La questione imperiale e l’espansione coloniale britannica, ed europea, nella seconda metà del XIX secolo sono certamente tra gli elementi che più caratterizzano l’immagine dell’epoca vittoriana. Il consolidamento del controllo britannico in India dopo la rivolta dei sepoys nel 1857, lo scioglimento della East India Company e la trasformazione in colonie della Corona dei territori che essa amministrava sono l’inizio del British Rule nel subcontinente e la trasformazione dei possedimenti in un vero e proprio sistema imperiale (o “globale”) di relazioni economiche e politiche dirette da Londra. Alla metà del secolo, il Regno Unito ha consolidato il suo impero “informale” in America latina, grazie al ruolo della sterlina nei mercati internazionali e a quello della City come principale fonte di capitali d’investimento. Le colonie d’insediamento bianco (Canada, Australia, Nuova Zelanda, la Colonia del Capo in Africa meridionale), nello stesso periodo, iniziano il grande processo di crescita economica che le caratterizzerà nei decenni seguenti, trasformandole in importanti mercati di esportazione per i prodotti delle industrie britanniche e in aree di crescente immigrazione dalla madrepatria e dall’Irlanda, drammaticamente colpita dalla carestia negli anni Quaranta. La stessa India diviene un essenziale mercato di esportazione per i prodotti inglesi: alla fine del secolo il 27 percento dei tessuti di cotone di Manchester sono esportati nel subcontinente. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che il Free Trade vale solo formalmente nell’impero: esistono molti modi in cui le amministrazioni coloniali possono renderlo ineffettivo e ne faranno ampiamente uso. Le colonie d’insediamento ottengono gradualmente l’autogoverno nella seconda metà del secolo, ma una conseguenza di tale evoluzione sarà la scelta di politiche protezionistiche per difendere la crescita delle proprie economie, pur mantenendo un sistema di preferenze nei confronti dei prodotti britannici.
La natura dell’Impero britannico, le ragioni del suo estendersi in Africa e Asia nel corso del secolo e, più in generale, le ragioni delle politiche imperialistiche del Regno Unito, per esempio in Cina o in Sudafrica, restano tutt’ora questioni aperte all’interno del dibattito storiografico, che negli ultimi due decenni ha rimesso in discussione molte delle certezze (e dei luoghi comuni) consolidati sull’argomento. Uno dei punti più controversi è quanto l’impero sia realmente presente nell’immaginario e nella vita quotidiana dei comuni sudditi o quanto piuttosto non sia una questione che coinvolge le sole élite politiche ed economiche del Paese. Certamente il tentativo di Disraeli di fare della questione imperiale il catalizzatore ideale dell’unità nazionale, messa in pericolo dalla frattura sociale (per alcuni sulla base di un “misticismo cinico”), rende l’impero, e la sua imperatrice, un elemento chiave dell’immaginario collettivo legato all’età vittoriana. È un dato di fatto che le espressioni alte della cultura britannica dell’epoca hanno un riflesso della questione imperiale soprattutto nella letteratura storico-politica, mentre toccano di striscio le espressioni più propriamente letterarie (con poche eccezioni, come Rudyard Kipling, anche se il suo lavoro appartiene solo parzialmente a questa epoca), e quasi mai nei loro esempi migliori. Resta invece più controverso stabilire come le forme di cultura popolare e i prodotti culturali di più largo consumo siano o meno l’espressione di una effettiva presenza del tema dell’impero nella quotidianità di un più vasto pubblico, e in che misura ne influenzino gli orientamenti culturali, sociali o politici.