“Sei proprio una pittima” (o pitima, in dialetto veneziano)!
Tutti lo abbiamo detto (o sentito dire) almeno una volta, per indicare o appellare una persona noiosa, che si lamenta in continuazione di piccole cose; o, per prendere a modello il sillabario veneto, “una persona molesta, lamentosa, assillante, noiosa, proprio come un medicamento che genera dolore o fastidio, ma del quale non ci si può facilmente liberare”.
Ma la pittima prima di entrare in un modo di dire era un lavoro, ingrato, ma un lavoro.
Era, infatti, una persona pagata dai creditori per seguire costantemente i loro debitori. Una sorta di pubblico ufficiale, un esattore che aveva come compito quello di ricordare a costoro che dovevano saldare il debito contratto.
Coloro che avevano un credito di difficile riscossione, si rivolgevano ai servigi della Pitima che, vestita di rosso, seguiva in continuazione il debitore gridando ad alta voce e additando l’insolvente così da farlo piombare talmente tanto nell’imbarazzo da farlo cedere e saldare i propri debiti.
Perché doveva vestire di rosso? Perché doveva essere facilmente riconoscibile poiché tutti dovevano sapere che il perseguitato era debitore moroso.
E nella Serenissima Repubblica di Venezia la figura della pittima era una figura istituzionale commissionata dello Stato, reclutata tra i poveri e gli emarginati i quali godevano di assistenza pubblica in mense e ostelli a loro riservati in cambio della disponibilità su richiesta delle istituzioni. E il perseguitato non poteva in alcun modo nuocere alla Pitima (o Pittima) pena una severa condanna.
Da dove deriva il termine pittima? Dal greco antico e, nello specifico, alla parola ἐπίϑεμα (epithema) e, cioè “ciò che viene posto sopra”. In Grecia, indicava un impacco terapeutico che veniva messo sopra la ferita; l’impacco, però, procurava un certo fastidio era un impiccio, e in molti casi limitava anche la mobilità del malato. Ecco il perché della specifica riportata nel Sillabario veneto.
E voi, lo sapevate?