Recensione a cura di Maria Acosta Diaz
“La donna che odiava i corsetti” è un bel libro per diverse ragioni. E’ perfettamente strutturato, i personaggi sono descritti con cura e i temi sono così interessanti da attrarre l’attenzione di qualsiasi persona che si metta a leggerlo.
Il libro è strutturato in quattro parti:
– nella prima e seconda parte si raccontano gli anni di formazione della protagonista; si descrive lo svolgimento della personalità di Rosa Genoni dal momento in cui è una bambina di dieci anni che deve badare dai suoi fratelli, che si vede costretta a lasciare il suo paese in montagna per andare a Milano, fino alla sua formazione a Parigi.
Dal momento in cui arriva a Milano Rosa scoprirà un mondo che non avrebbe mai immaginato possibile: la grande città. Abitare a Milano significa un numero infinito di possibilità per il suo svolgimento personale. Ne è cosciente. Ma significa anche lottare contro i pregiudizi di chi non la conosce e non sa di cosa sia capace quella ragazzina di Tirano:
“Ero a Milano da quasi un anno e ogni giorno il mio desiderio di conoscere tutto su quella città cresceva un po’ di più”
Rosa è un’osservatrice, una spugna che cerca di assimilare quanto possibile per riuscire ad andare avanti da sola. Proprio come ha fatto la sua nonna Angela. Perché
“non dobbiamo avere bisogno di nessuno, noi [le donne], dobbiamo cavarcela da sole, sempre”
È anche un’osservatrice delle ingiustizie. Prende contatto con la Lega Promotrice degli Interessi Femminili che aprirà la sua mente verso quello che succede in torno a sé.
I contatti con i socialisti, gli anarchici, il suo soggiorno a Parigi e altre molte cose faranno sì che Rosa cresca in maniera diversa senza dimenticare le sue radici.
– nella terza e quarta parte ci parla la Rosa donna, è passato qualche anno, le sue amicizie sono cambiate ma non la sua voglia di liberare le donne dagli atteggiamenti che le costringono a una vita vuota, di madre e sposa, e basta. Sono anni di lotta in tutte le parti e di ogni maniera possibile. Rosa è sempre in mezzo a qualsiasi trambusto, sia uno sciopero, sia un incendio, sia qualsiasi cosa per cui ne valga la pena lottare.
Per tanto, il tema principale del libro è il percorso di vita di Rosa Genoni. Ma le persone non sono esseri isolati dal mondo e la vita di Rosa è legata all’epoca in cui ha vissuto: gli ultimi anni di fine del XIX secolo e la prima metà del XX. Cioè: la seconda rivoluzione industriale. Quella che ha permesso invenzioni impensabile alcuni anni indietro: il telefono, la locomotiva a vapore, le centrali termoelettriche, l’ascensore, la fotografia animata, il cinematografo e l’automobile. Il progresso imparabile dell’uomo verso una società che vede sparire le carrozze come mezzo di trasporto e la luce a gas. Una società che vuole il progresso, ma che non permette a una parte della stessa società andare avanti. E le donne, come al solito, si vedono costrette a tenere un atteggiamento che non va con i tempi. Alcune non si rendono conto, altre, come Rosa Genoni, Maria Montessori, Ada Negri, Paola Lombroso; i giornali femminili come Avanti!, il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane cercheranno di mettere in discussione il ruolo delle donne.
Questi anni vedono gli scioperi degli operai maschi ma anche delle piccole operaie donne. La lotta per migliorare le condizioni di vita di sarte e piscinine è la lotta per le donne in generale.
Un tempo convulso quello che e toccato vivere a Rosa Genoni, un’epoca dura ma anche ottimista, perché tutto è possibile, anche che una ragazzina montana diventi la donna che ha inventato il Made in Italy.
Convulso e duro perché i fatti storici di cui è testimone vedono cadere i vecchi valori, rappresentati dalla morte di Garibaldi e l’assassinio di re Umberto, e la voglia di cambiamenti di certi ceti sociale rappresentato per il Congresso Anarchista a Parigi ma anche per la Lega Promotrice degli Interessi Femminili, l’inaugurazioni dell’Asilo Mariuccia per Ada Negri, la Società Umanitaria, il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, la Legge sulle donne e anche per un pacifismo promosso dalle donne e di cui Rosa Genoni sempre si è vantata.
Ottimista perché attraverso l’educazione le cose possono cambiare. Questa è la ragione per mettere in motto il suo progetto della scuola di sartoria all’interno della Società Umanitaria. Rosa pensa che tramite la moda si possono capire molte cose:
“serve a manifestare i propri ideali. Io per esempio, indossando questa camiciola, le sto dicendo qualcosa di me: che non indosso il busto, che sono vestita abbastanza bene per parlare con i ricchi, ma non troppo sfarzosamente per parlare anche con i poveri, quindi che è mia intenzione abbattere le distanze sociali. In più, non vestendo à la parisienne, indico una via per creare un’identità personale e nazionale della moda.”
E allora, cosa c’entra il corsetto con la vita di Rosa Genoni? Nell’epoca in cui ha vissuto questa donna il corsetto era un indumento che dovevano indossare tutte le donne, altrimenti si era una puttana. La prima volta che Rosa ne vede uno è stato in una delle sartorie in cui lavorava. La colpisce il fatto che anche le sarte dovevano indossarlo e lavorare con questo strumento quasi di tortura.
Così la lotta contro il corsetto diventa la lotta contro tutti gli atteggiamenti che costringo le donne a rimanere in un posto fisso, a non pensare, a non agire per testa sua, a non poter fare niente perché sottomesse alla volontà degli uomini, della stessa maniera che il corsetto faceva con il loro corpo: le costringeva a non poter muoversi con libertà. Perché per Rosa Genoni
“gli abiti che portiamo possono davvero essere una bandiera per le nostre battaglie e le nostre idee”
Il percorso di Rosa Genoni è lo stesso tra il corsetto e l’abito Tanagra, una sua invenzione: tra la schiavitù e la libertà. Libertà di pensiero, di agire, di essere consapevole del suo ruolo nel mondo, libertà per essere uguale ma diversi agli uomini, e anche libertà per amare.
Questo libro mi ha aperto gli occhi a una storia sconosciuta e quasi dimenticata: le storie di donne coraggiose che hanno messo le basi per lo sviluppo di tutte noi che adesso possiamo agire come ci piace. Non si deve mai dimenticare.
Link cartaceo: La donna che odiava i corsetti
Link ebook: La donna che odiava i corsetti
Trama
La storia di Rosa Genoni, la donna che rivoluzionò la moda e inventò il Made in Italy. Rosa ha solo dieci anni quando lascia la sua famiglia a Tirano, sulle montagne della Valtellina, e va a Milano, per lavorare come piscinina nella sartoria della zia Emilia. È il 1877, e la città la travolge con il fermento di una metropoli nascente, l’illuminazione a gas, i tram a vapore, i caffè, la Scala. La vita di un’apprendista sarta è dura, i turni estenuanti, ma la bambina è sveglia, e dimostra subito un talento speciale per la moda. Così assorbe tutto, comprese le nuove idee di giustizia sociale e libertà, e diventa una giovane donna coraggiosa, oltre che una sarta raffinata e dalle idee innovative. Da Milano a Parigi, dove nascono gli abiti che tutto il mondo ama, il passo è breve, ed è proprio lontano da casa, sulle rive della Senna, che Rosa concepisce l’idea di una moda che non sia solo un’eccellente copia di quella d’Oltralpe, ma che risplenda di un’originalità tutta italiana, ispirata ai dipinti del Rinascimento e ai fiori delle sue Alpi. È così che inventa il concetto di “made in Italy”. Tra broccati e toilettes di seta, l’impegno di insegnante all’Umanitaria e l’amore – scandaloso all’epoca – per l’avvocato Podreider, la voce vivida di Rosa ci racconta la sua vita anticonformista e luminosa, le sue battaglie per liberare le donne dai corsetti e dai pregiudizi. Eleonora D’Errico ci restituisce il ritratto appassionato e vibrante di una sarta geniale, un personaggio chiave per la storia della moda italiana – consacrato dalla creazione dall’abito Tanagra – ma anche quella dell’emancipazione femminile. Il racconto di una vita unica che ha saputo vestire di glamour la rivoluzione.