A cura di Valentina Ferrari
Emanuela Fontana è nata a Milano, ma vive da molti anni a Roma. È insegnante, giornalista e guida escursionistica, ed è stata finalista alla XXI edizione del premio Calvino. Il suo esordio, pubblicato da Mondadori nel 2021, è Il respiro degli angeli. Vita fragile e libera di Antonio Vivaldi, il primo romanzo che ricostruisce la vita del geniale compositore delle Quattro stagioni. Quest’anno, in concomitanza con il 150° anniversario della morte di Manzoni, è uscito il romanzo La correttrice. L’editor segreta di Alessandro Manzoni.
Benvenuta Emanuela e grazie per essersi resa disponibile per questa intervista.
Iniziamo con una domanda sulla protagonista del suo ultimo romanzo. Chi è Emilia Luti, la “correttrice”?
Emilia Luti fu la persona che sedette accanto ad Alessandro Manzoni per molto tempo correggendo insieme a lui I Promessi Sposi per la seconda, definitiva, edizione del romanzo, quella che noi leggiamo tutt’ora. Una ragazza molto giovane ai tempi di questa collaborazione, a cui lo stesso Manzoni dedicò una copia del romanzo “con affettuosa riconoscenza”: Emilia è dunque la più preziosa collaboratrice di Manzoni per la lingua fiorentina, la “risciacquatrice” rimasta nell’ombra.
L’Emilia del romanzo è una ragazza di ventiquattro anni coraggiosa, molto intelligente e qualche volta restia a lasciarsi andare alle emozioni, per i dolori che si porta dietro, molti dei quali ho scoperto attraverso le ricerche biografiche su di lei.
Come, in quale occasione specifica, è nato il suo interesse per questa donna e quali fonti ha consultato per ricostruirne la vita?
Non ho mai studiato il ruolo di Emilia a scuola e nemmeno all’università. Il suo nome mi è balzato all’occhio mentre alcuni anni fa mi sono trovata a studiare un manuale di Storia della lingua italiana per integrare la mia laurea in Lettere. Il testo del professor Claudio Marazzini faceva riferimento ad alcuni bigliettini che Manzoni inviava a Emilia Luti chiedendole le parole fiorentine. Sempre da quel manuale ho scoperto che la loro fu una collaborazione soprattutto orale, che si svolse nello studio di Manzoni a Milano.
La corrispondenza rappresenta solo una minima parte del contributo di Emilia ai Promessi Sposi. Gli studiosi di Manzoni conoscono bene questo nome, ma non sono mai state svolte ricerche biografiche su di lei, e il suo ruolo è sempre stato poco esplorato. Sono quindi partita proprio dalla biografia da ricostruire, scartabellando numerosi documenti dell’anagrafe storica dell’Archivio di Firenze. Per le correzioni ho consultato il vocabolario Milanese – Italiano di Francesco Cherubini, sul quale compaiono le annotazioni di entrambi (a matita di Emilia, a penna di Manzoni) e le correzioni autografe di Manzoni sull’edizione dei Promessi Sposi stampata nel 1827: croci, aste e infinite parole cambiate.
Questo impegnativo lavoro di revisione della lingua, come testimoniato da una lettera di Manzoni del ‘36 a Gaetano Cioni, si svolse sostanzialmente a ridosso della pubblicazione della seconda edizione dei Promessi Sposi, secondo più fonti proprio dal momento in cui Emilia entrò nella vita di don Alessandro.
La vicenda narrata nel romanzo si svolge negli anni tra il 1838 e il 1843, quando ancora l’Italia non esisteva e il Lombardo-Veneto era parte dei domini asburgici. Quali echi di quello specifico contesto storico sono presenti nel suo romanzo?
Inizialmente avevo pensato a un romanzo più breve, di soli “interni”. A livello cinematografico lo vedevo molto simile a “Quel che resta del giorno” per intenderci, o alla “Ragazza con l’orecchino di perla”. Poi, scrivendo, mi sono resa conto che parlare della ricerca da parte di Manzoni di una lingua unita significava entrare nel profondo fermento di quel periodo storico: raccontando questa ossessione linguistica per un italiano scritto comune, volevo mostrare un grande atto di coraggio e una stupefacente visionarietà negli anni in cui si stava costruendo un vero spirito nazionale.
In questo mi ha aiutato molto la musica di Giuseppe Verdi, soprattutto l’ascolto a ripetizione del Nabucco, di cui parlo anche nel romanzo. È stata fondamentale poi la consultazione delle lettere di Massimo d’Azeglio, genero di Manzoni, e la lettura, a cui ho dedicato un tempo infinito, della Gazzetta privilegiata di Milano, un quotidiano di quell’epoca, preziosissimo anche per le informazioni meteorologiche.
I luoghi in cui si muovono i personaggi all’interno della vicenda sono diversi. Visto che, oltre ad essere una giornalista e una scrittrice, nella vita è anche guida escursionistica, potrebbe consigliare ai suoi lettori un itinerario, tra Toscana, Lombardia e Piemonte, sui passi di Emilia e don Lisander?
In passato ho creato itinerari sui passi di scrittori, e artisti in generale, in particolare avevo un progetto per le scuole sugli scrittori siciliani, da Vizzini (Verga) a Racalmuto (Sciascia). Tornando alla Correttrice…Prima di tutto c’è la passeggiata classica di don Alessandro da via Morone a Brusuglio. Si attraversa la città di Milano, circa dodici chilometri, l’ho percorsa a tratti e mi ripropongo di tracciare un itinerario definito. Per scrivere il romanzo ho svolto molti sopralluoghi in strada, tra via Morone e il Duomo, con lunghe soste a piazza San Fedele, dove abitavano i D’Azeglio e quindi Emilia, per due anni, e dove Manzoni cadde dopo l’ultima passeggiata della sua vita, sui gradini della chiesa.
Per raccontare le poche righe del viaggio di Emilia da Firenze a Milano ho ricordato il mio viaggio sulla via Francigena in Versilia, accanto alle pareti di marmo di Carrara. In realtà si potrebbe anche percorrere la via degli Dei da Firenze e Bologna, cercare un itinerario da Bologna a Piacenza, e poi a Piacenza riallacciarsi alla via Francigena, che anche nell’Ottocento era la A1, una sorta di autostrada degli spostamenti in carrozza.
Ho letto che, nel 2009, è stata finalista alla XXI edizione del premio letterario per scrittori esordienti Italo Calvino con il romanzo Sottochiave, cui è seguito il giallo Indagine sul mio omicidio. Come è cambiata Emanuela Fontana, in contenuti e stile, rispetto a quell’esordio letterario?
A quell’epoca lavoravo come giornalista e avevo ben poco tempo per dedicarmi alla scrittura narrativa. Il giornalismo incolla alla “penna” dei difetti, quando ci si sperimenta con una scrittura diversa, che sono difficili da togliersi di dosso. Credo che tutti i giornalisti scrittori abbiano fatto una certa fatica nel passare da un “mestiere” all’altro, soprattutto i cronisti, chi deve scrivere tutti i giorni. Se fossero ancora vivi, mi piacerebbe chiedere un po’ di segreti a Dino Buzzati e a Gabriel Garcia Marquez. Io ero una cronista, sicuramente badavo più alla storia che alle parole, amavo leggere e scrivere thriller o gialli. Poi sono tornata alle mie origini, a quando sognavo di fare l’archeologa da bambina, e ho capito che scavare, nella storia o nella lingua, come ha fatto Manzoni, è l’avventura che sento più affine alla mia natura.
L’insegnamento mi ha certamente dato una nuova attitudine alla chiarezza e alla precisione, anche all’onestà, perché con i ragazzi in classe bisogna essere prima di tutto onesti.
Assistendo ad una sua presentazione, ho scoperto infatti che, nei mesi di stesura de La correttrice, ha svolto anche la professione di insegnante. Che cosa le ha lasciato quest’esperienza? Pensa di proseguire su questa strada?
Ho scritto alcune frasi di questo libro nell’aula professori dell’istituto Cartesio di Roma. Altre mi sono venute in mente mentre parlavo con i ragazzi. Ho condiviso qualche volta con loro le incertezze di Manzoni nella scrittura. Erano affascinati dai suoi “scarabocchi”, come lui stesso li chiamava. Abbiamo anche scritto in classe alcuni brevi racconti ispirati ai personaggi dei Promessi Sposi. Insegnare per me significa ringiovanire di molti anni, e in qualche modo tornare a giocare, bisognerebbe non perdere mai il gusto del gioco. È un mestiere faticosissimo, e ho capito solo ora quanto dall’esterno questa fatica non sia sempre percepita. Una fatica brillante, vivificante, come quando si arriva in cima a una montagna, aria fresca e mal di gambe.
Che lettrice è Emanuela Fontana? Ci può gentilmente lasciare un consiglio d’autore?
La rilettura dei Promessi Sposi ha reso più chiari i miei gusti stilistici. I Promessi Sposi è il romanzo più onesto che io abbia mai letto, in cui l’autore osserva e assolve i personaggi come facciamo con noi stessi. Un romanzo in cui si sente cuore e fatica, si sente il dolore della scrittura, si sente addirittura l’imperfezione. In quello che leggo cerco soprattutto questo tipo di onestà.
Gli autori che me la comunicano appartengono a generi molto diversi: pensando agli italiani posso dire Giorgio Scerbanenco, e anche Italo Calvino nei momenti in cui è meno perfetto (per esempio in alcuni passi struggenti del Barone Rampante, il mio libro del cuore). Ho la fortuna di aver letto moltissimi classici tra i diciassette e i diciotto anni, ma ora ho ricominciato a rileggerli tutti perché ero troppo giovane. Posso dire che Dostoevskji, Marquez, Simenon e Hemingway sono gli autori che mi risuonano interiormente da sempre come un’eco. Calvino ha un posto privilegiato e tutto suo. Poi ci sono i classici antichi, che non dimentico mai e che riprendo spesso in mano, soprattutto Ovidio con Le Metamorfosi, Virgilio, Seneca e i lirici greci.
Si parlava di onestà… Ecco, Manzoni mi ha insegnato che la ricerca della perfezione significa ricerca dell’onestà. La parola più giusta in fondo è la più onesta, la più netta, pulita. Prima cercavo un po’ forzatamente le parole che illuminano, ma a volte una parola d’ombra è giusta in quel posto e non c’è bisogno di renderla più bella. Devo lavorare molto sull’ombra, sulla semplicità, cercando di far sparire ogni forma d’ego per dare più agio al lettore, consentirgli di entrare nella storia come se io fossi invisibile, o, comunque, come se fossi soltanto uno strumento. Con il suo romanzo Manzoni voleva anche cambiare il mondo, illuminare una strada, un sogno impossibile senza umiltà. Il miracolo dei Promessi sposi credo che sia proprio questa umiltà.
La ringrazio di cuore per la sua disponibilità e le chiedo la cortesia di salutarci con una citazione dal suo ultimo libro.
Ora una lettrice ne ha inserita una sul suo profilo e preferisco citare le frasi che piacciono ai lettori più che a me (Simenon diceva: Se hai ottenuto una frase meravigliosa, tagliala). “Perdono è l’unica parola che le chiedo di non cambiare. La capiscono dal Piemonte alle Sicilie. Come la paura.”
In che modo sono legate le sorti di una giovane bambinaia e del romanzo più celebre della storia della letteratura italiana? Per scoprirlo bisogna calarsi in un palazzo nobile della Firenze del 1838, dove quella ragazza di nome Emilia Luti, nubile e orfana di padre, per mantenere la madre e le sorelle minori fa la spola giorno e notte tra la stanza dei bambini e il Gabinetto letterario di casa Vieusseux, nella doppia mansione di bambinaia e aiutante di biblioteca. Quando Massimo d’Azeglio la incontra nel salotto dell’amico rimane colpito dai suoi modi schietti e dal suo fiorentino purissimo e le propone di seguirlo a Milano per occuparsi della piccola Rina, la bambina avuta dalla prima moglie Giulietta, figlia di Alessandro Manzoni. È così che Emilia fa il suo timoroso ingresso nella casa dello scrittore che con i suoi Promessi sposi ha già conquistato il cuore di migliaia di lettori. Il romanzo ha avuto successo, ma lui non è soddisfatto, si è messo in testa di ristamparlo in un’edizione illustrata e di rivederne completamente la lingua, per avvicinarla ancora di più a un fiorentino capace di parlare a tutti, “una lingua che diventi la lingua degli italiani”. Quasi per scherzo, sottopone a Emilia qualche frase, e impressionato dalle sue osservazioni comincia a mandarle dei bigliettini per chiederle aiuto. I due finiranno per rileggere e correggere insieme l’intero romanzo, tra lo studio di Milano e la villa di campagna a Brusuglio, circondati e spesso distratti dalle vicissitudini dell’ingombrante famiglia Manzoni. Capitolo dopo capitolo, fiorirà tra loro la confidenza che nasce quando si cammina insieme in quel luogo spaventoso e pieno di meraviglia che sono le parole di uno scrittore. Don Alessandro rivelerà a Emilia le sue paure, e a sua volta Emilia si aprirà con lui fino a raccontargli il suo più grande segreto. Prendendo le mosse da una storia vera rimasta finora nell’ombra e attingendo dalla corrispondenza tra il Manzoni e la Luti e da materiali inediti emersi dalle sue ricerche, Emanuela Fontana traccia un ritratto profondamente umano dello scrittore più idealizzato di tutti i tempi e trasforma Emilia in un grande personaggio letterario, sagace e libero, rendendo così giustizia al contributo dato da una giovane donna al romanzo più famoso di sempre, nella versione che tutti noi abbiamo letto e studiato.