Vissuto in una Polonia che si chiamava ancora Prussia, una “carriera” lunga 21 anni, che conta ben 31 omicidi, accusa di cannibalismo e vendita di carne umana.
È il curriculum di Karl Denke, noto come “papà Denke” e il “cannibale di Münsterberg”. Due soprannomi un po’ in contrasto tra loro, non credete?
Andiamo a conoscerlo meglio.
Nato a Münstenberg, (oggi Ziębice) nell’ex Prussia (attuale Polonia) nel 1860, era ben visto dai suoi concittadini per le sue opere di beneficenza verso poveri e vagabondi, che spesso ospitava in casa sua, cosa che gli valse il nomignolo di “papà Denke”. Si guadagnava da vivere intrecciando cesti e realizzando ciotole che poi vendeva al mercato. Un gran lavoratore, una persona amichevole, sebbene taciturna e dai modi burberi. Si offriva di aiutare chi ne avesse bisogno, spesso volontario durante i funerali per trasportare la bara o le corone di fiori.
Nel dicembre del 1924, tuttavia, successe qualcosa che rivelò la vera natura dell’uomo e che lo fece passare da “papà Denke” al “cannibale di Münsterberg”, lasciando la comunità incredula e sconvolta.
In una fredda giornata di dicembre del 1924, infatti, Denke ospitò in casa sua, sita in in Teichstraße 10, diversi lavoratori che spesso vagabondavano in cerca di qualcosa da fare per sostentarsi. Tra questi c’era Vincenz Olivier che Denke sfamò con della carne. Denke gli chiese di scrivere una lettera per lui, un compito che gli avrebbe pagato con 20 pfennig. E fu proprio l’inizio della lettera che salvò Oliver.
Quando Denke cominciò a dettare: “Adolph, trippone che non sei altro!”, Oliver si girò verso di lui e lo vide che stava per scagliarglisi addosso con un piccone ferendolo alla tempia. Sanguinando, riuscì a fuggire e le sue urla fecero accorrere i vicini: trovarono Denke che digrignava i denti, guardava nel vuoto ed era in preda a degli spasmi molto forti.
La denuncia fatta da Oliver cadde nel vuoto, anzi, fu stesso lui a finire in carcere con l’accusa di accattonaggio e vagabondaggio. Ma il giudice ebbe un ripensamento, riascoltò Oliver e dispose l’arresto di Denke che fu così prelevato da casa sua il 20 dicembre 1924.
Due giorni dopo, Denke si impiccò nella sua cella.
Non è ancora chiaro perché abbia imbracciato il piccone contro Oliver, mentre è molto chiaro il motivo del suo suicidio: aveva capito di non avere più scampo.
Quando la casa in Teichstraße 10 fu perquisita dopo il suo arresto, emersero tutti gli orrori da Karl Denke celati negli anni.
Nel capanno in giardino furono rinvenuti 420 denti e 480 ossa umane. Resti di carne umana arrostita erano ancora nei piatti, mentre in alcuni barili vicino al letto c’era della carne umana lasciata in salamoia.
Fu quindi chiaro che il “cannibale di Münsterberg” nutriva i vagabondi che accoglieva con carne umana, la stessa che spolpava dalle vittime precedenti, e della quale lui stesso si cibava, la stessa che vendeva al mercato a ignari acquirenti.
Con la pelle, invece, ci faceva delle strisce che intrecciava in cesti, quelli che rivendeva la mercato.
Ma non è finita qui!
L’uomo teneva un taccuino in cui registrava tutte le sue vittime, compreso il peso e l’altezza oltre che le generalità: vi campeggiavano 30 nomi, quasi tutti uomini e solo quattro donne.
La prima vittima, Ida Launer, risaliva al 21 febbraio 1903, mentre al numero 31, l’ultima, era già segnato il nome di Oliver.
Grazie a questo taccuino fu possibile scagionare un uomo che era stato accusato – a quanto pare ingiustamente – di un omicidio che in realtà era stato commesso da Denke: la vittima era una mendicante di 25 anni, Emma Sander, uccisa nel 1909.
Di fronte a prove così evidenti i vicini rimasero di sale, ma iniziarono a collegare fatti cui prima di allora avevano dato altre spiegazioni: il segare e martellare durante la notte, rumori che avevano attribuito alla realizzazione delle ciotole da vendere e non certo allo smembramento dei cadaveri; lo sversamento in giardino di secchi di sangue che credevano derivasse dalla macellazione clandestina di cani, in virtù della grave crisi postbellica.
Rimane tutt’oggi un mistero il motivo per cui Denke abbia iniziato a uccidere.
L’opinione pubblica collegò Denke a un altro pluriomicida cannibale: Fritz Haarmann, il “cannibale di Hannover“, che era stato condannato a morte quattro giorni prima dei macabri orrori rinvenuti nella casa di Denke, con l’accusa di aver trucidato 27 ragazzi. Ma di lui vi racconteremo in un altro Crime-Story.