta in mano per colpire con un colpo secco alla gola il nemico, combattendo come un uomo delle caverne”..
Recensione a cura di Flavia Zaggia
Giuseppe Appoloni, a cui questo libro è dedicato è uno dei ragazzi del ’99, uno di quei tanti, tantissimi che la “ferocia” l’hanno vissuta, sentita e provata in prima persona. È un uomo che i più non conoscono, di cui moltissimi di noi non hanno mai sentito parlare ma al quale dobbiamo tanto, così come dobbiamo tanto a tutti quelli che come lui quella guerra l’hanno vissuta. Leggendo questo libro ho ricordato quando da bambina andavo a vedere la parata del 2 giugno. Carri armati, soldati, cavalli e poi….loro. Arrivavano in gruppo camminando al centro di via dei Fori Imperiali orgogliosi, con le medaglie appuntate sul bavero della giacca, fieri di esserci a quella parata perché in fondo quella festa della Repubblica era anche e soprattutto la loro. Erano testimoni di una guerra che sembra essere stata combattuta in un’altra epoca, lontana nel tempo, ma che a pensarci bene è finita solo 100 anni fa.
Il Carso, il luogo dove questa guerra è stata combattuta, è un territorio difficile (ammesso che ne esista uno facile in cui combattere), inospitale, freddissimo in inverno e caldo d’estate, impervio, umido.
“Guardo il Carso bello e terribile; le doline, cavità ricche di mistero voluto dalla natura, ispirano fascino. Le grotte che dicono profondissime sembrano antichi antri per divinità di popoli scomparsi. In superficie c’è secchezza e dolore, sotto invece acqua e meraviglie, come se il paradiso fosse non nei cielo, ma sottoterra. Un mondo capovolto.”
Questo libro è un pugno nello stomaco, uno di quelli veri per chi come me per fortuna la guerra non la conosce se non per quello che racconta la TV e comunque la vede come una cosa lontana, fatta di tecnologia e armi sofisticate che colpiscono a distanza.
Quella che invece ci racconta l’autore è tutt’altro. È una guerra combattuta sul campo, dove si conquista una posizione centimetro per centimetro, lottando corpo a corpo, in cui i messaggi vengono portati da uomini in carne e ossa che sentono addosso l’obbligo di restare vivi perché da loro dipende la riuscita di un’operazione. Minuti, ore, giorni interminabili trascorsi dentro una trincea ad aspettare. Ma aspettare cosa? Spesso di capire da che parte arriverà il proiettile che ti farà andare “con i piedi al sole”, cercando di percepire il minimo rumore che prelude all’arrivo del nemico. Si, perché questa guerra è stata combattuta così, scavando e rinforzando trincee così piccole a volte da non riuscire a starci dentro per intero, rubandole al nemico e girandole contro di lui, strisciando nel fango, scavalcando cadaveri di chi quella stessa azione l’aveva già tentata poche ore prima senza successo e correndo più velocemente possibile per non essere colpiti quando si è allo scoperto.
Una guerra combattuta con armi meno potenti di quelle del nemico ma con una grande voglia di vincere, con determinazione perché solo così si aveva la possibilità di sopravvivere nonostante tutto. I protagonisti sono tanti; alcuni di loro hanno un nome (Dimari, Guerriero, il Filosofo, Robusti), mentre molti altri li vediamo solo attaccare, soffrire, morire in battaglia. Sono tutti ragazzi, mariti, fratelli, padri di qualcuno, alcuni arrivati al fronte per convinzione, altri per necessità o perché obbligati a farlo, ma tutti combattono una guerra in cui spesso arrivano a sentire che il nemico, quello che sta dall’altra parte, non è poi diverso da loro….ha la stessa disperazione, le stesse paure e la stessa voglia di mollare tutto e andare a casa.
Questo libro è un diario scritto in prima persona da un ragazzo di Verona. Non ci sono giorni a scandire il trascorrere del tempo, solo stagioni che si susseguono e battaglie in cui le vittorie si alternano alle sconfitte. È una storia di legami profondi tra persone diverse tra loro, di amicizie, di senso dell’onore e di paura. Un racconto di come le lunghe interminabili notti silenziose fossero ancora più dure da sopportare che i giorni di combattimento perché ogni piccola distrazione con l’oscurità poteva essere fatale.
“Di notte la morte si fa compassata e lenta; ha il tempo di scegliere la sua preda, senza il chiasso di certe mattanze alla luce del sole. Qualche sentinella dirà poi di aver sentito un rumore strano o lontano, come di un ramo spezzato di netto. Era la morte in viaggio che come un ladro passava a depredare. Ma queste cose capitano sempre più spesso. Inutile, forse, parlarne.”
Un libro ben scritto, mai pesante, che ricorda e insegna a noi che non c’eravamo cosa è stata la I guerra mondiale. Da leggere per non dimenticare mai.
Formato Kindle:78 pagine (474 Kb)
Editore: il mio libro self publishing (27 febbraio 2016)
Lingua: Italiano
ASIN: B01CEVQE20
Link d’acquisto: La ferocia.Dall’Adige all’Isonzo nella Grande Guerra