Recensione a cura di Roberto Orsi
“È come se gli abitanti di Stoccolma fossero stati privati di ogni sfavillio per indossare unicamente uniformi grigie. Le lingue taglienti hanno già trovato un soprannome al 1794, lo chiamano l’età del ferro.”
Niklas Natt Och Dag ci riporta nell’abisso dell’inferno umano. E ancora una volta, dopo 1793 (di cui potete leggere la recensione qui), lo fa con un romanzo poderoso e importante. Ritorniamo a Stoccolma, sul finire del XVIII secolo: Re Gustavo III di Svezia è morto da un paio di anni, era il marzo 1792.
Gustavo Adolfo, suo unico figlio, ha solo sedici anni e non può ancora governare fino alla maggiore età. Il Duca Carlo fratello minore del defunto re, è reggente e tutore del principe reale minorenne. Carlo è un perdigiorno, preferisce gustarsi i frutti del potere piuttosto che amministrarlo con acume. Il potere è in mano al barone consigliere Gustaf Adolf Reuterholm, il gran visir da sempre in contrasto con il defunto re e intenzionato a tagliare qualsiasi legame con il passato per una nuova Svezia. Una Svezia che mette il proibizionismo al centro di tutto, molti i divieti imposti dal reggente: uno fra tutti il consumo di caffè.
Un clima da guerra civile quello che si respira in una Stoccolma che “giorno dopo giorno perde lo splendore di un tempo”. Le tinte disegnate dall’autore sono quelle fosche delle giornate più burrascose, quando il cielo è invisibile sotto una coltre spessa di nubi minacciose. Le stesse nubi che albergano negli uomini e le donne protagonisti di questo romanzo.
Riprendendo il filo da 1793, ritroviamo Jean Michael Cardell alle prese con una nuova indagine: una giovane donna, Linnea Charlotta, è stata uccisa la prima notte di nozze e tutti i sospetti ricadono sullo sposo, ritrovato privo di sensi nella camera da letto con il cadavere della moglie martoriato da una furia violentissima.
“Mi è stato detto che non so dominare i miei sensi e che forse ciò che non è completamente a posto può essere sanato, che la colpa del crimine non è mia e che si tratta semplicemente di un ghiribizzo della mia natura. Francamente non nutro molte speranze. Ho vissuto tutta la vita senza amore, ma mai avrei potuto immaginare come sarebbe stato nel momento in cui lo avessi conosciuto: tanto bello quanto terribile, una febbre nel sangue, un tiranno vestito a festa. E neppure avrei mai immaginato che mi avrebbe trascinato così a fondo nell’oscuro abisso dal quale non vi è ritorno.”
Cardell, che fisicamente ha perso un braccio in guerra, è rimasto “orfano” della sua spalla destra conosciuta nel precedente volume della trilogia, Cecil Winge. In 1794 sarà Emil Winge, il fratello minore di Cecil, ad affiancare Michael Cardell nel ridonare giustizia e verità alla povera vittima. Un caso che sembra scontato: tutto converge su Erik Tre Rosor, il giovane sposo dal temperamento molto particolare, un’insana follia alberga nel suo animo pronta a esplodere in raptus maligni che non lasciano scampo. Per la sua mente instabile non può che essere rinchiuso nel manicomio cittadino.
La prima parte del romanzo è dedicata ai ricordi di Erik. Nel suo diario personale, il giovane ripercorre le tappe della sua vita, la conoscenza di Linnea Charlotta, futura moglie, l’anno di esilio sull’isola di San Barthelemi, possedimento della corona svedese, isola al di là dell’Oceano Atlantico. Lì si scontra con la malvagità umana, la respira a pieni polmoni imbattendosi nella terribile pratica della tratta degli schiavi neri. L’incontro con Thyco Ceton, personaggio ambiguo ed enigmatico che, però, non tarderà a svelare la sua natura, cambierà per sempre la vita di Erik. Il rientro a Stoccolma sarà lo spartiacque di questa storia.
“Si appella all’età della ragione chiunque non capisca che l’uomo è governato da forze che agiscono molto più in profondità della logica.”
Ecco che la classificazione come giallo storico, in cui questo romanzo, come quello precedente, viene imbrigliato molto spesso, risulta stretta e per certi versi fuori luogo. Siamo di fronte a un romanzo storico dalle tinte scurissime, dove ogni personaggio affronta un percorso complicato al di fuori e all’interno di sé.
Se la componente poliziesca e gialla del romanzo, molto presto si affievolisce per un omicidio che l’autore rivela con largo anticipo sul finale, è il racconto psicologico che prende il sopravvento. Si indaga nell’animo umano, scandagliando nel profondo di ogni personaggio e nella loro intimità più recondita.
Tutti hanno più ombre che luci, immersi in una società che non lesina violenza e la sbatte con forza in faccia al popolo, nell’interrogativo sempiterno sull’origine del male e la vera natura dell’uomo, in quelle forme di irragionevolezza che guidano l’istinto e si manifestano nelle situazioni più impensabili.
“Come ci insegna la scienza, la follia deriva da uno spostamento della mente sana dovuto a circostanza esterne o interne, e sappiamo che i pensieri sensati possono essere tentati di tornare solo se il malato riceve uno choc di gravità pari a ciò che lo ha fatto uscire di senno”
La follia umana che si manifesta in varie forme e diversa potenza a volte, purtroppo, così distruttiva da non avere scampo. E, oltre alla violenza, quel piacere che, una mente malata, prova per e con essa.
Scene raccapriccianti quelle descritte in 1794, che si alternano a momenti di riflessione, difficoltà e sfide che i protagonisti devono affrontare. Ritorna sulla scena anche Anna Stina Knapp, già conosciuta nel precedente romanzo, in un rapporto di grande affetto e rispetto reciproco con Michael Cardell e uno sviluppo toccante quanto drammatico. Emil Winge combatte con i demoni interiori che fronteggia fin dalla giovane età, in una solitudine tutta personale e i conti del passato che tornano a batter cassa. Un finale che lascerà in sospeso altri conti, quelli che Cardell ritroverà nel terzo capitolo della trilogia: “1795”.
Niklas Natt Och Dag alterna un registro di scrittura da romanzo d’avventura a scene macabre e altre di grande impatto emotivo affermandosi uno dei migliori scrittori del genere.
“Non abbiamo bisogno di Lucifero, ci bastano i nostri consimili.”
pro
la capacità descrittiva delle atmosfere e dei sentimenti umani. Il passaggio a un registro noir senza mai cadere nello splatter. L’intreccio delle storie dei vari personaggi, storie descritte nelle diverse parti in cui il romanzo è suddiviso
contro
alcune scene più forti che pur non esagerando potrebbero impressionare i lettori più impressionabili. Chi si aspetta un poliziesco storico affronta una lettura diversa. La lettura di 1793 risulta fondamentale per apprezzare meglio alcuni passaggi.
Trama
Stoccolma, 1794. In una città in cui lo splendore del passato sbiadisce giorno dopo giorno, una donna muore la notte delle nozze. Voci e superstizioni corrono incontrollate: c’è chi parla della follia del marito, altri arrivano a evocare l’irruzione di un branco di lupi. La madre è convinta di sapere la verità ma nessuno le crede. Non le resta che rivolgersi a Mickel Cardell, un ex soldato con un arto di legno, che ha fatto della lotta a ogni sopruso lo scopo della sua vita. Una madre piange la figlia assassinata la notte delle nozze. Ma nessuno pare voglia aiutarla a scoprire cosa è successo. Nella Svezia del 1794, le persone comuni non hanno voce. E l’unica speranza di questa madre è un uomo con un braccio solo e una forza eccezionale, Mickel Cardell. L’ex soldato è ancora scosso per la morte dell’amico e mentore Cecil Winge, ma l’indagine dell’anno precedente ha ridato un significato alla sua vita. E risolvere questo nuovo caso porterà, forse, ancora un po’ di senso in un mondo che sembra impazzito.