Recensione a cura di Costanza Marzucchi
«Ascolta bene il segreto di cui ti sto mettendo a parte e agisci di conseguenza. Nel campo di Vittoria ho smarrito tanti oggetti, simboli del mio potere. Ma nelle mie mani è rimasto il più prezioso, che da solo può decidere delle sorti d’Italia. Lo donerò a te, e sarà la più formidabile delle armi. Più del sigillo, dello scettro o della corona. Qualcosa che, da solo, può plasmare il destino di un intero popolo.»
La figura di Manfredi compare nel nostro immaginario grazie alla penna del poeta Dante, che ne celebra la vita nella seconda cantica della Commedia. Il re di Sicilia, ultimo esponente della dinastia Hohenstaufen, ha conosciuto fama e celebrazione proprio grazie all’opera dantesca ed è proprio dal suo autore che Francesco Nobile comincia la sua storia.
Agli inizi del Trecento, Dante è in esilio in Lunigiana, dove è impegnato nella stesura della Commedia. Proprio in questo luogo, riceve la visita di un misterioso forestiero, che gli porta due doni curiosi: un codice contenente poesie della corte siciliana di Federico II ed una storia. Da questo incontro, che costituisce la cornice di questo romanzo, ha inizio La spada di Manfredi, pubblicato dalla casa editrice Marlin nel 2022.
Francesco Nobile, al suo esordio con questa opera, racconta la vita, l’ascesa e il destino di Manfredi di Svevia (1232-Benevento 26 febbraio 1266), ultimo re di Sicilia ed ultimo rappresentante di una cultura cosmopolita e raffinata di cui la Sicilia fu la massima espressione.
All’inizio del romanzo, Manfredi è un giovane che, sotto la guida dello zio materno e dei precettori, coltiva la sua istruzione, dimostrandosi un allievo intelligente e brillante. Al suo fianco, ha l’appoggio di numerosi esponenti della corte imperiale e l’affetto dei familiari, tra i quali spicca il fratellastro Enzo, erede al trono, e il padre Federico II, con il quale sviluppa un rapporto di grande complicità. È un personaggio ricco di qualità, per nulla mosso dalla smania d’impossessarsi del trono, pur essendo dotato di tutto ciò che occorre ad un buon sovrano. Il suo legame con la cultura siciliana, l’affinità con i suoi abitanti, lo rendono agli occhi dell’imperatore un elemento prezioso per la protezione dell’impero. Federico II è malato ed ha un rapporto ostile e complicato con la Chiesa che lo vede come una minaccia.
I possedimenti del papa tagliavano di traverso la penisola italiana, separando in maniera netta il Regno di Sicilia dai territori imperiali. Più a nord una babele di comuni più o meno indipendenti parteggiavano per il papa o per l’imperatore, a seconda di come girava il vento. Una serie di territori su cui Corrado esercitava un potere debole e in cui era tangibile il fallimento delle campagne militari di Federico. Manfredi ebbe un sussulto quando individuò Parma; il cuore gli si fece amaro sotto il peso del ricordo.
L’impero che Manfredi conosce sembra destinato ad essere travolto dagli eventi, portandosi dietro vittime eccellenti, tra cui lo stesso Federico II il quale, prostrato dalla malattia, lascerà ai suoi eredi un dominio piagato da discordie interne e dai nemici che si muovono lungo i suoi confini. In questo clima, ha inizio il cammino che condurrà il protagonista alla gloria, una strada che formalmente lo vede subalterno a chi è destinato per nascita alla corona ma le cui doti non gli consentono di rimanere in secondo piano troppo a lungo. Manfredi faticherà non poco a emergere poiché il suo senso dell’onore gli impedisce di cedere all’ambizione, anche quando si troverà ad obbedire a persone che, pur precedendolo nell’ordine dinastico, non possiedono le medesime qualità. Se tale esaltazione può far correre il rischio di creare un personaggio anacronistico o monocorde, è l’ambientazione storica a smorzare questo pericolo.
L’autore è infatti molto abile nel definire le caratteristiche di questo duello a distanza tra papato e impero, attraverso le dichiarazioni pubbliche che, dietro un linguaggio ampolloso, mostrano una conflittualità per nulla tiepida. Queste sezioni scandiscono il ritmo della narrazione, come gli atti di una rappresentazione teatrale. La prosa è elegante e misurata nei toni, capace di descrivere con efficacia scene di azione e momenti drammatici senza eccedere nel pathos.
«Nuovi valori, nuovi significati, e soprattutto un nuovo codice con cui raccontarli […] I ghibellini d’Italia devono plasmare un mondo nuovo, rendendo sempre più arida la lingua del nemico. Bisogna fondare una nuova tradizione.»
Un altro elemento degno di nota è la capacità con la quale l’autore riesce a trasformare la storia di Manfredi in una vicenda che esemplifica non solo la contrapposizione tra papato e impero, ma anche la dicotomia tra anima germanica e siciliana che è all’interno di quest’ultimo. Questa relazione tra due realtà diverse e inconciliabile è esemplificata dalla relazione tra Manfredi e il fratellastro Corrado, nato e cresciuto in Germania e del tutto estraneo alla realtà del Meridione.
Manfredi aveva sperato di poter riconoscere in lui qualche aspetto del comune padre, e invece non trovò nulla di famigliare.
L’incontro tra i due fratelli che mai hanno vissuto insieme è un episodio nel quale emerge l’incompatibilità di due mondi che per costituzione appartengono alla realtà dell’impero, differenze che si manifestano nella relazione tra i due fratellastri. È un passaggio a mio parere molto incisivo perché evidenzia le infinite contrapposizioni di un’entità territoriale tutt’altro che compatta.
Manfredi si muove in questo mondo di contrapposizioni e divisioni inconciliabili, tentando di portare avanti il disegno paterno in un mondo in continua evoluzione, nel quale l’impero sembra essere destinato a soccombere. La lotta di Manfredi nel salvare la sua terra ha un che di eroico, perché si misura con nemici distanti, il papato, e discordie interne mai sanate. Riassumere la trama di questo romanzo è, sotto certi aspetti, un’impresa ardua perché si misura con un numero di trame e sottotrame indipendenti e legate le une alle altre. L’autore è molto abile nel tenere insieme queste storie e, considerando che si tratta di un’opera prima, è un risultato notevole.
La struttura del romanzo è solida ed efficace ma tutt’altro che statica. Se all’inizio il romanzo sembra una classica contrapposizione tra papato e impero, nel proseguire della storia diventa una lotta per garantire la sopravvivenza all’oblio e all’infamia di un’epoca magnifica ed irripetibile, di cui Manfredi è l’ultimo esponente.
La densità di vicende, i temi trattati, sono numerosi e variegati. L’impressione è di assistere ad un colorato mosaico di immagini, dove ogni vicenda è indipendente e concatenata alle altre. Questa complessità è uno degli aspetti che meglio ho apprezzato di questo romanzo, insieme alle emozioni che ogni singola vicenda riesce a trasmettere.
Non ultimo, desidero segnalare la cura dell’editing espressa dalla casa editrice Marlin, che si è occupata di dare un layout accattivante ed un apparato bibliografico che rende la comprensione delle citazioni presenti nel romanzo efficace ed immediata.
Per tutte queste cose, ritengo La spada di Manfredi un’opera di grande pregio, per la ricchezza di vicende, di emozioni e di tematiche che solo un buon romanzo sa trasmettere.
Trama
A Parma, nei pressi dell’accampamento chiamato Vittoria, Federico II subisce una delle più cocenti sconfitte della sua vita. L’Impero è battuto dai Comuni del nord, coalizzati dalle abili trame di papa Innocenzo IV, nemico giurato della dinastia sveva. L’idea di annettere l’Italia al Regno di Sicilia sembra tramontare, ma tra le macerie dell’accampamento qualcosa si è salvato, un potente segreto che tiene in vita le speranze dei ghibellini. Sarà Manfredi, figlio prediletto di Federico, a raccogliere l’eredità di una dinastia cosmopolita, amica dell’Islam e amante della poesia e della scienza, prima che svanisca per sempre. Una sfida terribile, che lo porterà a dismettere i panni di semplice falconiere, per imbracciare la spada e lo scudo contro i nemici della sua famiglia. Solo per un ignoto disegno del destino, toccherà a lui, e non all’erede al trono Corrado, cingere la corona del più avanzato Regno che il Medioevo abbia conosciuto. Anni dopo, un cavaliere bussa alla porta di Dante Alighieri, con una storia da raccontare: sarà il sommo poeta a cogliere il segreto più profondo della dinastia sveva e a farsene carico con la sua opera immortale. Tra cavalieri normanni, mosaici bizantini e danzatrici d’Oriente, si snodano i fili di un sud inedito, crocevia del Mediterraneo e cardine di una nascente speranza.