Buongiorno Paolo, innanzitutto ti ringraziamo per il tempo che ci dedicherai nel rispondere alle nostre domande
Quando hai capito che avresti intrapreso la strada per diventare uno scrittore?
Sorrido e non per la domanda, ma per il termine “scrittore”. Nelle viscere di questa parola, spesso abusata, c’è comunque un che di pomposo, forse eccessivo. O almeno io lo considero tale. Per me lo scrittore non è semplicemente colui che scrive un libro o dei libri. Scrittore è colui che indiscutibilmente lo è. E non lo dice lui, lo dicono i suoi lettori. Allo stesso modo perchè smonto il sifone del mio lavandino per sturarlo, non per forza devo essere un idraulico. Anche se ho scritto cinque romanzi, di cui alcuni pubblicati all’estero e un libro inchiesta, ho ancora molta strada da fare. Ecco, io sono così: odio “tirarmela”. Non significa che voglio sminuire ciò che ho fatto, voglio semplicemente essere ben ancorato con i piedi a terra. Per rispondere poi alla domanda, non sono stato folgorato sulla strada di Damasco. Insomma, non penso che qualcuno si alzi un mattino e dica: “Ohibò, da ora faccio lo scrittore”. All’epoca del mio primo romanzo, scrivevo ormai da un ventennio come giornalista professionista nei quotidiani. Il punto, al massimo, era un altro: “Sarò in grado di scrivere un romanzo? Ho qualcosa da dire? E, sorpattutto, sarò in grado di farlo?”. “ Piacerà o mi diranno di smontare sifoni?
Quali letture prediligi? Hai un modello stilistico di riferimento?
I miei gusti per i libri sono gli stessi che ho per i film. E cioè: sono onnivoro.Per fare un esempio: un pomeriggio di tantissimi anni fa, stavo facendo zapping. Per un istante mi comparve l’immagine di un film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (comicità che ho sempre odiato) e passai oltre. Due secondi dopo, però, tornai indietro con il telecomando perchè per un millesimo di secondo avevo visto qualcosa nei titoli di testa che non mi tornava, ma non capivo che cosa. Ebbene, cilò che avevo letto era il nome di Buster Keaton. Ma come? Buster Keaton ha fatto un film con quei due?, mi dissi stupito. E la risposta fu: “Sì, lo ha fatto”. E lo guardai, apprezzando la grandezza di Buster Keaton che da solo teneva su tutto il film. Nelle letture è la stessa cosa: leggo – e ho sempre letto – tutto ciò che mi capitava a tiro. Per quanto riguarda il modello stilistico è uno solo: far capire a chi legge ciò ho scritto. Guidarlo, portarlo “dentro” la storia. Insomma, una elebaorazione della regola giornalistica che mi disse il nio capocronista il primo giorno che varcai l’ingresso de La Stampa: “Devi scrivere per tutti. Ti deve capire la custode del palazzo, ma anche il professore dell’università”
Partiamo dal principio: come inizi la stesura di un tuo libro?
Ogni libro, almeno ognuno di quelli che ho scritto io, parte da un’idea. Dal nocciolo del problema. Diciamo che ne è il cuore, lo scheletro. E poi, immaginando, ma anche studiando, vesti lo scheletro, sistemi i muscoli, i capelli, gli occhi e poi i vestiti. Ma se non hai l’idea, se non sai quale devve essere il “cuore” non arrivi da nessuna parte. O almeno, non ci arrivo io.
Raccontaci il dopo: una volta che il libro è stato pubblicato, cosa succede?
Fondamentalmente t’incazzi con il mondo. Perchè per scrivere il libro ci sei tu, alla fine chi decide sei solo tu. Se scrivi una stupidaggine, è inutile far tanta strada per cercare responsabili. Ti alzi, vai di fronte allo specchio ed hai trovato ideatore ed esecutore della stupidaggine. Dopo, quando è uscito, entri in un meccanismo di marketing, uffici stampa, distribuzione e compagnia cantante. Quindi ti devi trasformare… E se si pensa che l’autore nel “dopo” sia solo quello che sorride alle presentazioni, ci si sbaglia di grosso. Vero che di solito sorride, ma spesso tiene la mano in tasca e si appella a Dio. Se ci sarà un errore nell’organizzazione o in quel che si vuole, magari non sarà colpa sua, ma la faccia che tutti vedranno sì. Diciamo così: l’autore, nel “dopo”, è il prototipo di Malaussène di Pennac, che di mestere faceva il “capro espiatorio” ai Grandi magazzini.
Di quale periodo storico vorresti essere spettatore e perché?
Direi il Medio evo. L’ho studiato talmente tanto ( tra un libro e l’altro, almeno cinque anni) per scrivere alcuni miei romanzi che vorrei vedere con i miei occhi alcune cose che proprio chiare non mi sono ancora.
Il tuo primo libro “L’Ultimo dei Templari”: oggi, a distanza di tempo, lo riscriveresti uguale a com’è o cambieresti qualcosa? So che hai passato del tempo a Querqueville, dove è ambientato il tuo primo romanzo, mi chiedevo cosa ti ha spinto ad utilizzare proprio questo paese?
Risposta alla prima domanda: probabilmente cambierei qualcosa perchè, dopo averne scritti altri cinque, qualche malizia l’ho imparata. Tutto qui. Sul fatto che abbia scelto Querqueville dove sono stato tre volte, la risposta è semplice: credo che per scrivere un romanzo, sia indispensabile trovare un luogo che ti “trasmetta” emozioni, qualunque esse siano. Solo così saprai di avere una possibilità in più di riuscire, a tua volta, a trasmetterle in quello che scriverai. Piaccia o no, senza “cuore” ed “emozioni” non si va da nessuna parte.
Parliamo ora del tuo ultimo libro “Il nemico che gioca con i nomi”: ha una trama che si sviluppa fra Stati Uniti ed Italia, qual e’ stato il motivo della scelta del piccolo Borgo di Rosazza?
Perchè Rosazza, riallacciandomi a quel che ho risposto alla domanda precedente, è un luogo che ti entra dentro. Anzi, sei tu a comprendere, appena ci metti piede, di essere piombato in un mondo diverso, fuori dai canoni. Un mondo che ha molto, veramente tanto da dire. E’ il custode di una storia quasi irreale, eppure vera.
John, il funzionario dell’ambasciata italiana in America si trova suo malgrado alle prese con due delitti e innumerevoli misteri; è un personaggio dalla personalità marcata e dall’intelligenza viva, ti sei ispirato a qualcuno o c’è un transfert con l’autore?
C’è un transfert sicuramente con me stesso. O almeno c’è con la feroce ironia con cui affronta la storia. A nome di John ti ringrazio per averlo definito intelligente, ricordando però che intelligenza e furbizia non sempre viaggiano a braccetto. Cosa che John, almeno lui, capirà forzosamente molto bene alla fine…
Il capitolo nel quale descrivi lo spartito di Guido D’Arezzo è tutto incentrato sulla musica, è una tua passione?
La musica appassiona chiunque, quindi anche me. Nonostante sia un po’ pigro. Quand’ero ragazzo ho studiato musica e pianoforte per quattro anni. Infatti poi suonavo la chitarra.
Il finale rimane abbastanza “aperto”, quasi appeso, ci sarà un seguito?
All’ultimo capitolo mi sono trovato di fronte ad un bivio. O chiudere con il finale classico, cioè quello dove hai solo certezze, oppure con un finale aperto dove sai perfettamente cosa accade a tutti i protagonisti, ma lascia aperta la porta sulla realtà. Io ho scelto questa seconda ipotesi. E’ un romanzo che all’ottanta per cento si basa su dati storici e reali. Credo fosse giusto far capire che la vera fine, fosse quella di lasciare al lettore la possibilità di aprire la finestra di casa sua e guardare con occhio diverso ciò che sta succedendo. Senza mai dare nulla di scontato. Insomma, un invito a tenere gli occhi aperti. Fare un seguito? Sarà la decima volta che mi viene posta questa domanda. Sinceramente quando ho finito Il nemico che gioca con i nomi non mi era manco venuto in mente, ora ci sto riflettendo.
Se volete saperne di più sull’ultimo romanzo di Paolo Negro, non vi basta che cliccare a questo link e leggere la recensione fatta per noi da Maria Pina Chessa.
https://thrillerstoriciedintorniblog.wordpress.com/2017/03/26/il-nemico-che-gioca-con-i-nomi-paolo-negro/
Ringraziamo Paolo Negro per essere stato con noi e per averci dedicato il suo tempo rilasciandoci questa bellissima intervista! Alla prossima!Biografia
Paolo Negro, torinese, giornalista , ha lavorato nei principali quotidiani italiani per un ventennio (La Stampa, La Repubblica, Il giornale). E’ stato anche Responsabile Mass Media del Medals Plaza olimpico delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 e quindi Responsabile Mass Media della Cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi Invernali Torino 2006.
Dal 2008 ha pubblicato numerosi romanzi: “L’Ultimo dei templari”, “La Leggenda”, “Il segreto dell’arca”.
Nel 2011 ha pubblicato “Filmgate” (Editori Riuniti), libro intervista al produttore cinematografico Silvio Sardi sulla compravendita dei diritti tv da parte di Mediaset che è stato allegato de facto al processo Berlusconi.
Nel 2014 ha pubblicato il thriller storico “Spiritus Templi” tradotto poi da Boveda editores – settembre 2016 – per il mercato spagnolo e sud americano.
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