A cura di Tiziana Silvestrin
Una storia che corre per le calli racconta di come Girolamo Grimani si fosse innamorato di una Tiepolo, ma quando l’aveva chiesta in sposa al padre, questi gli aveva risposto stizzito: “Non sarà mai dito vero che mi daga la man de mia fia a un desperà che no ga gnanca palazzo in canal”. “Speta mi” aveva risposto il ragazzo “che te fabbricherò un palazzo che gabia le finestre più grandi del porton del tuo”
L’incarico lo ebbe l’architetto Michele Sanmicheli che realizzò un edificio con le finestre più grandi della porta di quello del Tiepolo. Girolamo Grimani si era poi sposato con una Pisani.
Il palazzo risplendente di marmi bianchi si affaccia sul Canal Grande di Venezia con tre piani di ordine corinzio; alte colonne scanalate sono state realizzate a sostegno del lungo poggiolo posto tra il piano inferiore e quello nobile, a sua volta diviso da quello superiore da un robusto marcapiano. Il grande portale d’acqua sulla facciata venne decorato nella parte superiore con due statue della Vittoria.
Girolamo era il padre del doge Marino Grimani, marito della dogaressa Morosina Morosini, entrare nel suo palazzo è stato facile, parlare con lei non tanto; sono entrata in punta di piedi nel suo studio.
“Dogaressa Morosini vi disturbo?”
“Certo che disturbate, non vedete che sto lavorando? E le faccende di cui mi devo occupare sono tante e tanto complesse. Guardate qua quante carte! E il mio segretario dov’è ? Dov’è finito quel mastega brodo? L’avete visto per caso?”
“In realtà no, però intanto che aspettate che torni potreste rispondere a qualche domanda? Sono molto curiosa di sapere di che faccende vi occupate, se è lecito chiedervelo.”
“Va bene, quello scimunito starà correndo dietro a qualche donnetta. Accomodatevi allora, su quel tavolo trovate della pinsa e dei baicoli da intingere nel vino, in quella caraffa c’è della malvasia di Candia, servitevi pure. Quanto a me versatemi una tazza di infuso, mi serve per calmare i nervi. Ora che mio marito Marino Grimani è diventato doge, sono io a dover seguire tutti gli affari della famiglia, a trattare con i mercanti di Venezia e d’oltremare, con i comandanti delle navi e con gli intermediari della terraferma e pure con i fittavoli, è da un po’ che non si può vivere solo di commercio, abbiano provveduto ad acquistare buone terre a Padova e a Vicenza, ma per farle fruttare bisogna farle lavorare come si deve. Commerciamo in legnane, sale, spezie, zucchero, ma i grandi guadagni negli ultimi anni arrivano dalla vendita di generi di lusso, come i vetri di Murano, sete e tessuti pregiati, merletti.”
“Dei merletti ho tanto sentito parlare, so che avete istituito un grande laboratorio dando lavoro a molte donne. Buoni questi dolci.”
“Mi fa piacere che vi piacciano, la mia cuoca è molto brava, troppo brava a volte. Certo, il laboratorio si trova in contrada santa Fosca nel sestiere di Cannaregio, vi lavorano più di cento donne che in questo modo possono guadagnarsi il pane, altrimenti chissà che fine farebbero quelle disgraziate! O meglio so benissimo che fine farebbero! Sotto un ponte a chiedere la carità o in una stanza malsana a fare le prostitute, con una mezzana che si tiene metà dei loro guadagni.
Diventerebbero “cortesane de candela”, donne che fanno una tacca sulla candela e i clienti possono usufruire dei loro servigi nel tempo che la fiamma impiega a consumare la cera sino a quell’altezza, ‘ste poverette non hanno manco i soldi per comprarsi una clessidra e men che meno un orologio. Lo sapete che le donne, anche se ottime lavoratrici vengono pagate la metà degli uomini? E così molte disgraziate per mettere qualcosa in tavola, soprattutto quelle rimaste vedove con dei figli, anche se lavorano come filatrici, ricamatrici, lavandaie o sguattere, sono costrette a prostituirsi. Le merlettaie lavorano sodo, ma non hanno bisogno di prostituirsi, perché ricevono la giusta paga per impreziosire indumenti, lenzuola e tovaglie con il punto Venezia.”
“Ma non tutte fanno una vita così…brutta.”
Parlate delle “cortesane oneste”? Quelle che possono scegliersi i clienti e vivono nel lusso? Certo, e quante sono? Qualche decina rispetto alle migliaia di poveracce che vivono nel Castelletto, quel quartiere vicino a Rialto o alle Carampane, costrette a mostrare la loro merce al ponte delle tette per attirare i clienti. E comunque le malattie non fanno distinzione tra cortigiane oneste e prostitute, finiscono poi tutte nello stesso ricovero, senza possibilità di guarigione.
“So che siete una donna di denari, abile nel gestire i vostri affari, ma come siete diventata dogaressa?”
“So il fatto mio! Non manco di intrattenere buoni e proficui rapporti con l’alta aristocrazia veneziana. I Morosini sono una nobile e antica famiglia che ha già dato alla Serenissima tre dogi ed è stato grazie a me che mio marito è stato eletto doge e io dogaressa. Se la ricordano tutti la mia incoronazione, si festeggiò per tre giorni. Il 4 maggio nella sala di palazzo Grimani in san Luca, con indosso un vestito di panno d’oro e un gran manto d’oro riccio a fiorami d’argento, che splendore quell’abito, con in testa il corno da cui scendeva un lungo e sottilissimo velo di seta e una croce di diamanti sul petto, ricevetti i maggiorenti e prestai giuramento alla Serenissima.
Quando salii sul Bucintoro fu un vero spettacolo vedermi tutta circondata da dame vestite di panno di seta bianco e d’argento, ornate di perle grossissime e molti gioielli nell’acconciatura e al collo che splendevano ad ogni raggio di luce.
Non solo il Bucintoro ma tutte le imbarcazioni erano magnificamente addobbate di rasi e broccati sfolgoranti, frange e nappe; lungo il Canal grande sulle fondamenta, alle finestre, sui tetti era tutto un brulicare di gente che acclamava, c’era anche chi aveva trovato il modo di restare abbarbicato ai muri pur di ammirarci. Fra il suono delle musiche e delle campane e gli scoppi dell’artiglieria arrivai di fronte alle colonne della piazzetta dove avevano innalzato un arco di trionfo che inneggiava alla mia famiglia e a quella di mio marito. Avreste dovuto vedere quale splendido corteo mi precedeva nel percorso intorno alla piazza tra uno sventolio di stendardi, bandiere, fiocchi e piume, lo scintillare di fastosi gioielli e delle armi, mentre gli stupendi colori delle vesti dei partecipanti creavano meravigliose fantasie. Dopo la messa iniziò la festa a palazzo ducale, ricevetti gli omaggi di tutte le arti e si trascorsero due giorni tra danze e banchetti; non ci si stancava mai di danzare e ascoltare musica e soprattutto di assaggiare dolciumi e confetture serviti da giovinetti patrizi. Fatemi assaggiare uno di quei baicoli.”
“Certo dogaressa, volete anche un bicchiere di vino?”
“No, cerco di limitare i danni. Purtroppo i dolci sono il mio punto debole, come vedete, sono un pochetto pingue e comunque devo controllare dei conti, posso farlo solo da sobria. Però! Sono buoni pure con l’infuso questi baicoli, l’infuso non l’ho zuccherato, vi garantisco. Chissà se il vestito in panno d’oro mi sta ancora? Certo posso sempre sfoggiare il manto di soprariccio d’oro e con gli zoccoli alti faccio ancora bella figura.”
“A proposito di oro. Il papa le ha fatto omaggio della rosa d’oro, non è da tutti ricevere una simile onorificenza!”
“È vero, non è da tutti ricevere la rosa d’oro e sono poche le donne che come me l’hanno ricevuta. Inutile essere modesti. Il terzo giorno di festeggiamenti nella basilica di san Marco durante la messa, il cameriere segreto di Clemente VIII mi consegnò la rosa d’oro, un gioiello veramente magnifico, a chi la riceve in dono viene riconosciuto il merito di portare il buon odore di Cristo nel mondo, mettendosi con la vita e le opere al servizio della chiesa. E’ l’onorificenza della quale sono più orgogliosa.
Dopo tante preghiere era giusto svagarsi un poco; tornammo nella sala del Gran Consiglio dove era stato preparato un magnifico banchetto e si poté assistere ad una commedia; adoro assistere agli spettacoli sgranocchiando dolci. Servitemi un pezzo di pinsa e dell’altro infuso per favore.”
“Subito”
“Scendemmo poi nella loggia del palazzo per vedere la giostra navale; fu un gran divertimento vedere tutti quei muscolosi marinai vestiti di bianco e di rosso scontrarsi sugli schifi, cercando di buttare l’avversario nella laguna. Tutte noi donne ne eravamo estasiate, soprattutto quando uscivano dall’acqua. I festeggiamenti finirono con una regata spettacolare, pomposa per gli addobbi e per i costumi. Ci si ricordò per anni della mia magnifica incoronazione. Un poco costosa devo ammettere, ma di cui ancora si parla.
Cosa sono questi schiamazzi? Deve essere arrivato il mio segretario che fa lo scimunito con qualche merlettaia, povera lei se gli dà retta. Fatelo entrare e adesso scusatemi che devo proprio lavorare.”
“Me ne vado subito, dogaressa. Grazie di avermi dedicato il vostro tempo.”
“E portatevi via questi dolci, prima che mi venga voglia di mangiarne ancora!”
Trama
Il duca Vincenzo I Gonzaga deve prendere una decisione difficile: congedare Biagio dell’Orso e nominare un altro capitano di giustizia e questo proprio quando nel ducato sono stati rinvenuti i corpi di due giovani donne sui quali l’assassino si è accanito con ferocia.Tutti gli elementi delle indagini, fino ad allora condotte dal capitano dell’Orso, portano a due sospettati, uno dei quali è l’ex podestà di Mantova con cui Biagio ha un conto in sospeso: è a causa sua se ora lui si accinge a lasciare Mantova per proteggere la sua amata Rosa.Nel mentre, a Venezia un efferato sicario sta seminando morte nella laguna dando filo da torcere al Signore della Notte, Antonio Mocenigo: vicino a ogni cadavere è stata ritrovata una berretta gialla, segno inconfutabile che l’assassino viene dal ghetto ebraico.La neve che cade copiosa su Mantova e la nebbia tra le calli della Serenissima ammantano di freddo questo nuovo episodio della saga gonzaghesca che sta tenendo avvinti i lettori con le vicende del capitano di giustizia più affascinante della storia italiana del Cinquecento.