Recensione a cura di Roberto Orsi
“Le cose raccontano l’anima di chi le ha possedute”.
Attraverso la storia degli oggetti si ricostruiscono le vicende degli esseri umani. Quadri, gioielli e arredamento consentono di riportare in vita il ricordo di eventi passati, di esistenze terrene che hanno lasciato una precisa e indelebile impronta del loro passaggio.
Proprio su questo tema ruota l’ultimo romanzo di Vittorio De Martino, targato La Lepre Edizioni. “Il mistero della Rue La Bruyère”, ispirato a un fatto di cronaca reale, si inserisce nel genere dei gialli a sfondo storico: un certo Laurent Dumas eredita a sua insaputa un appartamento nella via parigina che dona il titolo al romanzo. L’appartamento, lasciatogli da una zia di famiglia che non ha mai incontrato, è rimasto disabitato per oltre sessant’anni. Il contenuto dell’abitazione, palesemente di un certo valore, spazia tra oggetti pre-Rivoluzionari ad altri del Tardo Impero. Una collezione di grande valore che il perito Roberto, italiano trapiantato a Parigi, protagonista del romanzo, è in caricato di rendicontare in nome e per conto dell’erede intenzionato a vendere tutto.
Al primo sopralluogo nell’appartamento a Roberto appare subito chiaro che questa casa nasconda un qualche tipo di mistero. Chiusa e disabitata da più di sessant’anni, un solo quadro ancora appeso alla parete, quello nella camera da letto, che raffigura una donna bellissima assisa su un piccolo divano. Davanti al quadro, impreziosito da una cornice pesante e preziosa, una poltrona stile Luigi XVI. Un insieme di dettagli sparsi in tutta la casa che denotano un intreccio di stili e di valore.
L’unico ritratto appeso alla parete per Roberto è un chiaro indizio di chi può aver abitato quell’appartamento prima ancora della zia che lo ha lasciato in eredità a Laurent Dumas. Inventariare il contenuto, svolgere semplicemente il compito assegnato non fa per Roberto, che fin da subito si trova coinvolto nelle vicende legate a quegli oggetti.
“Questo faccio, mettere etichette, fissare ciò che vorrebbe sfuggire, e così, come posso, resistere al fluire incessante del mondo, che travolge affetti e certezze. Se lo fermo prima, non porterà via anche me.”
Ogni cosa, ogni oggetto con cui veniamo in contatto, in un modo o nell’altro racconta un po’ di noi. Oggetti materiali inanimati che in realtà un’anima la racchiudono: la nostra.
Sono queste le riflessioni che Vittorio De Martino pone nell’intreccio del giallo che ha scritto. Al di là della vicenda di indagine, sono queste considerazioni che sedimentano nella testa del lettore. Ci si scopre parte di un ingranaggio più grande di noi, un sistema perfetto di cui siamo semplici comparse. Tutto resta, noi passiamo e lasciamo qualcosa: un segno, un’impronta, un colore.
“Il tavolino è ancora qui, testimone inosservato di tante vite trascorse, e delle quali, chissà, conserva memoria. I veri figuranti siamo noi, le cose che ci circondano sono più durature e certo molto meno infelici.”
Roberto si trova invischiato in una vicenda che lo riporta ai tempi di Luigi XV, della favorita Madame Du Barry, la famosa Marie-Jeanne Bécu, passata alla storia per la miriade di intrighi che la videro protagonista alla corte di Versailles. Nella ricerca della verità e di un mistero rimasto ormai sepolto per oltre sessant’anni, Roberto è aiutato da una anziana sarta teatrale, una donna agile e arguta al dispetto dell’età.
Gli indizi vengono svelati con la classica impostazione del giallo, intervallati dai dialoghi ironici di Roberto con la moglie Valérie, impiegata nel mondo finanziario, con una mente analitica e razionale al limite dello scetticismo ma sempre pronta a correre in soccorso del marito, negato con le ricerche online e il mondo dell’informatica in generale. Un modo divertente per stemperare il ritmo del racconto mantenendo una componente simpatica che ci permette di conoscere meglio la coppia e le sue dinamiche interne.
“Per lei il mondo è governato dall’evidenza, rivelata da quel meraviglioso, infallibile strumento che è il nostro cervello. Per me il mondo è disseminato d’incantesimi, che si nascondono nell’ombra.”
Un giallo dal sapore retrò questo di Vittorio De Martino, in cui il perito Roberto si improvvisa novello Hercule Poirot con un modello logico deduttivo che lo porta a ricostruire vicende di oltre centocinquant’anni prima, avvenute in quelle stesse stanze. I personaggi più o meno illustri che le hanno abitate, riemergono dall’oblio in cui sono state dimenticate, ridando vita e verve a un’epoca ormai trascorsa e conclusa.
Una narrazione che passa dallo stile classico del giallo a quello del racconto introspettivo intriso di ragionamenti e considerazioni sul nostro io: il lento incedere del tempo e la sua ciclicità che inesorabile ci travolge, trova requie e sedimento in ciò che creiamo e ciò che ci circonda. Quel ricordo che rimane imperituro e lampante in tutto quello che di noi è stato cifra stilistica e caratteristica. Ecco uno dei punti di forza del romanzo che va oltre le vicende di cortigiane, re, ricchi possidenti e artisti in un coacervo di intrighi, misteri e uccisioni.
La bellezza del passato e dell’arte viene esaltata dall’autore grazie alla sua conoscenza del periodo di riferimento e non può che essere trasferita al lettore che ne comprende su di sé la forza e la “magia”.
“Dentro l’appartamento della rue La Bruyère mi aspettava un abisso torbido e oscuro. Per lampi sarebbero apparsi, un istante, oggetti e figure, lasciandosi dietro appena un riverbero, quel che basta per cercarsi la strada e forse, in fondo, la destinazione. Con la scusa di avvalorare un oggetto io cerco un nome, ricostruisco una storia e porto un rimedio, l’unico possibile agli uomini, alla morte: il ricordo.”
Trama
Parigi, anno 2000. Viene scoperto nel cuore della città un appartamento disabitato da sessant’anni. L’interno lussuoso sembra rimasto intatto da oltre un secolo. Sulle pareti resta un unico quadro, dal quale sorride una donna bellissima e senza nome. Il perito incaricato dell’inventario, partendo solo dagli oggetti – una tazza con un’iniziale, un letto che evoca fantasie erotiche, la disposizione dei libri – intuisce che in quella casa è nascosto un mistero. Aiutato da un’assistente improvvisata, una vecchia sarta teatrale, ricostruisce la vita di tre donne, risalendo sino alla Rivoluzione, a un crimine e, forse, a un tesoro. Come scrive Mario Praz, abitare significa lasciare tracce. Le vite scomparse restano impigliate negli oggetti, testimoni devoti e loquaci, per chi sa ascoltarli, del passare degli uomini. Questa storia è stata ispirata da un autentico fatto di cronaca. Vittorio de Martino storico dell’arte, specializzato nelle arti decorative francesi del XVIII secolo. Ha vissuto a lungo a Parigi. Ha pubblicato con La Lepre un romanzo storico, Calma e quieta è la notte, vincitore del Premio Nicola Zingarelli (2020). Il suo percorso professionale è eterogeneo. È stato danzatore al Teatro alla Scala, assistente di Eduardo De Filippo, regista d’Opera, autore di programmi televisivi, guida turistica.