A cura di Ilaria Savino
Nel periodo che va dall’XI secolo al XII, erano di moda la bocca piccola, occhi grandi e tondeggianti con sopracciglia ad arco e pelle bianchissima.
Le sopracciglia venivano rasate del tutto, come anche la fronte che in questo modo risultava più ampia; il volto, le mani e i denti dovevano essere bianchissimi.
Per riuscire ad avere uno sguardo, il più seducente possibile, le donne più ardite si pitturavano di blu o di verde le palpebre e usavano dei prodotti argillosi stemperati in acqua.
Per ottenere questi risultati bisognava sottoporsi ad un’attenta cosmesi: i volti però erano privi di intensità ed espressività, che oggi noi ricerchiamo con il trucco e l’uso sapiente delle matite, ed essere attraenti allora era molto difficile, per cui le donne, ricorrevano ad un velo di rosso sulle gote, mentre le sopracciglia depilate venivano ripassate con il nero. bIn occasioni speciali uomini e donne ingaggiavano addirittura pittori professionisti che dipingevano i loro volti con i colori ad olio o a tempera.
Secondo l’epoca, la damigella ideale doveva avere queste qualità:
“Ha il corpo ben fatto, i fianchi stretti, il collo più bianco della neve su un ramo. I suoi occhi sono grigio azzurri, il viso chiarissimo, la bocca gradevole ed il naso regolare. Ha le sopracciglia brune, la fronte ampia, i capelli ricciuti e biondissimi. Alla luce del giorno sono più luminosi dell’oro.”
Anche in questo periodo la bellezza era molto importante e non veniva tralasciata ed era portata avanti con consigli e rimedi naturali: c’era il make-up, come abbiamo accennato prima, come nascondere le rughe, come rimuovere gonfiori da viso e occhi, depilare il corpo, schiarire la pelle, nascondere le macchie e le lentiggini, lavare i denti ed eliminare l’alitosi, tingere i capelli, fare la ceretta, curare labbra screpolate e gengiviti, utilizzare inoltre unguenti ed erbe curative per il viso e capelli e migliorare il benessere mediante bagni di vapore e massaggi.
La Cosmesi non risulta un aspetto frivolo poiché era un’abitudine irrinunciabile per molte signore fiorentine del ‘300, ad esempio, il peeling e la depilazione:
per levigare e rendere di velluto la pelle del corpo, le donne di Firenze si servivano dell’abilità di professioniste che si recavano a domicilio. Lo strumento adoperato, era una spatola di legno e vetro che veniva ripetutamente strofinata sulle parti da trattare.
Questo tipo di peeling non è niente rispetto alla depilazione, effettuata con arsenico e calce viva o addirittura tramite l’inserimento di aghi roventi nel bulbo pilifero. La pelle del viso e i capelli erano considerati i punti di forza del fascino femminile ed erano quindi le parti del corpo cui ci si dedicava di più.
Per mantenere il viso pulito, giovane e radioso, ci si affidava a ricette di bellezza riportate su antichi manuali o derivate dalla saggezza popolare; l’acqua, addizionata con ingredienti naturali, era alla base della pulizia della pelle. Ovviamente la Chiesa condannava queste pratiche: la bellezza fisica venne considerata dominio del Maligno e pertanto era rappresentata solo come attributo della Madonna e dei Santi.
Anche gli uomini non erano esenti da ingiuria se si scoprivano a curarsi capelli, barba, o se si facevano il bagno. In questo periodo, infatti, la Chiesa mise al bando i bagni pubblici imputati di essere focolai del vizio e il risultato delle sue posizioni fu una decadenza generalizzata delle consuetudini igieniche.
La morale cristiana imponeva costumi rigorosi che influivano anche sullo stile delle acconciature: gli uomini portavano capelli corti e tagliati in tondo, mentre le donne avvolgevano intorno al capo le bende per nascondere le chiome.
Solo in epoca feudale regine e signore dell’aristocrazia cominciarono a portare i capelli sciolti sulle spalle e fermati sul capo da un diadema.
Dalla fine del XIII secolo, uomini e donne del piccolo popolo, coprirono il capo e i capelli con semplici cuffie annodate sotto il mento, mentre gli uomini della borghesia e dell’aristocrazia portavano berretti morbidi a cencio. Tra i giovani delle classi sociali più ricche si diffuse l’abitudine di schiarire, arricciare e profumare i capelli, che scendevano fino alle spalle e spesso erano decorati con ghirlande di foglie e fiori.
A Firenze e a Venezia, gli uomini con i capelli corti, erano guardati con sospetto e considerati dei malfattori.
Una lunga treccia (coazzone) di nastri ornava spesso il dorso delle gentildonne che altre volte raccoglievano sulla nuca i loro capelli in un nodo trattenuto in una reticella d’oro o di seta e circondavano il capo con la lenza o ferroniere, un nastro che lasciava scendere sulla fronte una perla o un’altra pietra preziosa.
In Italia, nel medioevo, soprattutto per le donne, lavarsi i capelli era un’abitudine piuttosto diffusa ma talmente elaborata da richiedere, a volte, buona parte della giornata. Gli ingredienti per preparare gli shampoo dell’epoca, ci lasciano oggi alquanto perplessi, ma pare che allora avessero una certa efficacia. Era frequente mescolare alle sostanze vegetali che di solito fungevano da “shampoo”, un po’ di zolfo e anche frizionare il cuoio capelluto con acquavite e detergenti di vario tipo.
Le acconciature potevano variare a seconda della classe sociale e della personalità di chi li portava: potevano essere arrotolate con imbottiture e retine per capelli, raccolti sulle tempie, oppure a modo corna, coperte da un velo;
Una tra le più portate fu l’acconciatura a cono che era molto diffusa in Francia, ma ancora più elaborata era l’acconciatura a farfalla che consisteva in una struttura in filo di ferro colorato che rappresentava una farfalla coperta da un velo.
Le donne medievali avevano un debole per i capelli biondi, considerati contrassegno di razza e di classe: i nobili, infatti, essendo di origine tedesca, erano quasi tutti biondi.
A partire dal XIV secolo, complicatissimo, era anche il maquillage i cui ingredienti basilari erano il rossetto e la crema, fatta di un velenoso intruglio di polvere di piombo, aceto, miele che conferiva all’incarnato un colore bianco e opaco simile a quello della biacca ma che, col passare del tempo, corrodeva il volto e lo deturpava. Per truccarsi gli occhi le donne usavano un carboncino d’antimonio e nerofumo, antenato del moderno rimmel; per dare vivacità alle gote si utilizzava lo zafferano.
Al posto del sapone si usava la soda o la farina di fave, mentre per la pulizia dei denti si ricorreva all’orina di fanciullo impastata con pomice e marmo grattugiati, oppure con polveri di corno di cervo, cranio di lupi e gusci d’uovo.
I Crociati, tra le altre cose, portarono in occidente i profumi: uomini e donne se ne cospargevano abbondantemente il corpo e gli abiti.
Per lavarsi e vestirsi non occorreva gran tempo: in camera gli arnesi destinati alla pulizia si riducevano a una piccola catinella di terracotta o di rame, posata sopra un treppiede di legno o di ferro battuto.
Generalmente la toletta nel medioevo si faceva dopo essersi vestiti e si limitava al lavaggio delle parti del corpo visibili: faccia e mani.
In occasioni importanti, una volta la settimana o più di rado, ci si lavava a torso nudo davanti ad un secchio d’acqua. Il bagno era riservato ai malati e ai convalescenti. Di faceva in tinozze di legno di cui si ricopriva il fondo con un panno per impedire che le scaglie potessero ferire la pelle; il bagnante vi si sedeva dentro con le ginocchia piegate.
Per le persone meno ricche esistevano i bagni pubblici che restavano aperti tutti i giorni tranne la domenica e nei giorni di festa. Quando l’acqua era calda venivano inviati annunciatori per avvisare la gente.
Infine concludiamo con una piccola curiosità.
Lontano dall’enfatizzare il petto, le donne medievali indossavano il corsetto per appiattirlo, in quanto era considerato molto femminile lo stomaco, che fu considerato monumento di femminilità. Per questa ragione le donne indossavano anche imbottiture che accrescevano soprattutto l’effetto del ventre prominente.
Il potere più conturbante non era considerato quello della vista del seno, ma del piede e meglio ancora del polpaccio.