L’intervista di TSD – CARLO ANIMATO
Carlo Animato… in breve
Nella sua vita precedente Carlo Animato si è occupato di teatro, scienze ermetiche, agiografia e giochi di società; in questa attuale, mostra una particolare vocazione per la ricerca storica attraverso documenti d’archivio. Si interessa comunque da sempre ai campi della paradossologia e della pseudoepigrafia, nomi che, nonostante la loro ostica ascendenza greca, indicano lo studio del bizzarro e dei falsi letterari; e giusto per restare nel classico, alterna l’attività di saggista e romanziere (otium) con quella quotidiana di correttore di bozze (negotium). Dopo “Roma Kaputt Mundi” (2012), nel 2017 ha pubblicato “Il falsario di reliquie” (edito dalla TEA), col quale un paio di anni fa ha vinto il torneo letterario del gruppo GeMS IoScrittore.
Buongiorno Carlo, grazie per aver accettato questa breve intervista e per il tempo che ci hai dedicato rispondendo alle nostre domande.
Un buon scrittore è prima di tutto un grande lettore, per cui partiamo da qui. Quali letture prediligi? Hai un modello stilistico di riferimento?
Sono un lettore onnivoro e, va da sé, anche caotico. Nell’ultimo periodo, a causa delle ricerche di base per i romanzi che ho in cantiere, gran parte del tempo è dedicato a saggi di natura disparata, dagli studi storici a quelli criminologici. Così anche i miei riferimenti letterari scontano questa voracità e una certa qual mancanza di ortodossia di gusti e passioni, e i miei padri putativi sono un folto gruppo di “spiriti forti”: Buzzati e Guareschi; Flaubert e Cipolla; Twain e Flaiano; Carlo Ginzburg e Salvatore Battaglia; Annick de Souzenelle e Camporesi; Cervantes e Jack Ritchie, giusto per citare i primi che mi si affacciano alla memoria…
Tutti noi conosciamo la tua passione per la storia, di quale periodo storico vorresti essere spettatore e perché?
Amerei fare una vacanza nella Napoli di metà ‘700, se non altro perché è la città e il tempo che conosco meglio e che ho studiato con maggior cognizione di causa e simpatia immediata. Quando si attribuisce alla mia città il concetto antitetico di “miseria e nobiltà” (reso famoso da una commedia di Scarpetta, poi portata sullo schermo da Totò), ecco, in quel secolo si acuisce il divario tra l’anima pezzente e quella aristocratica, tra il sentire materiale e la sublimazione dello spirito. E se si aggravano i problemi di questa metropoli, a capo di un regno importante, contemporaneamente il fervore di arti e intelligenze la elevano a capitale del pensiero europeo, alla stregua dell’impareggiabile Parigi.
Hai la possibilità di cenare con un personaggio storico (o con uno scrittore del tempo che fu): chi sarebbe e cosa vorresti chiedergli?
Non ho dubbi: Alessandro Dumas padre, il più grande di tutti per genialità, lungimiranza, mestiere e vita avventurosa! Le sue storie a puntate sui giornali, pagate un tanto a riga, erano divorate da migliaia di lettori avidi e in attesa, e io vorrei imparare da lui l’arte di interrompere un capitolo al raggiungimento massimo del pathos, per riprenderlo al successivo senza che l’interesse del lettore sia scemato di un grammo. Tra una portata e l’altra, ben conoscendo la sua passione per il cibo, lo tratterrei a tavola chiedendogli di insegnarmi un po’ di “trucchetti” professionali del narratore sapiente, e anche qualche pettegolezzo succoso sul suo amico Garibaldi.
Passando invece al tuo stile di scrittura: come inizi la stesura di un libro?
Come quando affrontavo il tema in classe, avendo tre ore a disposizione. Le prime due le passavo a pensare e a organizzare in testa la struttura del componimento: un inizio, una fine, molte cose buone dentro, agganciate con grazia e criterio come i grani di un rosario… e l’ultima ora, forse anche meno, a buttarlo giù.
Del resto ho sempre pensato che scrivere un romanzo è come fare all’amore. Importanti, anzi no, fondamentali sono i preliminari: tutto tempo necessario e determinante per lo sviluppo, la crescita, il successo dell’impresa con soddisfazione e gioia, così come gioia e soddisfazione danno lo scrivere e l’amare. Quindi in media mi occorrono sei mesi di ricerche e di approccio al tema da trattare in cui sviluppare (o scartare) la messe di informazioni, curiosità e dati raccolti dalle fonti più disparate; la costruzione dei personaggi e dei fatti; la possibile coesistenza di verosimiglianza e immaginifico; gli eventuali colpi di scena e la ricerca dello stile più adeguato alla materia trattata; oltre allo studio di tutto quanto era quotidiano (dal pensare all’agire, dal mangiare al parlare…) nel secolo preso in esame. Quando tutto questo è sufficientemente chiaro dentro la mia testa, e cioè quando posso ritenermi un uomo del tempo e del paese in cui è ambientata la mia storia, allora quella storia può esser buttata giù quasi d’un fiato, almeno per la prima stesura.
Ti è mai capitato il cosiddetto “Blocco dello scrittore”?
Mi capita in fase di ricerca di un’idea che possa piacermi da cui ricavarne qualcosa di buono. Ma all’inizio della mia carriera da solista ho penato e penato assai, e il blocco dello scrittore è stato per anni compagno odioso ma onnipresente. Tuttavia sono un uomo fortunato, e ho accanto una musa amorevole, testarda e intelligente alla quale non potevo non dedicare il mio primo romanzo. Silvana Oliva non solo è stata l’unica capace di disintegrare la mia impasse e di sostenermi dinanzi al “foglio bianco”, ma fidandomi ciecamente del suo istinto e della sua sensibilità, a lei confido progetti e accenni di idee, ne valutiamo assieme la fattibilità e l’interesse, colgo i suoi suggerimenti critici ed è la mia prima, talentuosa lettrice.
Il nostro blog TSD ha avuto il piacere di recensire il tuo ultimo libro “Il Falsario di reliquie”. Nel rinnovarti i complimenti per questo bellissimo libro, vincitore del concorso “Io Scrittore” nel 2015 e pubblicato con la casa editrice TEA, vuoi dirci come è nato questo romanzo? Perché proprio nella città di Berna, ambientazione quantomeno insolita?
Una storia avvincente e bizzarra al tempo stesso. Come dico spesso, ho un debole per i falsari e le reliquie, gli Ordini monacali, i miracoli e il contrasto sottile fra apparenza e verità. Quando mi sono imbattuto in questa vicenda realmente accaduta in cui convivevano tutti quanti questi ingredienti, ho ritenuto che fosse la “mia” storia e che dovessi assolutamente raccontarla. Ed essendo un fatto autentico e legato a riferimenti precisi nello spazio e nel tempo, non potevo trasferirlo altrove, né avvicinarlo a noi nel tempo. Accaduto a Berna nel 1507, lì doveva restare, anche nella sua trasposizione narrativa.
Nel romanzo storico, la parte fondamentale probabilmente è quella della ricerca. Quanto tempo hai impiegato nella ricerca per il tuo libro storico?
Come ho già detto, non meno di sei mesi di ricerca. Anche perché la maggior parte del materiale inerente a Berna e agli inizi del ‘500 era in tedesco (lingua che non mastico) e in francese, e dunque era necessario dapprima rintracciare le fonti utili e poi utilizzare amici compiacenti e bilingue. Se poi aggiungiamo che la mia conoscenza del luogo e del periodo era a me lacunosa, non si poteva far prima nemmeno se mi avesse costretto l’intera guarnigione delle neonate guardie svizzere, che un piccolo ruolo ha nel romanzo.
Il genere che hai affrontato con “Il falsario di reliquie” è sicuramente molto battuto negli ultimi anni; il thriller storico ha preso piede e conta molti appassionati. È facile però scadere in una storia banale: quanto conta essere assolutamente originali, secondo te? E soprattutto quanto è difficile esserlo?
Si corre sempre il rischio di esser scontati, banali e perché no?, noiosi. Ma sai cosa hanno in comune, ad esempio, Stratone di Lampsaco, Filostefano di Cirene, Flegonte di Tralle e il sottoscritto? Loro erano insigni autori della Grecia antica, io un romanziere alla sua prima prova importante, eppure siamo tutti paradossografi, parola bellissima anche se desueta assai. Vale a dire che ci interessiamo e raccontiamo cose che rientrano nell’ambito del bizzarro, dell’inconsueto, del curioso e dello straordinario. Con questi interessi, sarà più improbabile cadere nella banalità e nel già visto, non credi?
Per concludere l’intervista, ti va di rivelarci qualcosa in merito al tuo prossimo progetto?
Un rabdomante, in possesso di una misteriosa, più che millenaria bacchetta, invece di cercare metalli e corsi d’acqua sotterranea, va a caccia di ladri e assassini e… Ma di più non ti dico, e nemmeno il secolo e il paese in cui questa “stranezza delle stranezze” avvenne, e il tradimento e la congiura che stanno alla base del tutto, fino ai giorni nostri. Perché anche questa è una storia intrigante tanto vera (almeno in larga parte) quanto bizzarra, e merita di esser raccontata con passione, umor nero e spirito di avventura…
Roma Kaputt Mundi Il Falsario di reliquie