Recensione a cura di Laura Pitzalis
Cento anni fa, un pomeriggio del 31 marzo del 1924, nei giardinetti della centralinissima Piazza Cavour, Emma Giacobini, di 4 anni ancora da compiere, gioca tranquillamente con il fratellino di due. Un pomeriggio come tanti in cui va tutto bene, tutto come dovrebbe andare ma ad un tratto la bambinaia si “gira e non li vede più”. Due ore più tardi una donna Caterina Ferroni, sente dei lamenti provenire dal suo campo.
“Esce nella notte, si guarda intorno. C’è proprio una bambina: cammina e le si avvicina tenendo in mano le sue mutandine. Legato al collo, ma davvero stretto, ha un fazzoletto colorato, quadrato, di 40 cm di lato. […] il bambino in lacrime invece era davanti al cinema di piazza Cola di Rienzo.Quel bambino che piangeva a dirotto aveva attirato l’attenzione degli spettatori e dei passanti. E così l’avevano riportato ai giardinetti di piazza Cavour, distanti solo 600 metri dal punto della sua riapparizione.”
Nessuno poteva immaginare quanto quella bambina che sbucava da Vicolo Strozzi, “non fosse che l’inizio della tragedia che stava per rovesciarsi come un temporale su Roma”:
– 4 giugno 1924. Bianca Carlieri di 3 anni, che tutti chiamano la Biocchetta, sta giocando con gli amici davanti a casa. “Vado co’ mi’ zio che me compra le caramelle!” e sparisce su lungotevere San Gallo. Il mattino dopo la trova una donna che va per cicoria. Bianca è nuda, il corpicino chiazzato di lividi. Morta. Roma comincia ad avere paura. Qualcuno si suicida perché accusato ingiustamente dalla folla. Qualcuno viene arrestato, ma non c’entra. Si controllano i vagabondi, menomati e pregiudicati.
– 24 novembre 1924. Rosina Pelli di 2 anni e mezza sta giocando a nascondino con altre bambine nel Colonnato di San Pietro. La mamma, che era lì che parlava con alcune amiche, non la vede più. Il suo corpicino viene ritrovato il mattino dopo a Monte Mario, nel Prataccio della Balduina, quasi completamente nudo, ricoperto soltanto dalla camicina strappata in più parti e da una maglietta.
– 30 maggio 1925. Sparisce Elsa Berni, 6 anni, era andata alla fontana a prendere l’acqua. La trovano sulla golena del fiume, il cadaverino insanguinato. C’è un testimone: mezz’ora prima l’uomo ha provato a portar via Anna Del Signore di 9 anni, ma lei è fuggita.
– 26 agosto 1925. Celeste Tagliaferri di diciassette mesi, viene portata via mentre dorme nel suo lettino. Viene ritrovata, qualche ora dopo, ancora viva, in un canneto fuori Porta San Giovanni, seminuda, sanguinante, con una specie di fazzoletto bianco strettamente annodato al collo.
– 26 febbraio 1926. Alle 20:30, Elvira Colitti di 6 anni risale piangendo le scale di lungotevere Michelangelo. I genitori l’hanno mandata a comprare semolino per cena ma un uomo le ha promesso caramelle e l’ha portata via. Sulla golena ha tentato di violentarla ma qualcosa lo ha disturbato. Elvira sarà l’unica sopravvissuta al mostro di Roma.
– 13 marzo 1927 Armanda Leonardi, 5 anni, sparisce da piazza Fico.
“Armanda se ne stava lì, dalle venti, ad aspettare che i genitori tornassero a casa. Nella casa infinitamente povera che abitavano ad uno sguardo dalla piazza, in via delle Vacche, al civico sei. C’era, l’abbiamo già detto, questa abitudine all’epoca di lasciare i bambini a giocare nei vicoli, quando i genitori erano fuori per un qualsiasi motivo: un motivo in più per facilitare il lavoro dell’Ombra.”
La trovano il giorno dopo all’Orto degli Ebrei, sull’Aventino. Sarà l’ultima vittima.
In tutto saranno sette le bambine finite nelle mani del’ “Ombra” e, di queste, solo tre sopravviveranno.
– Passano 2 mesi e viene arrestato il mostro: Gino Girolimoni. Il sor Gino ha 38 anni, è un mediatore, un viveur, ha l’automobile e se la passa bene. Da subito sui giornali d’epoca è l’assassino, da loro definito come il “martirizzatore di bimbe: un trasformista, prodigo e taciturno”
Tra le prove contro lui: avere 12 abiti, una macchina fotografica, avere caramelle. Gino non confessa, nonostante le pressioni.
Dopo undici mesi di carcere è prosciolto ma i giornali non danno rilevanza alla notizia e per tutti resta l’assassino. Sicuramente nessuno avrebbe mai potuto ripagare i danni morali che subì: il suo cognome “Girolimoni”, utilizzato ancora oggi nel linguaggio popolare romano come sinonimo d’infame per indicare chi ha particolari perversioni, diviene la sua condanna a vita. Muore poverissimo nel 1961.
Lui è l’ottava vittima di questa storia.
“Non sono mai riuscito a farmi una famiglia. Non ho mai avuto il coraggio di chiedere a una donna se volesse assumere il mio cognome…”
Nel libro inchiesta “Un mostro chiamato Girolimoni: Una storia di Serial killer di bambine e innocenti”, Fabio Sanvitale, giornalista investigativo, e Armando Palmegiani, esperto di scena del crimine, affrontano questo caso di inizio ventennio, ripercorrendo, “on the road”, le strade, i vicoli e i luoghi romani teatro, dal 1924 al 1927, dell’orribile vicenda. Si attengono in maniera oggettiva a verbali, atti processuali e fonti varie che non sono molti, purtroppo, perché gli ultimi giorni del fascismo coincidono anche con la distruzione di parecchi materiali che si trovavano presso gli uffici giudiziali.
La storia si sviluppa su tre livelli distinti ma allo stesso tempo intrecciati: c’è la narrazione, la ricostruzione storica e l’indagine investigativa.
La narrazione è in forma dialogica: Sanvitale e Palmegiani dialogano tra loro ripercorrendo oggi le strade dove allora si consumarono i delitti, un continuo confronto che fornisce dettagli e spunti di riflessione per nulla scontati. Sembra quasi di ascoltare le loro voci ed è ammirevole la loro capacità di usare un linguaggio adatto ad ogni tipo di lettore e ad ogni grado di cultura.
La ricostruzione storica è precisa e accurata correlata da descrizioni e foto delle scene del crimine e della capitale. Si respira l’aria degli anni Venti di quella Roma che non c’è più, una Roma di botticelle che segnano i sampietrini, di botteghe, strilloni. Una Roma popolana, ingenua, dove i bambini giocano ancora per la strada, ricca di relazioni sociali strette e rispettose, che in quegli anni persero l’innocenza e la sicurezza.
Infine, l’indagine investigativa che si arricchisce degli interventi di altri esperti: il medico legale Giorgio Bolino che, sulla base di tre delle quattro autopsie ritrovate, spiegherà le esatte cause della morte e il modus operandi del mostro; la psicologa Chiara Camerani esperta in psicopatie sessuali che analizzerà la figura del pedofilo; il criminologo Ruggero Perugini, già capo della squadra antimostro negli anni del “mostro di Firenze,” che traccerà il profilo reale dell’”ombra”.
“Un mostro chiamato Girolimoni”, quindi, tratta di un “cold case” che si definisce un caso unico al mondo perché passato alla storia col nome di un innocente, Gino Girolimoni, incastrato con ben 17 prove false: il mostro andava trovato e se non trovato andava costruito.
Ma perché tanto accanimento?
La risposta è molto semplice. Erano gli anni in cui il regime fascista si stava insediando, il cavallo di battaglia del duce era la sicurezza sociale e il caso del mostro di Roma metteva in dubbio l’efficienza del regime che perdeva così consensi.
“L’isteria aveva invaso i quartieri popolari: violati, sequestrati, violentati da quest’uomo inafferrabile, annusavano l’acre odore della paura e del terrore. La figlia di chi sarebbe stata la prossima? Cosa faceva la polizia? Ah, se fosse successo nei quartieri dei ricchi sarebbe stato diverso, certo! Troppi mendicanti, troppi sfaccendati per le strade: per forza che succedevano queste cose, dopo! Per forza!”
La sua fine era necessaria “a confermare ad un’intera città d’aver fatto la scelta giusta, nello schierarsi dalla parte delle camicie nere”.
Girolimoni è il colpevole perfetto e anche la stampa, asservita al regime, lo sottolinea con forza. Ma un poliziotto, Giuseppe Dosi, un vero segugio che nel dopoguerra contribuirà a fondare l’Interpol, non è convinto delle prove che in effetti sono tutto tranne che decisive visto che anche l’abitudine di tenere i soldi nella tasca anteriore dei pantaloni contribuisce a definirne la caratura criminale. Le sfata a una a una e cerca di dimostrare che il colpevole è un altro, il pastore anglicano Ralph Lyonel Brydges che effettivamente è un pedofilo.
Girolimoni, dopo undici mesi di carcere è assolto per non aver commesso il fatto ma non fu reso noto dai giornali: non era possibile che il regime facesse marcia indietro e dicesse “ci siamo sbagliati“. Ormai controlla direttamente la stampa e la cronaca nera è stata bandita per dare alla gente quella sensazione di sicurezza di cui la propaganda di regime aveva bisogno.
E così il nome di Girolimoni è per sempre legato a quei fatti e diviene sinonimo di pervertito, di mostro. Passa il resto della vita in povertà, facendo molti lavori differenti, cambiando diverse case a causa della nomea che i giornali gli avevano affibbiato. Cerca anche di cambiare nome, ma gli è negato anche questo.
Giuseppe Dosi, nel frattempo, non solo è allontanato dai vertici della polizia e demansionato ma rinchiuso in manicomio da dove esce dopo la caduta del fascismo. Nel 1973 racconta i fatti nel libro autobiografico “Il mostro e il detective” riproponendo la pista seguita al tempo che identificava come principale sospetto il pastore anglicano Brydges.
Per Sanvitale e Palmegiani, comunque, anche Brydges è innocente, e lo dimostrano nel loro libro inchiesta.
Ma chi sarà quindi l’assassino? Riusciranno gli autori a dargli un nome? Beh, questo non ve lo dico per non rovinarvi il gusto di scoprirlo leggendo il libro.
Posso dirvi però che è un libro eccezionale e incredibilmente attuale nonostante parli di una vicenda risalente a cent’anni fa. Un libro che coinvolge sin dalla prima pagina, che intende far luce sul vero mostro di Roma ma soprattutto restituire a Gino Girolimoni una giusta dignità e pace anche se postuma.
PRO
“Un mostro chiamato Girolimoni” è uno di quei libri che può appassionare sia gli addetti ai lavori che il lettore comune, un libro facile alla lettura ma non superficiale che aiuta chi legge a entrare nella vicenda e a “vivere” in prima persona un’Italia molto diversa da oggi. Vi sono dettagli esplicativi che aiutano anche chi non è esperto di criminologia a leggere senza difficoltà queste pagine, per cui un fatto di cronaca nera di quasi cent’anni fa torna a far riflettere dimostrando la sua, a tratti preoccupante, attualità.
CONTRO
Assolutamente nulla.
SINOSSI
Roma anni ’20, in città si aggira un mostro che aggredisce le bambine. Dal fascismo arriva un ordine: fermatelo! Gino Girolimoni, il perfetto capro espiatorio. La storia del primo serial killer romano. Gino Girolimoni: un nome che a Roma vuol dire infame. Il nome di chi avvicina le bambine, le cerca, le vuole, le prende. Un nome usato ancor oggi. Già, ma chi era davvero Gino Girolimoni? Un uomo benestante, coinvolto nella Roma degli anni Venti in una storia molto più grande di lui, così, dall’oggi al domani. Arrestato, accusato di ben sette tra stupri e omicidi a danno di bambine. Peccato che Girolimoni fosse completamente innocente, peccato ogni prova fosse inventata di sana pianta per placare l’isteria, la follia che ormai s’era impossessata dei quartieri della città, della gente. Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani, con l’aiuto di esperti di primo piano, ricostruiscono la vicenda dandone il quadro storico e criminologico completo. Rifacendo le indagini, passo passo, strada per strada, sospetto per sospetto, con le tecniche investigative di oggi.