Il 9 agosto 2024 è stata inaugurata al Museo Egizio di Torino una nuova sala dedicata alla regina Nefertari in cui è accolto il suo corredo funerario che torna a Torino dopo un viaggio che l’ha visto esposto in vari musei del mondo. Abbiamo quindi pensato di omaggiare questa donna del passato con un articolo. Buona lettura!
Articolo a cura di Laura Pitzalis
“È uno dei monumenti più insigni della necropoli di Tebe che se non per ampiezza, certo per l’armonia delle sue parti e la squisitezza dell’arte, gareggia pur anco colle più belle tombe della Valle dei re”
Così avrebbe commentato la straordinaria scoperta della tomba della regina Nefertari l’archeologo italiano Ernesto Schiaparelli, direttore del museo Egizio di Torino dal 1894 fino alla sua morte nel 1928.
Era il 1904, sono passati 120 anni da quell’ eccezionale ritrovamento che parla italiano come la targa che ancora oggi campeggia a ricordare l’opera di Ernesto Schiaparelli che a capo di una missione archeologica italiana scoprì nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, quella che probabilmente è la tomba egiziana più bella, la cappella palatina d’Egitto: la QV66, ovvero la tomba della celeberrima Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramses II (1279-1212), sovrano egizio della XIX dinastia.
CHI ERA NEFERTARI
Il suo nome ha per significato “la più bella”, “la perfetta”. Se ne può ammirare la straordinaria bellezza e grazia dalle numerose iscrizioni e raffigurazioni rinvenute che portarono alcuni studiosi ipotizzarne la parentela con un’altra famosa regina, Nefertiti, figlia del faraone Ay, il penultimo faraone della XVIII dinastia.
Questa ipotesi è supportata dal fatto che fra i pochi reperti trovati dentro la tomba ci fosse un pomello di cassa rivestito di smalto azzurro con il cartiglio recante il nome di intronizzazione del faraone Ay (Keper Keperu Ra).
Solo ipotesi, comunque, perché ben poco si conosce della sua genealogia, l’unica cosa certa è che non aveva il titolo di “figlia di un re”, il che suggerisce che non era probabilmente della linea regale principale.
Nata ad Akhmim nel 1295, a soli tredici anni andò in sposa al quindicenne Ramses, non ancora incoronato sovrano della XIX dinastia, a cui diede almeno sei figli, nessuno sopravvissuto al padre.
Dal momento delle nozze, Nefertari diventò la compagna inseparabile e senza rivali del re; tutte le testimonianze dimostrano che aveva un ruolo estremamente importante nel regno per la sua intelligenza, determinazione e volontà che le permisero di prendere parte accanto al marito ai principali eventi dello stato, ruolo senza precedenti per le altre regine. Fu certamente una delle sovrane più potenti dell’antico Egitto, insieme a Hatshepsut, Tyi, Nefertiti e Cleopatra, sebbene non abbia mai governato autonomamente.
Quello che la distinse in modo particolare fu l’autorità che seppe dimostrare non sentendosi mai nell’ombra del marito del quale godeva della più ampia fiducia. Doveva la sua autorevolezza all’educazione ricevuta fin da bambina, frequentò gli scribi e da essi ricevette un’istruzione eccezionale: sapeva leggere e scrivere, cosa rara per l’epoca.
Ebbe un ruolo determinante nella conduzione e nell’amministrazione dello Stato egizio, grazie anche alla sua abilità diplomatica che gli permetteva di mantenere relazioni con gli altri sovrani del suo tempo: negli scavi di Hattuŝa è venuta alla luce la sua corrispondenza con la regina Puduheba, moglie del re ittita Hattuŝili II, che testimonia un suo importante ruolo di pacificazione tra il popolo egizio e quello ittita in seguito alla battaglia di Qadesh (1275 a.C.).
Non fu mai la “grande donna” che sta dietro un “grande uomo”, lei fu una “Grande Donna” che stava al fianco del suo “Grande Uomo”. L’elevatissima posizione sociale di Nefertari viene ribadita non solo dalle rappresentazioni pittoriche e scultoree, nelle quali viene raffigurata con le stesse dimensioni del monarca, ma anche dalla qualifica, che non figura abitualmente fra i titoli delle sovrane, di “sovrana di tutte le terre” corrispondente alla denominazione “sovrano di tutte le terre” destinata solamente al faraone.
Ramses II era talmente innamorato di Nefertari che lo dimostrò innalzandola alla condizione di “divinità vivente” e facendo erigere, raro privilegio per una regina, a un centinaio di metri di distanza dal suo Tempio Maggiore uno anche per lei, il Tempio Minore.
Non si sa esattamente come e quando Nefertari morì, probabilmente tra i quaranta e cinquanta anni di età. Per alcuni sembrerebbe che le fosse stato fatale il viaggio lungo il Nilo che intraprese insieme a Ramses II per celebrare la fine dei lavori del complesso templare di Abu Simbel. Una leggenda racconta che la Regina sia stata colta da malore e sia morta proprio sulla soglia del Tempio, il giorno dell’inaugurazione; un’altra che si ammalò e fu costretta a rimanere a bordo della nave durante la sontuosacerimonia.
Sicuramente morì dopo la costruzione del Piccolo Tempio di Abu Simbel e prima che la sua decorazione fosse terminata, tra l’anno 26 e l’anno 34. Non si spiegherebbe altrimenti la coesistenza di rilievi nei quali la regina è raffigurata come vivente e che certificano la sua partecipazione alla cerimonia di apertura nell’anno 24 del regno di Ramses, e di una iscrizione sulla facciata tipicamente funeraria che dice:
” Il re Usermaatra, scelto da Ra, ha costruito per la Grande Sposa Reale Nefertari, amata da Ra in Nubia come Ra, per sempre ed eternamente“.
IL TEMPIO
“Unica, amata senza rivali
La più bella del reame … ammirala
È come scintillante stella all’inizio di un felice anno.”
Questi versi sono parte di un poemetto visibile su una delle pareti del Tempio Minore, fatto scrivere dal faraone Ramses II per la moglie Nefertari.
Il Tempio di Nefertari, noto come Tempio Minore e dedicato anche alla dea Hathor, si erge a un centinaio di metri di distanza dal Tempio Maggiore dedicato a Ramses II. Insieme, i due vengono a costituire uno dei complessi monumentali più affascinanti e famosi di tutto l’Egitto, il complesso archeologico di Abu Simbel, dichiarati patrimonio Unesco.
Sommersi dalla sabbia durante i secoli, furono scoperti nel 1813 dallo svizzero Burkhardt ma fu Battista Belzoni che li liberò dalla sabbia e vi entrò nel 1817.
Costruito intorno al 1250 a.C., il Tempio di Nefertari è uno dei gioielli dell’antico Egitto. La sua bellezza, la sua storia e l’importanza culturale lo rendono un tesoro che ha attraversato i tempi e che continua a incantare i visitatori di oggi.
L’architettura è maestosa e affascinante. Grandiosa la colossale facciata direttamente scolpita nella roccia, formata da sei statue, quattro che rappresentano Ramses e due Nefertari, tutte delle stesse dimensioni, dieci metri, unico tempio egizio dove una regina ha la stessa importanza del faraone.
Il tempio si estende per 25 metri all’interno della montagna. L’entrata conduce ad una sala ipostila con colonne i cui capitelli sono formati da teste raffiguranti la dea Hathor. Sulle colonne sono riportate iscrizioni che raccontano episodi di vita quotidiana della coppia reale. Sulle pareti si può ammirare un meraviglioso spettacolo con scene di sacrifici alle divinità.
Tra il 1964 e 1968, il Tempio di Nefertari e quello di Ramses, per evitare che fossero inondati dall’acqua durante la costruzione della diga di Assuan, furono spostati e ricostruiti in un luogo più alto. I lavori durarono ben quattro anni.
LA TOMBA
Schiaparelli ottenne nel 1903 dalle autorità egiziane la concessione esclusiva per effettuare scavi nella Valle delle Regine. Fu durante la seconda campagna di scavi che gli operai scoprirono i primi gradini appartenenti a una scala, indizio sicuro della presenza di una tomba. Dopo aver rimosso gli ammassi di macerie che ricoprivano i gradini, la portarono velocemente alla luce: tagliata nella roccia fra due pareti dipinte di bianco, presentava in centro il caratteristico piano discendente che era necessario per spostare e far scendere il sarcofago. La scala scendeva per otto metri fino a una grande parete con una porta. Sugli stipiti vi era riportato il nome della regina, Nefertari.
Una volta entrato, Schiaparelli si rese subito conto che la tomba era stata chiaramente violata fin dall’antichità, priva quasi del tutto degli arredi funebri e parecchio danneggiata dall’umidità. Ma la QV66, come la tomba è identificata, restava ed è un gioiello per la sua struttura architettonica, e, soprattutto, per il magnifico ciclo pittorico che abbellisce le pareti e il soffitto, uno dei più completi e significativi del nuovo regno.
L’opera dei saccheggiatori aveva lasciato ben poco del corredo originario, furono recuperati e inviati al Museo Egizio di Torino: alcuni resti del sarcofago in granito rosa, 34 ushabti, un frammento di bracciale d’oro, amuleti, cofanetti di legno dipinti e un paio di semplici sandali in fibra intrecciata. Ma il rinvenimento più importante furono parti di un paio di gambe mummificate (tibie e femori e una rotula), che subito vennero attribuiti alla stessa Nefertari, ma con molti dubbi. Diverse ipotesi furono avanzate da alcuni studiosi, che fossero appartenute ad una delle figlie di Nefertari oppure ad una mummia precedente finita nella tomba in seguito ad una frana. Solo recentemente, tramite analisi chimiche, antropologiche, genetiche e la datazione al radiocarbonio si è ha avuto la quasi certezza, (quasi perché in questo campo e con così poco materiale da esaminare le certezze assolute sono molto difficili da ottenere), che i resti trovati nella tomba e conservati nel Museo Egizio di Torino appartengano a Nefertari.
La tomba è molto grande, composta da parecchie stanze che conducono alla “sala dell’oro” e la decorazione è un vero e proprio libro di saggezza che ripercorre le tappe di un’iniziazione femminile. Il sovrano è assente nelle scene raffigurate sulle pareti e Nefertari è l’unico mortale rappresentato nell’ipogeo: questo indica l’alto status attribuitole che le permetteva di interagire direttamente con le divinità senza la mediazione del Faraone.
Le raffigurazioni pittoriche raggiungono apici di qualità nell’ambito dell’arte funeraria egizia soprattutto per la ricchezza di colori (verde, blu egiziano, rosso, ocra gialla, bianco e nero) e di dettagli, mentre i temi e i contenuti rispettano le indicazioni contenute nel Libro dei Morti, con tutte le prove da superare prima di incontrare Osiride e, successivamente, la sua “resurrezione” entrando nel ciclo eterno del divenire.
Il soffitto della tomba è blu e ha stelle dipinte sul soffitto. I dipinti murali raccontano il viaggio di Nefertari verso l’Aldilà, durante il quale gioca a senet (gioco da tavolo, considerato uno degli antenati del backgammon), entra nel mondo sotterraneo dove incontra molte divinità, tra le quali Osiride e Iside. Al termine del ciclo pittorico, Nefertari trionfa e si tramuta in Osiride, dio dei morti, conseguendo l’immortalità e la pace eterna.
RESTAURO
Quando Ernesto Schiaparelli, allora direttore del Museo Egizio di Torino, scoprì la tomba nel 1904 si trovò davanti un ipogeo che in alcuni punti era perfettamente conservato, ma in altri versava già in uno stato di salute abbastanza precario. Schiaparelli intervenne con un ottimo restauro sui dipinti delle pareti, ma negli anni ’50, a causa dei gravi danni causati dalle infiltrazioni d’acqua e dai cristalli di cloruro di sodio che distaccavano le pitture, venne chiusa al pubblico e solo a metà degli anni ’80 venne varato un progetto di restauro della tomba da parte del Getty Conservation Institute in collaborazione con la Sovrintendenza alle Antichità Egiziana che chiamarono a operare un gruppetto di restauratori italiani guidato da Laura e Paolo Mora. Un’ équipe di super specialisti tra i migliori del mondo che con bisturi, pennellini e siringhe, riportarono alla luce lo splendore del ciclo pittorico senza aggiungere nessun colore ai dipinti per cui quelli che si possono ammirare sono i colori originali usati dagli artisti egizi. Fu comunque necessario intervenire con una pulizia preliminare su precedenti tentativi di restauro, rimuovere con l’acetone uno strato di fuliggine causato dai lumi a petrolio usati durante i lavori di Schiaparelli e le successive visite alla tomba, nonché un bel numero di manate sporche.
Un delicatissimo intervento che fece emergere dei particolari riguardanti il lavoro degli operai dell’Antico Egitto: annotazioni di chi eseguì lo scavo della roccia, (“scavare fin qui!”), tracce lasciate dalle cordicelle intrise di colore con le quali i pittori “tiravano le righe” per organizzare gli spazi da dipingere. Inoltre, sui dipinti delle pareti sono stati osservati alcuni schizzi di colore blu (il colore del soffitto) e ciò dimostra che il soffitto venne dipinto per ultimo, metodo che potrebbe sembrare sbagliato ma non lo è se si pensa che si lavorava con poca luce e che lasciare il soffitto bianco avrebbe integrato la luce fiocca delle lampade a olio.
Sfortunatamente, nonostante il preziosissimo ed efficiente lavoro di restauro che, cancellando i segni del tempo e i danni provocati dall’uomo, ha reso possibile ammirare, dopo più di 3200 anni, i colori originali ancora così vividi e brillanti, sembrerebbe che lo scorso 2 marzo 2024 la tomba di Nefertari sia stata chiusa a tempo indeterminato per restauri urgenti sui dipinti che, purtroppo, rivelano evidenti segni di degrado: è possibile che la sua riapertura al pubblico avvenuta nel 2016 abbia influito negativamente sulla conservazione.
La chiusura anche se può amareggiare è indispensabile per la salvaguardia di una delle più grandi opere d’arte dell’Antico Egitto, una finestra sulla vita e la cultura di questa antica civiltà. Patrimonio dell’umanità, deve essere assolutamente preservato e protetto per le generazioni future.