Articolo a cura di Valentina Ferrari
A Milano, a pochi passi dal Duomo, dal teatro La Scala e da Palazzo Marino, all’angolo tra via del Morone e piazza Belgioioso, è ubicata la casa di Alessandro Manzoni. In questa dimora signorile, le cui facciate spiccano per le splendide decorazioni in terracotta di Andrea Boni (1864), lo scrittore trascorse gran parte della propria esistenza: dal 1813, anno dell’acquisto dell’edificio al prezzo di 107 mila lire, fino alla morte, sopraggiunta proprio oggi 150 anni fa: era il 22 maggio 1873. Tra queste pareti, Manzoni compose “I Promessi sposi”, ricevette amici intimi e ospiti illustri, visse con la sua numerosa famiglia.
Casa Manzoni, oltre ad ospitare il Centro Nazionale di Studi Manzoniani, è anche un museo aperto al pubblico e luogo di svariate proposte culturali, come gli incontri organizzati dal Circolo dei Lettori di Milano, o alcune delle presentazioni che si tengono in occasione di Bookcity. Si tratta quindi di un polo culturale e di studi di grande importanza sia a livello nazionale che internazionale, nonché punto di riferimento per gli abitanti di Milano e della provincia.
Il percorso di visita al Museo è strutturato in dieci sezioni, dal cortile interno, al piano terra, per poi proseguire con le stanze del primo piano. Per il visitatore, l’immersione nell’universo manzoniano è totale e non può che risultare un’esperienza indimenticabile.
Si inizia dal piano terra dove troviamo una stanza dedicata agli amici intimi del Manzoni, come il poeta dialettale Carlo Porta e lo scrittore Tommaso Grossi, assidui frequentatori della casa e rappresentati in alcuni dipinti appesi a queste pareti; lo studio dello scrittore, sempre al piano terra, affacciato su un giardino silenzioso e appartato, è la stanza dove Manzoni poteva ritirarsi, meditare, scrivere e accogliere i visitatori. Oggi, la sensazione che si prova entrandovi è che il tempo si sia fermato: migliaia di volumi, contenenti foglietti annotati a mano dallo scrittore, occupano le sue pareti; il suo scrittoio ce lo fa immaginare chino sulle carte del romanzo; le due poltroncine, intento a discorrere con amico o con un illustre personaggio; e, se si solleva lo sguardo, si è rapiti dallo splendido soffitto a cassettoni magnificamente conservato.
Salendo lo scalone centrale, si raggiungono le stanze del primo piano, dove si svolgeva la vita quotidiana della numerosa famiglia Manzoni: Giulia Beccaria a sovrintendere i lavori, Enrichetta ad occuparsi dell’educazione dei figli, entrambe collaborando per mantenere la casa accogliente e festosa. Un clima sereno, guastato dalla morte di Enrichetta e della figlia Giulietta, le prime di tante altre premature dipartite.
Fino a quando, nel 1837, fa il proprio ingresso in casa e in famiglia, accompagnata dal figlio diciassettenne Stefano, Teresa Borri vedova Stampa che, come chi l’aveva preceduta, si insedia al primo piano dal quale, attraverso la scaletta di comunicazione con lo studio, può osservare il suo Manzoni, da lei tanto ammirato e desiderato.
Giunti al piano primo, attraverso altri arredi e opere d’arte esposte nelle sale, si ripercorrono diversi itinerari nella vita e nell’opera dello scrittore: dalla famiglia ai ritratti, dai paesaggi del romanzo alla sua passione per la botanica, fino alla camera da letto, conservata tale e quale egli la lasciò. Nella sala dedicata alla famiglia, spicca uno Stato di famiglia incorniciato, dove compaiono i nomi dei genitori (legali) di Alessandro, quello della prima moglie e dei dieci figli, il nome della seconda moglie e il ricordo delle gemelle da lei partorite ma non sopravvissute. Una chicca presente in questa stanza è la cornice con l’ultimo ricamo della regina Maria Antonietta, rappresentante un puttino biondo e paffutello che riempie di fiori una cesta di vimini. Esso, realizzato dalla regina nella Prigione del Tempio il giorno prima di essere ghigliottinata, fu donato da Maria Antonietta a Sophie de Condorcet, che a sua volta lo fece avere alla sua cara amica Giulia Beccaria.
Nella stanza dedicata ai ritratti, vediamo delle rappresentazioni che restituiscono l’aspetto di Manzoni negli anni, da quelli giovanili, per esempio il Manzoni ventenne ritratto da un pittore anonimo, alle rappresentazioni più celebrative della vecchiaia, come la fotografia dello scrittore ormai ottantenne.
Per ammirare due dei suoi ritratti più celebri, ci si deve allontanare di poco da casa Manzoni: uno, il dipinto del Molteni, eseguito in collaborazione con D’Azeglio, si trova presso la Biblioteca Braidense; l’altro, quello famosissimo di Hayez commissionato dal figliastro Stefano Stampa, presso la Pinacoteca di Brera.
L’immaginario collettivo de “I Promessi sposi”, grazie al suo grande successo, divenne ben presto popolare: luoghi, personaggi, momenti della vicenda venivano rappresentati in innumerevoli illustrazioni a corredo delle varie edizioni dell’opera, in dipinti, sculture e incisioni. Nella sala dedicata alla fortuna del romanzo, tra pittura, scultura e illustrazione, spiccano un dipinto dell’Addio ai monti e uno dell’addio a Cecilia, tra gli episodi più toccanti del romanzo.
Nella sala successiva del percorso, la fanno da protagonisti i libri: delle splendide edizioni, molte delle quali illustrate e magnificamente rilegate, che facevano parte della ricca e aggiornata biblioteca di Teresa Borri e del figlio Stefano. Proprio queste edizioni servirono da modello per l’impresa editoriale che vide uscire “I Promessi sposi” a dispense tra il 1840 e il 1842 nell’edizione illustrata di Gonin, qui presente. Un’idea che si deve in buona parte alla seconda moglie di Manzoni che diede un contributo importante nel rendere più moderna la veste del romanzo.
Contigua alla sala appena descritta, c’è la camera da letto di Manzoni che il visitatore può osservare rimanendo sulla soglia della porta. Ciò che colpisce è la semplicità dell’arredo: un letto singolo, un tavolino con delle sedie, alcune poltroncine, un piccolo scrittoio, un caminetto sormontato da uno specchio, un canapè e una cassettiera; alle pareti una carta da parati molto sobria, vicini al letto un crocifisso e un quadretto sacro. La sobrietà del locale e degli arredi ci restituisce l’immagine di un uomo modesto e per nulla pretenzioso, nonostante il suo essere uno scrittore affermato e ammirato.
Proseguendo la visita, si giunge nella stanza dove sono raccolte e conservate alcune opere del Manzoni, poetiche e saggistiche, di storico e di linguista. La chicca qui presente è il manoscritto di “Marzo 1821”, ode ideata nel ‘21 ma riscritta e data alle stampe solo nel 1848, dopo le Cinque Giornate di Milano. Un inno alla libertà dei popoli contro l’oppressione straniera, la cui vista, nella sua versione manoscritta, provoca un brivido di emozione in tanti che, probabilmente, ne ricordano i versi … un grande classico su cui generazioni di studenti hanno esercitato la propria memoria e abilità recitativa.
Il percorso museale si chiude con le ultime due sale: una dedicata al “fattore di Brusuglio”, ovvero al “Manzoni botanico”, e l’altra alla pittura di paesaggio, il paesaggio lombardo ottocentesco, così come Manzoni potè vederlo: la città di Milano, le vette della Grigna nel Lecchese, le vedute lacustri che tanto ricordano le pagine del romanzo. Gentiluomo di campagna, proprietario di vasti terreni, lo scrittore era anche un esperto agronomo: realizzò nuove tecniche di coltivazione, si interessò di giardinaggio e rimodellò il parco della villa di campagna di Brusuglio, dove la famiglia Manzoni trascorreva le estati. Manzoni amava percorrere molti chilometri passeggiando per le campagne: a testimoniarlo troviamo, in questa sala, due suoi bastoni e un cappello da passeggio, un ombrello, la sua mantella e la sua tuba.
Insomma, la visita di Casa Manzoni non può che rivelarsi per chiunque la compia un’esperienza imperdibile: essa ci racconta l’uomo, lo scrittore, il patriota, il botanico, le tante sfaccettature di uno dei più grandi romanzieri di tutti i tempi.
Solo un ultimo consiglio per concludere il percorso: quello di recarsi nella vicina Piazza San Fedele ed entrare nella Chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele, la parrocchia di Manzoni, dove, agli inizi del 1873, nel recarsi a messa, cadde sui suoi gradini, riportando un trauma da cui non si riebbe più. In sua memoria la bella statua del Barzaghi (1883) campeggia al centro della piazza di fronte all’edificio.