Recensione a cura di Claudia Babudri
Quando si finisce un libro come questo c’è bisogno di un paio di giorni per rimettere a posto le idee. Da lettrice, quando mi immergo in storie simili, ho bisogno di tempo per sistemare su carta riflessioni e pensieri…specie quando si parla di donne e della condizione femminile nel tempo. Sono felice di vivere in questa epoca. Certo, bisogna lavorare ancora molto ma rispetto al passato (o alla condizione vigente tutt’oggi in alcune parti del mondo) posso considerarmi più che fortunata. Lo dimostra il fatto che sono qui a scrivere per comunicarvi il mio parere su un libro. Sono libera di scegliere chi frequentare, se sposarmi o no. Libera di intraprendere una professione e di cambiare i miei obiettivi. Sembrano cose scontate, ma non lo sono oggi e non lo sono state un tempo.
A differenza del greco antico, la letteratura mi è sempre piaciuta. Amo le storie di dei ed eroi, la mitologia classica e le vicissitudini più o meno tragiche di personaggi le cui gesta si perdevano ai confini della leggenda.
Nella maggior parte dei casi, in queste narrazioni tutto orbitava attorno agli eroi come Achille, Ettore o Ulisse. Uomini che prendevano decisioni e combattevano tra loro, esempi di onestà, rettitudine o cupidigia.
Ma le donne nel mito? Quando andavo al liceo, i miei professori ne parlavano en passant, giusto come contorno o per giustificare o sottolineare l’azione di un personaggio maschile. Eppure le donne nel mito sono importanti ed è giusto rivalutarle, approfondendone la psicologia, le gioie e i molteplici drammi. Per me, sarebbe stato bellissimo a questo proposito, leggere ai tempi della scuola Le figlie di Sparta di Claire Heywood pubblicato dalla Newton Compton Editori.
Il romanzo della Heywood non ha la pretesa di narrare il mito – la Guerra di Troia svolta sullo sfondo – ma si concentra sulla storia e sulla condizione esistenziale di due donne straordinarie: Clitemnestra ed Elena di Sparta, secondo alcune versioni figlie dei sovrani Tindaro e Leda. “Al centro del romanzo non c’è la volontà di ri-raccontare la guerra stessa, quanto le vite private di Clitemnestra e Elena, due personaggi che mi sono sempre sembrati trattati in maniera superficiale se non ingiusta in tutte le fonti antiche”. Ed io, non posso che essere d’accordo con l’autrice.
Clitemnestra (o “ Nestra” a detta di Elena) è la sorella maggiore, quella più pacata e posata. Pur se desiderosa di libertà, appare responsabile e conscia del suo ruolo futuro. Figlia dell’amore dei due sovrani spartani, sarà il punto di riferimento della piccola Elena e…la figlia preferita di Leda.
Questo perché, a differenza della sorella, Elena non era frutto dell’amore della regina e di Tindaro ma dell’unione non voluta di Leda con Zeus. Questo tradimento sarà la causa della non accettazione della “figlia bastarda”. Infatti, leggendo il romanzo, si evince una disparità di trattamento e una certa freddezza di fondo riservata dalla regina madre ad Elena.
La vita della giovane appare dall’inizio segnata da una profonda mancanza d’amore. “Lo so. Lo so che non è colpa di Elena. Ma mia, della mia imprudenza. “confessa Leda al marito in un animato dialogo sulla sorte futura delle loro fanciulle “È solo che a volte non riesco neanche a guardarla. Mi ricorda…mi ricorda lui, quello che è successo, la disgrazia che ho fatto ricadere su di te.” Parole dure, di fuoco nei confronti di una gravidanza non voluta al pari dell’unione che c’era stata a monte. Il disagio di una donna che si tramuta in intolleranza nei confronti di una figlia non voluta e dunque poco amata. Un dramma che Elena si porta dietro sin dall’infanzia. Un vuoto incolmabile che le segnerà la vita.
Eppure Elena nell’amore ci credeva, lo sognava e, attraverso la penna dell’autrice, esprime desideri e rosee aspettative a proposito. Ritenuta la donna più bella del mondo, ebbe molti pretendenti. Nell’opera si riprende l’episodio mitologico del suo rapimento da parte di Teseo: la prima infamia ricaduta su di lei. Per non scatenare una guerra, nella storia della Heywood così come nel mito, Tindaro, sotto consiglio di Ulisse, concesse alla fanciulla di scegliere tra i vari pretendenti. La scelta cadde su Menelao, principe di Micene, futuro re di Sparta e fratello di Agamennone, sovrano di Micene, sposo di Clitemnestra.
L’autrice descrive le emozioni, le aspettative e le paure delle due giovani nel lasciare l’ambiente ovattato della dimora paterna. Posso assicurare che tali sentimenti sono così vividi e chiari da poter essere tangibili. Ai sicuri androni paterni riservati alle donne, si sarebbero sostituite le camere e i saloni dei palazzi dei mariti. Il cambio d’ambiente avrebbe fatto paura a chiunque ma in maniera minore rispetto alla prospettiva dei doveri coniugali da affrontare. .
Clitemnestra, dopo tre lunghi giorni di viaggio, scortata per un tratto dai fratelli Castore e Polluce, raggiunse Micene al seguito della scorta del marito il quale le rivolse a malapena la parola lungo tutto il tragitto. La ragazza, conscia della assoluta sconvenienza di attaccare bottone con un uomo per prima, si perse nell’ammirare il paesaggio e nell’osservare le mura della città, sua nuova casa, diventare sempre più grandi. Ho vissuto con lei quel sentire tipicamente fanciullesco di guardarsi attorno, di esorcizzare la paura e il timore perdendosi nel paesaggio, imprimendone nella mente le immagini e i profumi. Ho condiviso con la giovane sposa le ansie dei doveri matrimoniali.
Oggigiorno, per noi donne è facile. In generale, nessuno ci obbliga a sposarci, non c’è nessuna pressione psicologica nel dover generare un figlio per forza. Queste preoccupazioni, invece, saranno il perno attorno al quale si concentreranno i pensieri, le ansie e rifiuti delle due regine. Elena le vivrà sulla sua pelle a soli quindici anni. Oggigiorno, a quindici anni le ragazze pensano al divertimento, alla vita spensierata. Un tempo no. Un tempo, specie se regina, il ruolo della donna era sostanzialmente quello di dar alla luce un erede, preferibilmente maschio. E questa preoccupazione non poteva non essere pressante alla corte di Agamennone. Un rude, un soldato fatto per la guerra. Un uomo che la prima notte di nozze analizzerà Elena in modo crudo, come se fosse un oggetto: “I seni sono ancora dei boccioli. I fianchi mi sembrano troppo stretti”. E poi la prende per “renderla donna”, in vista della sua futura funzione: generare un figlio maschio. “Elena aveva ancora le gambe aperte, nonostante ogni parte di sé la implorasse di chiuderle. Si sentiva così esposta. Chiuse gli occhi, come se potesse nascondersi dietro le palpebre abbassate”.
Nel romanzo, la vita di entrambe le sorelle procede su binari paralleli, segnata da uguali dispiaceri e disgrazie: Clitemnestra, madre della piccola Ifigenia, scoprirà l’infedeltà del marito con Leucippe, una giovane concubina per la quale inizialmente proverà odio. Un odio giustificato dal sentirsi disonorata e defraudata del suo ruolo. Un astio che svanirà dopo poco, nel constatare la sorte di quella giovane schiavizzata e abusata da suo marito, nella sua stessa casa.
Leucippe, infatti, era un’altra vittima del suo tempo: sarà Calcante a reclamarla in qualità di aspirante sacerdotessa di Artemide dal cui tempio, nell’Argolide, Agamennone l’aveva sottratta brutalmente. “Non mi lascerò accusare di empietà” affermò il sovrano, tracotante “Come hai detto tu si stava solo preparando al sacerdozio. Non ho commesso nessun crimine contro gli dei”. Il sovrano esprime il suo giudizio dall’alto dell’autorità che gli era stata tramandata in terra, non guardando in faccia a nessuno. Conscio, a monte, dei suoi diritti di uomo e di re sul mondo e sull’universo femminile. Un rapace che non crede agli avvertimenti dell’oracolo e si beffa dell’ira degli dei. Dopo un grave incidente di caccia, Agamennone, memore delle parole di Calcante, si convincerà a restituire la ragazza al tempio e a dare più credito al sacerdote. Chiamato a corte in qualità di oracolo, per vendetta, sarà lui a consigliare al re in partenza per Troia di uccidere con l’inganno Ifigenia, sua figlia, in modo da propiziarsi i venti e il favore degli dei. Pur se scoperto il tranello, Clitemnestra non potrà far nulla per la figlioletta, sacrificata dal padre su consiglio del subdolo sacerdote.
Intanto, a Sparta, dopo un parto travagliato, era nata Ermione, prima figlia di Menelao ed Elena. Impaurita dall’idea di avere altri figli e di passare una seconda gestazione difficile, Elena si rivolse ad una maga al fine di ottenere unguenti per scongiurare una ulteriore gravidanza. Il tormento di generare per forza un altro erede non la lascerà dormire al pari dell’affrontare di nuovo i dolori della gestazione. Problemi femminili, questi, di nullo interesse per gli uomini. Infatti, non contento, Menelao cercherà di propiziarsi gli dei al fine di generare un maschio, costringendola a sottostare ai suoi voleri. Il figlio tanto atteso, lo avrà invece da Agata, la balia di Ermione. Sarà Elena a scoprire questo tradimento: “Quella fu una vista insopportabile. Indietreggiò di colpo, sbattendo contro il muro del corridoio”.
Da lettrice, ho partecipato al dolore di queste donne. Ho cercato di riflettere sulla situazione di entrambe, sul peso di dover sempre sottostare ad un marito e alla mentalità del tempo, dando valore e importanza alla gravità di un dolore inascoltato. Che cosa atroce è il non sentirsi amate, rispettate. E quali errori induce a commettere! Infatuata del bel Paride di Troia, convinta dai suoi modi caldi e sensuali, dai suoi doni e dalle sue occhiate intense, Elena lascerà Micene per seguire l’amante, scatenando le ire dei greci e l’indignazione dei troiani. “D’altronde non mi aspettavo altro da te” le disse Leda, sua madre la sera prima che la fanciulla prendesse questa decisione “Sei così diversa da tua sorella, lei è una ragazza così dolce…Ma le sgualdrine generano sgualdrine, ed eccoti qua a spalancare le gambe per chiunque ti regali una bella collanina.” Parole dure che dimostrano odio e risentimento verso il frutto di una unione non desiderata. Alla corte troiana, Elena sarà sola ugualmente.
Colpevolizzata da tutti per aver scatenato una guerra dalle ragioni politiche ed economiche ben più complesse, passerà la maggior parte del suo tempo con Paride. Il suo compagno però non si dimostrerà all’altezza delle aspettative. Vanesio, codardo, fatuo striderà al confronto con il fratello Ettore, valente guerriero ma soprattutto marito e padre affezionato. Anche nella letteratura greca, la coppia Ettore – Andromaca viene elogiata come l’ideale familiare modello, come la coppia per eccellenza. L’autrice descrive magistralmente come, durante i banchetti o nella quotidianità, i due appaiono complici e innamorati a differenza di Elena, tenuta lì come un trofeo, poco considerata e valutata anche da Paride. Quando al liceo i miei docenti parlavano di Elena la dipingevano in modo poco onorevole, amplificando il giudizio degli autori classici senza soffermarsi sulla psicologia di questa donna. La Heywood la dipinge come una giovane dal cuore spezzato. Bellissima, ma fragilissima. Cosa aspettarsi, in fin dei conti, da chi non è stato mai amato? Cosa volere da chi, forse perché sin dall’infanzia mai valutato, non riesce a vedere in sé il suo potenziale? Spesso, nel romanzo, Elena si meraviglia di riuscire in piccole imprese oppure, se paralizzata dai forti sentimenti, di rimanere pietrificata di fronte ad eventi e situazioni. È una donna insicura, estremamente critica con se stessa. Elena si da la colpa di tante cose, definendosi in cuor suo inamabile, soffrendo per il suo stesso esistere, conscia di essere odiata da tutti. Andromaca in primis. E con lei tutte le altre donne di corte. La colpa è sua: ha portato la sciagura a Troia.
Elena troverà inizialmente in Cassandra una amica…almeno finché la guerra non la priverà del promesso sposo. Gli uomini muoiono ma le donne hanno un destino più atroce. Diventano schiave, subiscono violenza. Dopo aver visto suo figlio Astianatte precipitare giù dalle mura di Troia, ormai vedova di Ettore morto per mano di Achille, Andromaca verrà fatta prigioniera da Neottolemo. “Il velo nero era sparito e i capelli scuri erano aggrovigliati, un occhio livido e gonfio. Sul viso sudicio spiccavano le strisce candide lasciate dalle lacrime.” La vista di Andromaca in quello stato, sconvolgerà Elena, riportata al campo greco da Menelao. “Sgualdrina!” le urlò, tirando le catene pur di avvicinarsi “Cagna! Hanno gettato il mio bambino dalle mura, mi hai sentito cagna? Che gli dei ti maledicano!”. Assistiamo ad una scena straziante. Il lettore non può rimanere impassibile di fronte alla crudeltà che s’abbatte su tutti, facendo precipitare gli equilibri, distruggendo vite e speranze. Andromaca con tutta la forza della disperazione, pur se gonfia di botte e incatenata, cerca il suo piccolo riscatto. È una guerra atroce tra le vere vittime di ogni conflitto, le donne, ognuna giudice nei confronti dell’altra. Cassandra, invece, dopo esser stata abusata nel tempio dove si era rifugiata, verrà condotta a Micene da Agamennone come sua schiava. Erano passati anni dalla partenza di suo marito e Clitemnestra non l’aveva mai perdonato per la morte di Ifigenia e per tutti gli abusi commessi. Ella non tocca con mano le brutture della guerra, non ne è testimone diretta come Elena. Gli echi degli orrori commessi a Troia le arrivano tramite i messi reali in quel di Micene.
Sola in assenza di Agamennone, ha la responsabilità di gestirne il regno in sua assenza. Qualcosa però in lei cambia. Si sviluppa nel suo animo e nel suo cuore, strisciando ogni giorno di più. È frustrazione, rabbia, vendetta. Odio verso Agamannone il cui seme nacque il giorno del sacrificio di Ifigenia. Si ritroverà a pregare la morte del marito in battaglia, a sperare che non ritorni mai più. E da donna, onestamente, non posso biasimarla. Insieme a lei, non ho potuto non odiare Agamennone. Una presenza ingombrante, rude. Un uomo privo di ogni delicatezza, assassino di sua figlia. Senza di lui, Clitemnestra si accorge di poter respirare, godendo di una maggiore libertà. Sentendosi più rispettata al fianco di Egisto, vecchio nemico di Agamennone, suo nuovo compagno, riuscirà ad uccidere il marito. Egli farà ritorno a casa e già alle porte del loro palazzo le mancherà di nuovo di rispetto.
Dietro di lui, incatenata, marcerà una schiava, dall’aspetto vuoto e spaurito: Cassandra. Alla sua vista, Clitemnestra prende la sua decisione. “Il cuore le si fermò di colpo quando vide quella testolina bionda. […] La paura svanì di colpo, scalciata da una rabbia accecante. Suo marito non era cambiato.” Dopo essersi finta accondiscendente ai voleri del marito, la regina lo ucciderà insieme alla schiava durante il bagno. “Lei ed Egisto avevano camminato in fondo alla processione, insieme ad Alete. […] Clitemnestra non se l’era sentita di camminare accanto al cadavere del marito. Sarebbe stato inappropriato. Ma sapeva che doveva essere presente, mostrare il suo rispetto, svolgere il suo dovere.” Una regina, fino in fondo. Una donna dal grande animo, capace di provare pietà per la schiava uccisa, riconosciuta parimenti come vittima di quel tempo ruvido in cui lei, alla fine, aveva avuto vendetta.
Il romanzo è sicuramente aderente al mito ma, come ho già scritto, le vicende mitologiche fanno da scenario alla vita intima e quotidiana delle protagoniste. La lettura è scorrevole: ogni capitolo tira l’altro e la storia prende visceralmente il lettore in un vortice sempre più stretto. In soldoni, anche volendo, il lettore non può ignorarne la lettura.
L’autrice, da brava studiosa, oltre a dimostrarsi profonda conoscitrice della letteratura greca, evidenzia un profondo rispetto nei confronti del lettore registrando alla fine testi di riferimento utilizzati come bibliografia, studi e approfondimenti etimologici sui nomi di città come Micene e precisazioni utili al lettore per spiegarne le scelte narrative. Un libro che consiglio per tanti motivi ad incominciare dal taglio inedito e accattivante. Un libro che avrei letto con sincero e vivo piacere alle scuole superiori come compendio al mito e come fonte di dibattito in aula. Un testo di cui questa società ha bisogno per aprire nuovi orizzonti di riflessione e parlare della condizione femminile nella società di un tempo e nel tempo. Un libro che parla di una umanità perduta ai confini del mito, sulla quale migliorare e far progredire la nostra.
Trama
Siamo sicuri di aver sempre saputo la verità sulla guerra di Troia? Elena e Clitemnestra, principesse della nobile Sparta, sono cresciute circondate dal lusso. La loro straordinaria bellezza, che ha in sé qualcosa di divino, le ha rese celebri in tutta la Grecia. Non esiste donna che non le invidi o eroe che non desideri conquistarle. Ma la bellezza è una rosa dalle spine appuntite. E, nel caso delle due principesse, si dimostra presto un fardello. Ancora molto giovani, le sorelle vengono separate e inviate presso gli sposi che sono stati scelti per loro: i potenti re stranieri Agamennone e Menelao, fratelli di nobile discendenza. Se ai loro mariti è concesso il privilegio di determinare il proprio destino, le due regine non devono far altro che dare alla luce eredi e limitarsi ad assistere, miti e silenziose, allo scorrere degli avvenimenti. Non sarà così. Quando la crudeltà e l’ambizione sfrenata degli uomini arriveranno a privare le due sorelle di ciò che hanno di più caro, Elena e Clitemnestra sentiranno il bisogno di sottrarsi alle rigide regole della società in cui vivono: il loro nome verrà per sempre associato agli eventi nefasti della guerra di Troia, per la sola colpa di essersi opposte a una storia già scritta. Nel corso dei millenni le loro scelte riecheggiano come atti di straordinaria ribellione. Elena e Clitemnestra: vittime o colpevoli? È arrivato il momento della verità sul mito…