Interviste TSD

L’intervista di TSD – Sabrina Ceni

Sabrina Ceni .. conosciamola meglio

Sabrina Ceni nasce a Firenze nel 1971. Diplomata in lingue. Vive nella campagna fiorentina con la famiglia e frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze, con indirizzo storia medievale.

All’età di undici anni, scopre “Ivanhoe” di Sir Walter Scott e da quel momento si appassiona ai racconti storici.

Dal 2013 collabora con la galleria “Merlino Bottega d’Arte”, di Firenze. Nel 2014 viene pubblicata sul catalogo “Le galassie”, la sua prima recensione per la mostra dell’artista Gianfranco Bianchi.

Nel marzo del 2016, scrive un saggio dal titolo “I catari, veri cristiani delle origini o eretici?”, divulgato nel settembre dello stesso anno dall’Accademia Templare di Roma ed edito, nel marzo 2017, dalla Casa Editrice Bonanno (Acireale – Roma), in “Medioevo Templare”, a cura dell’Ing. Filippo Grammauta.

Nell’ottobre del 2016 esce il suo primo romanzo: “Arpaïs, la memoria delle anime imperfette”.

Nell’ottobre del 2017 è finalista al concorso “Cosimo I° de Medici”, con il racconto breve “Notte di San Bartolomeo”, per il quale riceve una menzione d’onore della giuria e la pubblicazione del lavoro all’interno dell’antologia edita da United Artists.

Al momento, lavora alla stesura della seconda parte di “Arpaïs, la memoria delle anime imperfette”.

Buongiorno Sabrina, grazie per il tempo che vorrai dedicarci rispondendo alle nostre domande nonché piccole curiosita’.

Qual è stato il primo libro che ricordi di aver letto e quale ha dato l’impronta più forte per il tuo stile di scrittura?

Cipì, di Mario Lodi, in prima elementare: lo ricordo con piacere. A tredici anni, invece, ho letto Ivanhoe di Sir Walter Scott e ho capito che non avrei più potuto fare a meno dei romanzi storici. Per quanto riguarda lo stile di scrittura, devo imparare tanto e credo di essere ancora in fase evolutiva. Di certo, i romanzi di A.Dumas e V. Hugo hanno fatto nascere in me la voglia di mettermi in gioco, ma non smetterei mai di leggere Umberto Eco, Ken Follett e George R.R. Martin.

Hai la possibilità di cenare con un personaggio storico (o con uno scrittore del tempo che fu): chi sarebbe e cosa vorresti chiedergli?

Farinata degli Uberti, per quanto riguarda il personaggio storico. Senza ombra di dubbio. Avrei tantissime domande per lui ma, in particolare vorrei chiedergli cosa ha provato a Empoli, dopo la battaglia di Montaperti; come si è sentito quando la fazione dei ghibellini ha proposto di radere al suolo la Firenze guelfa. Vorrei sapere se ha riflettuto prima di parlare o se la passione ha preso il sopravvento. Vorrei che mi raccontasse della sua amata Firenze, della moglie e dei figli; vorrei che mi guidasse per la città e mi descrivesse com’era Piazza della Signoria quando, al posto di Palazzo Vecchio, c’era ancora la sua casa.
Per quanto riguarda lo scrittore: Ildegarda di Bingen. Sarei curiosa di sapere perché ha iniziato a scrivere delle sue visioni solo a quaranta anni. Ma soprattutto, vorrei chiederle come, una donna del suo tempo e per giunta in aperto contrasto con la Chiesa cattolica, sia riuscita, nel 1147, a leggere alcuni dei suoi scritti durante il Sinodo di Treviri

Partiamo dal principio: come inizi la stesura di un tuo libro?

Devo trovare un argomento che mi piaccia, che mi avvolga completamente, perché starà con me per un bel po’ di tempo. Inizio dalle fonti storiche che mi aiutano a trovare spunti e dettagli. Le studio per qualche mese e poi, lascio decantare il tutto. Mi ci devo perdere un pochettino dentro. Come se preparassi la scenografia per una storia. Sapete, quando da piccoli creiamo l’ambientazione per giocare con i nostri personaggi preferiti: lego, playmobil, barbie? O come quando apriamo la scatola e distendiamo sul tavolo il tappetino del gioco, posizioniamo le carte, scegliamo le pedine. Per me era ed è la parte più divertente. Faccio una sorta di scaletta già divisa per capitoli che mi dà l’idea anche approssimativa delle sequenze temporali (posso sempre tornare indietro nel tempo in un secondo momento). Poi, passo alle schede dei personaggi: dettagli fisici, caratteriali e psicologici. Cerco di capire come potrebbero reagire a ciò che gli accade. Mi metto nei loro panni. All’inizio non lo facevo ma, adesso, ho capito che è una parte fondamentale e che, anche se porta via un bel po’ di tempo, dopo, tutto è più semplice. Per questo devo ringraziare Franco Forte e i suoi consigli. A volte, capita che un personaggio prenda una strada diversa da quella che mi ero prefissata all’inizio, ma con le schede riesco a trovare opportunità nuove per lui e per chi gli sta intorno. Quando mi sento pronta tiro i dadi e inizio a giocare.

Quanto tempo hai impiegato nella ricerca per il tuo libro storico?

Due, tre anni. Sono un po’ lenta, ma facendo ricerca viene sempre fuori qualcosa di inaspettato che mi spinge ad approfondire e approfondire ancora. Ci sono dettagli minori dai quali potremmo prendere spunto per scrivere innumerevoli storie. E poi, cerco sempre di andare di persona a vedere quello di cui voglio parlare. Dal vivo è tutto più forte: i colori, le sensazioni, gli odori, il movimento dell’ambiente circostante, la profondità degli spazi architettonici. Cerco di verificare sempre se quello che vedo corrisponde al periodo storico trattato.

Il libro che avresti voluto scrivere tu, e perché?

Il nome della rosa. E’ geniale, innovativo, una fonte inestimabile di dettagli. Un romanzo che sembra un giallo storico ma che invece si rivela un romanzo filosofico dalle tinte gotiche, una storia che ci avvolge e ci trascina in un mondo ormai perduto ma così vivo e reale. L’incalzare delle ore, delle giornate lente scandite dalla Regola, un tempo che si dilata e si restringe nel quale veniamo risucchiati. Un tempo distante dallo scorrere frenetico delle nostre giornate. Impareggiabile.

Raccontaci il dopo: una volta che il libro è stato pubblicato, cosa succede?

Beh, non ho molta esperienza in questo, nel senso che, per adesso, ho scritto un solo romanzo e alcuni saggi storici. Per Arpaïs, la casa editrice è la Delos. Hanno pubblicato e divulgato l’ebook e mi hanno fatto avere delle copie cartacee da poter utilizzare durante le presentazioni. Mi sono mossa cercando librerie e biblioteche. Ho cercato, anche su internet, associazioni che potessero essere interessate all’argomento trattato dal romanzo e sono venute fuori delle collaborazioni molto fruttuose che mi hanno arricchito anche a livello personale. Ho imparato un po’ a parlare davanti alle persone; perché scrivere rintanato nel tuo guscetto ed esporre le tue idee davanti a sconosciuti non è proprio la stessa cosa. Ma è stato bello confrontarsi con tipologie di lettori diversi. Si impara sempre qualcosa e io da imparare ho ancora tanto.

Scrittura, lettura, rilettura, editing e correzione, promozione, incontro con i lettori: assegna una percentuale a ciascuna di queste fasi e se abbiamo dimenticato qualcosa aggiungila pure.

Ricerca 35% Scrittura: 25%, lettura, rilettura editing e correzione 30%, promozione 5%, incontro con i lettori 5%. Magari, in futuro, qualche percentuale potrà variare, chi lo sa?

Come nasce la tua passione per i Catari e la loro storia?

Mi sono appassionata ai catari dopo aver studiato l’argomento per un esame sulla storia della Chiesa cattolica. Poi, ho scoperto che proprio nella mia città, proprio sotto casa mia, c’erano tracce di eretici catari. All’archivio di stato di Firenze, ne ho trovato conferma con tanto di nomi e mi sono decisa a scrivere un romanzo che creasse un legame tra l’Occitania e l’Italia. In effetti, si parla molto di comunità catare occitane e poco di quelle stanziate nella nostra penisola. All’inizio doveva essere una storia unica ma, poi abbiamo deciso di fare almeno una prima e seconda parte. Inoltre, ci tengo a dire che non volevo soltanto raccontare l’aspetto storico della vicenda, che è comunque ben noto, ma approcciarlo da un punto di vista umano. In fondo, si tratta sempre di una ragazzina che, all’inizio della storia, ha solo undici anni e del suo mondo che cambia. Se andate al museo di Montségur, oltre ai reperti archeologici, troverete dei cartoncini affissi e legati gli uni agli altri: su di essi ci sono i nomi di tutti coloro che hanno vissuto nel castrum pirenaico, di coloro che sono andati al rogo e di quelli che sono stati interrogati dagli inquisitori. Quei cartoncini mi hanno cambiato la prospettiva.

In Arpaïs ripercorri le vicende accadute nel 1244 a Montsegur, hai avuto occasione di visitare prima della stesura il suo castello (simbolo dell’ultimo assedio )?

Cerco di verificare sempre se quello che vedo corrisponde al periodo storico trattato. Per esempio, per Arpaïs, sono andata a Montségur e ho scoperto che i ruderi della rocca non sono quelli del villaggio cataro, ma quelli del castello ricostruito dai francesi dopo la distruzione del castrum eretico. Se non fossi andata, avrei scritto basandomi sulle fonti che avevo e che erano sbagliate. Considerato che viene spacciato per il castello cataro… non sarebbe stato un errore da poco. Per la seconda parte, invece sto impazzendo a ricostruire la Firenze del 1244, cioè quella prima di Arnolfo di Cambio. Non è proprio tanto semplice, ma è anche la parte più divertente. Se, in centro a Firenze, vedete qualcuno aggirarsi con una mappa assurda e fuori misura, tutta accartocciata, sono io.

Cosa ne pensi della leggenda che aleggia su quell’ultima notte a Montsegur, quando pare che quattro perfetti riuscirono a fuggire portando con loro il tesoro?

Penso che, in parte, sia vera. Ma dovremmo cercare, da un punto di vista storico, di essere più obbiettivi possibile. Mi spiego meglio: Laurent Peytavi, uno dei parfait che fuggono la notte prima che il villaggio si arrenda alle milizie del re di Francia e del papa, è attestato dopo il 1260 nella zona di Pavia. Quindi, io sono certa che i quattro siano riusciti a fuggire e su questa convinzione ho basato la seconda parte del romanzo.Il tesoro, era stato nascosto in una spulga, una grotta fortificata non lontana da Montségur, molto prima della tregua di inizio marzo del 1244. Questo per evitare che i nemici lo trovassero e lo utilizzassero per sostenere l’avanzata francese. Quel denaro sarebbe dovuto servire per sostenere la comunità catara. Non ci sono prove attendibili sul suo recupero e sul suo impiego e questo dà adito a formulare una miriade di ipotesi più o meno verosimili. C’è chi dice sia stato portato in Italia, a Cremona, vista la corrispondenza epistolare tra le due comunità catare, viva anche durante l’assedio. Io ho seguito questa traccia.

Grazie per la tua disponibilità e a presto con il tuo prossimo libro!

 

Arpais-La memoria delle anime imperfette

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