Recensione a cura di Roberto Orsi
“Un’indagine è del tutto e per tutto simile a una via crucis. Si compone di tappe. Un insieme di soste, fermate e intoppi che si susseguono fino al raggiungimento del traguardo.”
Ed è proprio così che si svolge la nuova indagine targata Marcello Simoni con protagonista Vitale Federici. Un personaggio che il lettore ha già avuto modo di conoscere nella raccolta di racconti “La cattedrale dei morti”, sempre targata Newton Compton Editori.
È il 1793, pochi anni dopo la Rivoluzione Francese che portò grande agitazione e tensioni sociopolitiche in tutta Europa. Il Granducato di Toscana guidato in quel periodo da Ferdinando III di Borbone restò pressoché neutrale nella tempesta provocata dai moti rivoluzionari di qualche anno prima. Ma su pressione dell’Inghilterra che minacciava di occupare Livorno, dovette per forza di cose dichiarare ostilità alla Repubblica Francese e ai Giacobini. In questo clima di instabilità politica internazionale si inserisce la vicenda raccontata ne “La taverna degli assassini”.
Con questo nuovo romanzo breve l’autore abbandona, quindi, la “comfort zone” medievale a cui ci ha abituati nella maggior parte delle sue novelle, per riportarci sul finire del XVIII secolo. All’alba del 1° dicembre mastro Cecco dell’Otre, fattore della tenuta dei Calendimarca, responsabile delle coltivazioni dei vitigni del barone, si imbatte in una scena macabra: un prologo a cui l’autore ha abituato i suoi lettori. Tra i crinali dei monti e i viottoli completamente innevati, ai margini di un campo il cadavere di Giovanni Villafranchi è completamente avvolto tra i tralci di una vite, come se quest’ultima gli fosse cresciuta attorno al corpo senza vita. Una situazione quantomeno singolare per non dire impossibile, considerato il tempo necessario a una vite per crescere in quel modo.
Il barone Leonberto Calendimarca, per evitare di sollevare un gran polverone intorno alla sua tenuta, chiede l’aiuto del precettore Vitale Federici e del suo fido assistente Bernardo Della Vipera. I due raggiungono i territori dei Calendimarca la mattina del 18 dicembre, risalendo in carrozza i sentieri ammantati da un soffice strato di neve. Un arrivo che, se escludiamo il mezzo di trasporto, non può che ricordare la venuta di Guglielmo di Baskerville e Adso da Melk nell’incipit de “Il nome della rosa”. Una scena che ha tutta l’area di un cameo dedicato al grande Umberto Eco.
“I sensi ci possono ingannare. E la mente, per scoprire la verità, deve saper guardare al di là di quanto vedano i nostri occhi e odano le nostre orecchie”.
Vitale Federici, esiliato dalla sua Urbino ormai da tempo, è un uomo disincantato e dotato di grande arguzia. Il suo pensiero sul percorso necessario alla ricerca della verità lo pone al fianco dei grandi investigatori letterari; coloro che, al di fuori del loro tempo, pongono in primo piano la ragione e la capacità di analisi: mai lasciarsi ingannare da una valutazione superficiale dei meri indizi visivi. Risulta fondamentale andare oltre, cercare di osservare da un punto di vista laterale ciò che abbiamo sotto gli occhi.
Al precettore è subito chiaro che la verità si nasconde tra i personaggi che gravitano nella tenuta dei Calendimarca. “In vino veritas”, in questo caso un detto quanto mai azzeccato. Attorno alla coltivazione dei vitigni e la produzione di bottiglie di nettare divino sembra essere annidato il mistero della morte del sensale Villafranchi. La vittima era il commerciante di fiducia del barone Leonberto: si occupava della vendita, soprattutto all’estero, delle bottiglie prodotte nella tenuta toscana.
“Giovanni Villafranchi doveva aver avuto motivazioni ben più valide del semplice vendere botti di vino, per decidere di mettere a repentaglio la propria vita muovendosi ai margini delle frontiere francesi.
Un’indagine a tutto tondo dove il protagonista risale ai collegamenti tra i personaggi, attraverso dialoghi e osservazioni, nei cunicoli del castello dei Calendimarca, tra cantine piene di botti, tra pozioni e decotti, veleni e pugnali. Simoni propone un plot classico da giallo storico in cui l’investigatore riunisce i pezzi del puzzle, coadiuvato da un astuto e sveglio aiutante, attraverso i più piccoli indizi disseminati nel racconto. Le rivelazioni finali, con l’accusa al colpevole e la chiusura dell’indagine, riporta alla mente gli epiloghi dei gialli classici di Agatha Christie, con tutti i protagonisti riuniti in un unico ambiente e la ricostruzione della vicenda, fin dalle prime battute, affidata all’intelligente investigatore.
“Il contrasto era palpabile dispiegandosi su un campo di battaglia che nulla aveva a che fare con il caso del cadavere trovato nella vigna. Riguardava il primato che ciascuno dei due pretendeva d’imporre sull’altro. L’intelligenza contro la nobiltà. L’agilità di pensiero contro il privilegio del sangue.”
Un romanzo breve, godibile e leggero dove l’investigazione e la ricerca della verità sono al centro del tutto. Degna di nota la ricerca dell’autore sulla storia della viticoltura, sulla conoscenza dei veleni e dei loro effetti, inserite nell’economia del romanzo senza appesantire la lettura. Un’opera che si ispira ai grandi gialli classici del passato e ricrea l’ambientazione gotica delle storie anglosassoni, immergendo il lettore nell’atmosfera settecentesca anche grazie alle numerose illustrazioni, nate dall’estro pittorico di Marcello Simoni, all’interno delle pagine.
PRO
L’impronta inconfondibile di Marcello Simoni nel ricreare le atmosfere e le ambientazioni dei romanzi. L’indagine classica dalla vittima all’assassino attraverso la ricostruzione dei numerosi dettagli sparsi nel testo.
CONTRO
Un romanzo breve che poteva, da una parte, avere qualche capitolo in più di approfondimento sia dal punto di vista dell’indagine che dell’impianto storico di riferimento, per gli amanti del genere
Trama
Anno del Signore 1793. Granducato di Toscana. Un castello fondato su un’antica abbazia, un cadavere avvolto nei tralci di una grande vite. Sotto le luci di un’alba invernale, i vitigni innevati del barone Calendimarca si rivelano teatro di un omicidio. Non solo un enigma inspiegabile, ma anche un’onta per il casato del nobiluomo. Vitale Federici, insieme al suo devoto discepolo Bernardo della Vipera, si ritroverà a investigare su un delitto i cui moventi sembrano affondare nell’antica tradizione vinicola della famiglia baronale, e nella sua cantina sotterranea che, simile a una biblioteca, pare celare un indizio sull’identità dell’assassino. Riuscirà Vitale a fare luce su questo caso, in cui ambizione, inganno e antiche passioni si intrecciano in un mistero forse impossibile da decifrare?