Recensione a cura di Francesco Marando
Può la scoperta di un manoscritto cambiare il corso della storia?
Sembra la trama di un romanzo ma è un saggio di Stephen Greenblatt, storico, critico letterario e docente universitario con un curriculum decisamente importante, un accademico che però si rivela a proprio agio con la divulgazione e le tecniche narrative proprie del romanziere.
Siamo all’inizio del Rinascimento tra le valli selvagge della Germania meridionale, un uomo solitario sta per fare la scoperta che farà “deviare” la storia dal suo corso, anche se lui non lo sa ancora.
Nell’inverno del 1417 Poggio Bracciolini cavalcò tra le colline e le valli boscose della Germania meridionale verso una destinazione lontana, un monastero che si riteneva conservasse una notevole quantità di manoscritti antichi. Come devono aver intuito subito gli abitanti dei villaggi che lo spiarono dalle porte delle loro baracche, era un forestiero. Snello e ben rasato, probabilmente indossava abiti modesti: una tunica e un mantello di buona fattura ma sobri.
Non era facile superare la diffidenza di quella gente e dei monaci in particolare, l’autore racconta la storia con la dovuta suspense.
Se Poggio avesse cercato di spiegare a qualcuno cosa intendeva fare, il mistero riguardo la sua identità si sarebbe solo infittito. In una cultura il cui grado di alfabetizzazione era molto limitato, essere affascinati dai libri era già di per sé una stranezza.
Varcare la soglia del monastero era un’impresa ardua, Poggio non era il solo ad andare a caccia di libri, gli umanisti italiani fin dai tempi del Petrarca (che però almeno era un chierico) si erano già fatti la nomea di “pagani” dediti solo al culto di Cicerone o di Virgilio, pronti a impossessarsi dei preziosi volumi con ogni mezzo. Forse i monaci non avevano tutti i torti. Poggio, in ogni caso non aveva una grande considerazione di questi religiosi: “Trovo non facciano altro che cantare come cicale” scrive “e non posso fare a meno di pensare che vengano pagati troppo generosamente per il semplice uso dei loro polmoni”.
Mentre si avvicinava al monastero, tuttavia, Poggio si sarà sforzato di mettere da parte queste convinzioni. Forse disprezzava la vita monastica, ma la conosceva bene. Sapeva esattamente come muoversi all’interno del convento e quali parole lusinghiere pronunciare per avere accesso alle opere che voleva vedere. […] Ripetendo mentalmente il suo discorsetto introduttivo, sarà smontato da cavallo e avrà percorso il viale alberato verso il pesante cancello dell’abbazia.
Poggio Bracciolini possedeva una buona dose di fascino, era un ottimo affabulatore, un abile conversatore e conosceva una serie infinita di storielle molte delle quali un po’spinte, cosa che con i monaci non guastava mai.
Una volta trovato qualcosa di interessante bisognava poi portarselo via. Allora come adesso poteve bastare la cifra giusta ma bisognava saper bluffare, più aumentava l’interesse, più cresceva il prezzo.
Il saggio scorre veloce tra aneddoti, curiosità, excursus storici sulla vita monastica, scandali alla corte papale, usi e costumi dell’epoca. Veniamo a sapere ad esempio che Poggio Bracciolini fu anche un ottimo copista, inventore di quello stile tondo (in contrapposizione al gotico) che verrà preso a modello per i primi caratteri a stampa e, nelle sue varianti, in uso tuttora.
E veniamo alla “sterzata”, come la definisce l’autore (nel titolo originale: “The Swerve”).
La tesi è di quelle che fanno discutere: il nostro mondo non era destinato a diventare necessariamente come oggi lo conosciamo, c’è stato quest’elemento di rottura, un artefatto fuori contesto sbucato dal nulla che ha innescato un effetto farfalla portando alla rivoluzione scientifica prima, industriale poi, fino ai giorni nostri.
Questo elemento dirompente non fu altro che un semplice poema filosofico: l’unica copia sopravvissuta del De rerum natura di Tito Lucrezio Caro. Un’opera di ispirazione epicurea che sembrava perduta per sempre, e non a caso, scopriremo infatti nel corso della narrazione che l’epicureismo era odiato tanto dai cristiani quanto dai pagani e gli ebrei.
Quando l’imperatore Giuliano l’Apostata (331-363 d.C. circa), che cercò di proteggere il paganesimo dal furibondo assalto cristiano, compilò una lista di opere che i sacerdoti pagani avrebbero dovuto leggere, annotò anche alcuni titoli da escludere: «Non ammettiamo» scrive «i discorsi degli epicurei». Gli ebrei, allo stesso modo, chiamarono apikoros – «epicureo» – chiunque si allontanasse dalla tradizione rabbinica.
Perché ques’opera era così eversiva tanto da venire cancellata dalla storia? E in che modo ha determinato la “sterzata”?
Perché si fonda su dei principi chiave tipici di una concezione moderna del mondo.
La materia, dice Lucrezio, è fatta di atomi, infiniti come numero ma finiti come forme e tipologie (al momento la tavola periodica conta 118 elementi, gli ultimi scoperti nel 2012)
Questi si urtano e si congiungono formando strutture complesse e tornano poi a separarsi in un processo ininterrotto di creazione e distruzione. Tutte le cose, compresa la nostra specie, si sono evolute nell’arco di lunghi periodi. Lucrezio anticipa Darwin parlando di evoluzione e selezione naturale, di strani animali (portenta) che si rivelarono inadatti e si estinsero. Anche l’uomo non sfugge a questa legge trasformandosi da bestia errabonda ad animale sociale nel corso di lunghi periodi di tempo.
Quando alziamo il nostro sguardo verso il cielo notturno e proviamo commozione, continua Lucrezio, non vediamo l’opera degli dei, ma osserviamo lo stesso mondo materiale di cui siamo parte, siamo fatti della stessa materia delle stelle come diceva Carl Sagan.
In un universo così costituito, asserisce Lucrezio:
… non c’è ragione di pensare che la terra o i suoi abitanti occupino un posto centrale né di considerare gli esseri umani diversi dagli altri animali; non c’è speranza di corrompere o rabbonire gli dei, non c’è spazio per il fanatismo religioso, non c’è necessità di abnegazione ascetica, non c’è giustificazione per i sogni di potere illimitato o di sicurezza assoluta, non c’è motivo logico per le guerre di conquista o l’autoesaltazione…
Non c’è da stupirsi che non piacesse ai ministri di qualsivoglia culto e nemmeno agli imperatori. Un messaggio che sarebbe scomodo anche oggi.
Lucrezio offre un senso di liberazione, la capacità di ridimensionare ciò che pare così minaccioso, un fulmine non è più l’ira degli dei ma un qualche scontro casuale di atomi che provoca un certo effetto, a prescindere che si conosca il dettaglio o meno di questo fenomeno. Anche la morte non fa più paura, gli uomini devono rassegnarsi all’idea di essere transitori come tutte le altre cose e accettare la bellezza e il piacere del mondo.
Tesi sovversive e scandalose ma capaci di settare un nuovo “mindset” nel Rinascimento diventando il fondamento della concezione razionale contemporanea del mondo.
La trasformazione non fu improvvisa ovviamente ma divenne sempre più possibile abbandonare il pensiero degli angeli, dei demoni e delle cause immateriali e concentrarsi invece sulle cose di questo mondo e quindi condurre esperimenti senza temere di violare segreti divini gelosamente custoditi, mettendo in dubbio le autorità e le dottrine ricevute, immaginare che esistano altri mondi oltre a quello che popoliamo (vedi Giordano Bruno) o ipotizzare che il nostro pianeta non sia il centro dell’universo (Copernico).
Non è una concezione arida e limitata quella del de rerum natura, al contrario il poema è intriso di stupore poetico dall’inizio alla fine, la bellezza del mondo e la sua varietà è sufficiente di per sé a farci meravigliare e amare la vita.
Ma la tesi della “sterzata” è vera? Non lo sapremo mai, non è verificabile, ognuno potrà farsi la sua idea leggendo questo bellissimo saggio. Ad ogni modo l’opera di Lucrezio va annoverata tra i grandi libri della storia e ci sono tanti buoni motivi per leggerla. Stephen Greenblatt ci spiega i suoi e perché ha voluto scrivere questo saggio.
Il nucleo del poema di Lucrezio è un’intensa meditazione terapeutica sulla paura della morte, una paura che dominò l’infanzia dell’autore, non per la sua morte ma per quella della madre, un’ipocondriaca che in ogni momento di separazione, racconta l’autore, si lasciava andare a lunghe e melodrammatiche scene d’addio come se la sua morte fosse imminente, stringendolo forte e parlando della concreta possibilità che non si rivedessero più.
Sua madre morì a novant’anni, senza essersi goduta un solo giorno della sua lunga vita.
Breve è questo godere per i poveri uomini; presto sarà passato, né dopo sarà mai possibile farlo tornare.
Tito Lucrezio Caro
Trama
Nel 1417, in un’epoca in cui per impadronirsi di un testo antico si poteva rubare o uccidere, l’umanista Poggio Bracciolini scoprì in un monastero tedesco l’unica copia sopravvissuta del poema filosofico di Lucrezio, “De rerum natura”. Oggi “Il manoscritto” racconta l’impatto delle idee di Lucrezio – intorno agli atomi, agli dèi e alla loro assenza, alla felicità umana – su artisti e pensatori come Botticelli e Giordano Bruno, Montaigne e Shakespeare, Freud e Einstein. Con il passo e la felicità del narratore Greenblatt dimostra in queste pagine che i grandi libri cambiano la storia del mondo.