Recensione a cura di Costanza Marzucchi
Una delle novità editoriali più interessanti di questo 2024 è il romanzo La stanza delle mogli dello scrittore inglese di origini indiane Sunjeev Sahota, tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice Astoria, che ha portato al pubblico italiano opere come quelle di Frances Hodgson Burnett (autrice di Il giardino segreto) e di Georgette Heyer.
La stanza delle mogli ci porta in India e si tratta di un romanzo dalla struttura narrativa piuttosto interessante. Non abbiamo infatti un’unica storia ma due vicende cronologicamente distanti che si alternano, creando una curiosa composizione.
La prima storia è ambientata negli anni Venti del Novecento in India. Tre giovani donne sposano tre fratelli in un’unica cerimonia nuziale e si trasferiscono nella dimora, vivendo e lavorando insieme sotto la guida della suocera. Nessuna di loro sa chi sia suo marito, poiché sono obbligate a portare un velo che le copre interamente, impedendo loro di vedere il volto del loro sposo. L’esistenza delle tre giovani scorre monotona, divisa tra il duro lavoro nei campi e l’adempimento degli obblighi coniugali, fino a quando la più giovane, Mehar, non decide di conoscere la verità, rompendo il muro di silenzio e generando conseguenze inattese.
“Il velo trasforma tutto in una nebbia rossastra, un’opacità luminosa contro la quale i corpi si muovono come ombre scure. Nasconde completamente il volto di Mehar, costringendola a tenere gli occhi bassi per riuscire a vedere qualcosa. E cosa vede? I propri polsi, con i pesanti braccialetti bianchi e rossi; il tè tra le proprie mani; e i piedi con le campanelle argentate alle caviglie, che annunciano il suo avanzare sul suolo del cortile”
La seconda storia avviene settanta anni dopo, negli anni Novanta. Un uomo, pronipote di Mehar, dopo aver vissuto fin dalla nascita nel Regno Unito, torna in India, ma il suo non è un viaggio di piacere. Tormentato dalle difficoltà di essere indiano e inglese, doppia natura che lo rende straniero sia in Gran Bretagna che in India, il protagonista è alla ricerca di un posto in cui riconoscersi. Tale situazione lo condurrà a incrociare i suoi passi con la casa dove visse Mehar. Riuscirà a trovare il suo posto nel mondo?
Strutturalmente, le due storie si alternano nel romanzo, ma il lettore che si avvicinerà a La stanza delle mogli non avrà difficoltà a seguire le vicende di Mehar e del suo pronipote, grazie all’abilità dell’autore di gestire due narrazioni diverse nel contenuto e nella forma. La storia di Mehar è in terza persona, quasi a voler evidenziare l’assenza di valore attribuita dal contesto storico alla voce della protagonista, la cui esistenza è completamente subalterna alla famiglia dello sposo in quanto donna. Si tratta di un’impressione apparente. La scelta dell’autore è puramente funzionale a far emergere quelle trame nascoste che vengono a galla lentamente, seminando indizi e elementi che preparano il finale.
Nella seconda storia la narrazione è in prima persona, un’impostazione che permette di mettere in evidenza i pensieri, le considerazioni e le riflessioni del protagonista che esprime le sue emozioni sulla propria situazione personale e sulla vicenda di Mehar che emerge silenziosamente anche in questa parte del romanzo.
Data la natura fortemente introspettiva e delimitata dall’ambiente domestico nel quale i due personaggi si muovono, le indicazioni temporali sono molto scarne. Mancano sezioni nelle quali l’autore descrive brevemente il contesto, l’epoca in cui avviene la vicenda. Tale scelta ha lo scopo di non appesantire eccessivamente il romanzo, introducendo informazioni superflue che possono distogliere l’attenzione dalla vicenda familiare che è al centro della storia. La casa, cuore del dramma di Mehar e rifugio inatteso del suo discendente, è l’elemento centrale del romanzo. Tutto ciò che esula da questo nucleo narrativo non viene narrato per non ridurre l’incisività della storia principale. Oltre a questa esigenza è anche doveroso sottolineare che non tutti i lettori conoscono la storia dell’India e dunque indicare nomi, date ed elementi utili a creare un’ambientazione diversa dalla casa, può allontanare il pubblico che, in questo caso, avrebbe maggiori difficoltà a seguire la vicenda. Gli amanti del romanzo storico tradizionale potrebbero non apprezzare questa scelta, ma vorrei dire che vi è una ragione narrativa ben precisa e dunque invito anche questo pubblico a dare una possibilità a questo romanzo.
Curiosa è la scelta di calare lo schema del dramma borghese, un crogiuolo di gelosie, invidie e amori impossibili concentrato tra le mura domestiche, all’interno del contesto indiano. La carica emotiva della vicenda di Mehar è notevole, soprattutto perché segue la tecnica Show don’tell che preannuncia la tragedia finale. I caratteri coinvolti nel dramma seguono lo schema di un triangolo amoroso che si sviluppa su basi insolite e che lascio alla curiosità del lettore. Le tensioni interne si delineano fin da subito tra i vertici di questa struttura, in modo particolare tra il primogenito e il figlio più giovane della suocera di Mehar. Il primo, erede designato in quanto primogenito, è pavido, viziato in ogni sua richiesta dalla madre ma piegato da un carico di frustrazioni personali che non lo abbandonano. Il secondo, bello e forte, è odiato dalla propria madre perché somiglia in modo straordinario al defunto marito e in nome di questa somiglianza, lo condanna all’infelicità e all’impossibilità di realizzarsi, relegandolo ai margini della famiglia. Tra questi due personaggi si muove la giovane e tutt’altro che passiva Mehar. La protagonista non è connotata con elementi anacronistici, sul modello della donna forte ma è una donna del suo tempo che desidera semplicemente essere felice nel matrimonio che le è stato imposto…ma sarà possibile tutto questo?
“Per le donne è diverso, non è così? Non possono scegliere dove andare. Crescono in una prigione e poi si sposano ed entrano in un’altra.”
Mehar, il marito ed il cognato. Ognuno di loro cerca disperatamente di essere felice, di realizzare i propri sogni…ma quanto possono contare i desideri del singolo nell’India Rurale? Sarà questa ricerca a condurre i tre verso un destino che mai avrebbero previsto. Amore ricambiato e negato, brama di possesso e gelosia, rivalità sotterranee e meschinità che travalicano il legame di sangue sono gli ingredienti di questa storia, sicuramente ben strutturata e solida.
La storia del presente è probabilmente meno solida sul piano narrativo ma il dramma del protagonista è non meno suggestivo perché riesce a esprimere in modo veritiero e drammatico il bisogno di trovare un luogo in cui essere accettato. Nel seguire tutte le sue vicissitudini è impensabile non notare le analogie tra la situazione del personaggio e quella dei figli dei migranti del nostro tempo. Pur non essendo specificamente legata al genere storico è una vicenda narrativa davvero suggestiva e interessante.
“Non volevo che mi vedesse, ma sapevo che se fossi tornato subito a casa sarebbe arrivato poco dopo anche lui, ridendo, sorridendo, nascondendo tutto il dolore.”
Per quanto riguarda il finale, che lascio alla curiosità del lettore, mi preme sottolineare l’inevitabile rimando alla tragedia greca, con una narrazione fuoriscena dei fatti conclusivi. Tale scelta però non ha i contorni netti di una cronaca ma i contorni gradualmente sfumati del fumo di un bastoncino d’incenso che, una volta acceso, emana tramite il fumo, le sue fragranze. Un finale sfumato, una visione che sembra netta ma, in realtà, lascia in sospeso molti punti della vicenda. Stilisticamente parlando, è una scelta interessante, ma chi ama finali più incisivi potrebbe apprezzare meno questa linea.
In definitiva è una lettura che consiglio perché al di là degli aspetti possono non incontrare il gusto del lettore, La stanza delle mogli offre spunti interessanti e suggestivi, che possono coinvolgere il pubblico in una vicenda coinvolgente. La traduzione, tra l’altro, è ben fatta e segnalo che l’editore ha inserito a pié di pagina il significato dei termini in lingua indiana, una scelta che ho apprezzato molto.
PRO
- La prosa estremamente chiara e scorrevole
- L’originalità della vicenda narrata
- La caratterizzazione dei personaggi
CONTRO
- L’impianto storico molto esile
- Il finale poco incisivo
TRAMA
Un romanzo così bello da mozzare il fiato
«Lo splendido romanzo di Sahota intreccia due storie di epoche diverse. Entrambi i protagonisti sono prigionieri delle circostanze, ma il loro desiderio di redenzione li rende emblematici della condizione umana.»
The Mail on Sunday
«Uno scrittore dotato di uno straordinario talento, che fa brillare le sue frasi senza mai rinunciare alla semplicità, allo scavo psicologico e a una solida capacità narrativa. Sahota è un fotografo e insieme un pittore, cosa rara in letteratura»
The New Yorker
India, 1929 – Tre spose, tre fratelli, una cerimonia. Coperte dal tradizionale velo rosso, nessuna delle mogli ha potuto vedere il volto del marito. Un velo che non hanno diritto di togliere neppure durante il duro lavoro quotidiano nella fattoria in cui trascorreranno il resto della loro vita, se non quando si ritrovano nella minuscola stanza in cui dormono. La notte, poi, nell’oscurità più completa, è Mai, la suocera, a decidere chi di loro deve assolvere al compito più importante: dare un erede alla famiglia. Mehar, però, è inquieta: ha quindici anni, un carattere forte sotto l’apparenza sottomessa, e vuole sapere chi è suo marito. E un giorno si convince di averlo capito…
India, 1999 – In fuga dall’Inghilterra, dai suoi demoni e dalla società che lo ha sempre umiliato perché straniero, un uomo arriva nella fattoria in cui ha vissuto Mehar. È il suo pronipote e si è convinto che lì, in quel luogo lontano da tutto e da tutti, ritroverà la tranquillità perduta. Mentre lavora al restauro della casa, dorme in una stanza angusta, che ha trovato chiusa e sbarrata. È la stanza in cui Mehar è stata tenuta prigioniera con le altre mogli, una stanza in cui ancora vivono le sofferenze del passato…
La storia di un amore proibito che riecheggia attraverso le generazioni, unendo passato e presente.