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Le interviste di TSD: Antonella Forte

Domande a cura di Raffaelina Di Palma e Roberto Orsi

Ringraziamo Antonella Forte per questa intervista e per aver riportato alla luce la vicenda di Franchetta Borrelli: una donna e una storia finite nell’oblio del tempo.

Per diversi anni lei si è occupata di pubblicità. Quale è stata la svolta decisiva che le ha fatto cambiare strada, abbandonare la professione per dedicarsi a nuovi interessi e nuovi desideri, in primis la scrittura?

A fine 2019 ho subito una perdita terribile, che mi ha scosso nel profondo. Per qualche mese ho vissuto come inebetita, finché ho capito che dovevo venirne fuori, in un modo o nell’altro. Un giorno mi sono ritrovata, sentendo però la necessità di cambiare vita. Ho tolto di torno il superfluo (lavoro, persone, cose) per ritornare all’essenza. Anche di me stessa.

La Strega di Triora” è il suo primo romanzo. Quella di Franchetta Borrelli è una storia vera, senza tempo: lei, personalmente, come l’ha “sentita”, da quale punto di vista ha seguito il percorso di crescita della protagonista; come donna o come scrittrice?

Franchetta ha coinvolto la donna, prima di tutto, perché resto sempre impressionata dal coraggio e dalla forza che hanno le donne, quando vogliono fare qualcosa veramente.

Penso che abbiano una maggiore capacità di guardarsi dentro, di essere sincere e quindi di procedere nella direzione che più sentono giusta per loro. Così ha fatto la protagonista.  Inoltre, credo profondamente nell’amicizia e nella solidarietà femminile, anche se per avere accesso a questa ricchezza, bisogna superare i piccoli fastidi, le cose di poco conto, e accettare che un’altra persona ti guardi negli occhi e ti dica la verità, fino in fondo. Non è semplice.

E poi, via via che prendeva forma la storia, ha finito per appassionarsi anche la scrittrice. In quel momento così terribile il fatto di sedere alla scrivania potendo dedicare il tempo a Franchetta è stato terapeutico. Ore e ore insieme a lei, Magdalena, Antonina , Battistina e tutte le altre! Ho riso e pianto con loro: che grande emozione… che meraviglia! 

Quanto ha contribuito, secondo lei, il coraggio di questa protagonista e quello delle sue “Sorelle” per spezzare quelle catene e liberare la donna dalla terribile gabbia dell’inquisizione?

Bella domanda. Il coraggio di Franchetta è stato indiscutibile e l’ha resa una delle eroine del processo. Era una donna forte e determinata e la sua storia ne è la prova. Relativamente alla sorellanza, è il tema del romanzo. Mi sono immaginata che tutte quelle donne accusate ingiustamente, perseguitate, torturate, trovassero nella solidarietà la forza di ribellarsi, di nascondersi, di aiutarsi.

Ho letto molto sulla storia dell’inquisizione, ma sempre a grandi linee; sentir parlare, singolarmente, di una donna accusata di stregoneria, a livello emozionale, mi ha coinvolto molto di più. È stato così anche per lei?

La storia di Franchetta mi ha preso così tanto che ho buttato giù la prima stesura in una ventina di giorni. Era una storia che conoscevo bene, perché mia suocera era originaria di lì; inoltre Triora l’abbiamo frequentata a lungo con i bambini piccoli. 

Scrivevo e scrivevo, senza alzarmi mai. Franchetta era una donna eccezionale, e mi sono identificata in lei.

La storia si limita a passare il testimone. Proprio in un’epoca che spesso viene descritta in termini di una costante presente e in cui la coscienza storica, nel migliore dei casi, viene confusa come paura della memoria. Per esorcizzare questa paura quanto è importante parlare di superstizione, isteria di massa, in parole povere di caccia alle streghe, che tanta parte ha avuto nella Storia Mondiale, per estirpare alla radice questo male?

Le “streghe” esistono ancora. Sono le donne fragili, oppresse, che non hanno voce, che non hanno il coraggio di ribellarsi e denunciare, oppure che quando lo fanno, non vengono ascoltate. Sono le donne che vivono tutti i giorni avendo paura. Vengono picchiate, violentate o uccise. Succede, purtroppo, e lo vediamo anche in Italia.

E poi, ci sono le Franchette: cito ad esempio le donne iraniane o afgane, che si tolgono il velo davanti ai loro persecutori e girano dei video per raccontarci il loro coraggio. Ecco: loro, per me, sono le vere eroine. E noi, cosa possiamo fare se non prendere spunto, e raccontare? Quando il romanzo era già in mano all’editore, ho voluto inserire, all’inizio e alla fine, una filastrocca, proprio perché mi ero commossa a vedere le loro gesta coraggiose. Ho voluto aggiungere, per quel poco che vale, la mia voce, per non restare indifferente.

“Gridate donne gridate forte! Che siate vive, che siate morte. E se le grida non sentiranno, verrà il giorno che rimbomberanno!”

Le guaritrici che troviamo nel romanzo credono nel potere della Madre Terra, delle pietre preziose come amuleti, nella bava di rospo per causare allucinazioni/premonizioni e di poter inviare messaggi con il pensiero. Cosa può dirci di questi passaggi? Sono tutti documentati storicamente?

Io pratico yoga, e non le trovo cose così strane. E poi, cos’è strano? Sicuramente la mia normalità è differente dalla normalità di altri, e per questo non la ritengo più o meno normale: solo diversa. Questione di punti di vista. E io penso che le diversità siano una ricchezza. 

P.s. La bava di alcune specie di rospo contiene una sostanza che causa allucinazioni.

Le donne che troviamo nel romanzo sembrano essere molto colte: sanno leggere e scrivere. Il romanzo è ambientato in un paese piccolo come quello di Triora, nell’entroterra ligure, alla fine del 1500. A qualcuno è parsa una forzatura? Erano davvero così scolarizzate?

Nel 1531 nella Repubblica di Genova venne effettuata la prima Catarata Generale (censimento). Per ogni fuoco viene considerato un numero medio di 4/5 persone.

Triora contava 500 fuochi, che sono circa 2000/2500 abitanti, quindi allora era tutt’altro che un piccolo paese, casomai una città. Considerate che i paesi vicini ne contavano molti meno (Badalucco 200 fuochi, Montalto 200 fuochi, Molini 30 fuochi, Corte 70 fuochi, Andagna 80 fuochi, Castelfranco e Baiardo 300 fuochi.). 

E poi, era la podesteria di Genova, perciò aveva un discreto peso politico e godeva di condizioni particolari. 

Relativamente alla scuola, nel libro di P.F. Ferraironi, Storia Cronologica di Triora, si trovano informazioni importanti a proposito. Nel 1531 il governo genovese assegna al maestro della scuola pubblica di Triora un compenso annuo di duecento lire.  Nel 1579 la scuola pubblica viene potenziata con la scuola di latino, ad opera del notaio Bernardino Alberti, perciò l’istruzione non solo era accessibile a tutti, ma arrivava anche a livelli superiori.

Franchetta e Isotta facevano parte dell’aristocrazia di Triora. La prima era la figlia di un personaggio importante, famoso anche fuori, perciò è molto probabile che abbiano frequentato la scuola , e magari, visto che erano così intelligenti ed evolute da prendere in mano i propri affari, abbiano poi approfondito ulteriormente.   

Queste donne perseguite dalla Chiesa, erano rimaste fedeli al cattolicesimo?

Franchetta durante il suo secondo interrogatorio – di cui abbiamo la trascrizione – invoca spesso il Signore. Quindi credo di sì, anche se Triora non era un paese così cattolico. Anzi, sembra che le guerre di religione della vicina Francia e i protestanti perseguitati e in fuga diretti in Francia, Svizzera, Germania ecc, avessero influito sulle idee che si respiravano in città.

Per finire, aggiungerei una cosa.

La strega di Triora è un romanzo storico. In quanto storico si ispira a fatti realmente accaduti, di cui abbiamo ampia documentazione e ricostruzioni nei musei. In quanto romanzo i suoi personaggi, le loro vicende personali, i loro caratteri ed evoluzioni, alcune scene, l’ambiente e le suggestioni, nascono dall’immaginazione dell’autore, che attraverso quei colori dipinge, come su una tela, la sua immagine, che è la sua idea della storia. E crea così la sua storia.

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