Che sia ora di colazione, di merenda o di aperitivo, a Genova (e un po’ in tutta la Liguria) è sempre tempo di fugassa, ovvero focaccia.
La parola deriva dal latino focus perché al fuoco veniva cotto già nell’antichità un impasto di orzo segale e miglio realizzato da fenici, greci e cartaginesi.
A Genova, la focaccia nasce intorno all’anno Mille, quando i fornai ingannavano il tempo di attesa nelle notti invernali infornando direttamente sulla base del forno (quindi senza utilizzo di teglia) dei pezzi di pasta non lievitata che poi consumavano in compagnia, accompagnati da un buon bianchetto (bicchiere di vino bianco).
Focaccia, cibo conviviale – che si gustava in purezza o farcito con ortaggi, formaggi o salumi – e sostanzioso col quale la gente riusciva a combattere la fame in modo semplice e spendendo poco. Ma anche cibo di viaggiatori e pescatori, ed è infatti proprio la zona portuale di Genova che durante il Medioevo si riempì di “sciamadde“ (in dialetto genovese fiammata), antiche friggitorie dotate anche di forni a legna. Con il passare del tempo, la focaccia diventò la colazione dei portuali, in particolare dei camalli (dall’arabo “hammai”, faticatore a spalla), gli scaricatori o facchini portuali che lavoravano sulle navi del porto di Genova.
Durante Il Medioevo il successo della focaccia dilagò senza argini, tanto che fu emesso un decreto che vietava l’utilizzo di salse nocive per cuocerla – una sorta di disciplinare dell’epoca – e diventò tradizione distribuire la focaccia in chiesa durante i matrimoni, in alcuni casi anche durante i funerali, in segno di ringraziamento, ma anche di prosperità e buon auspicio. Usanza che trovò un freno nel vescovo di Genova, Matteo Gambaro, che ne proibì la consumazione durante le funzioni: il continuo masticare dei presenti copriva il latino recitato dall’officiante.
Nell’opera “Della vita privata dei genovesi” del 1866, Luigi Tommaso Belgrano, storico, bibliotecario e docente dell’epoca, riferisce che nell’inventario dei beni di un fornaio datato 1392, compare una “pala una magna pro fugacis”, ossia una grande pala necessaria per introdurre nel forno un prodotto probabilmente cotto non in una teglia, ma direttamente sul piano del forno.
Dal Medioevo, la fugassa resiste al trascorrere dei secoli, e da cibo semplice con cui sfamarsi con poco, approda persino sui banchetti importanti: sono del Cinquecento alcuni documenti recanti le indicazioni riguardanti i banchetti in onore del neoeletto Doge che parlano proprio proprio di una “fugase” nell’elenco dei prodotti preparati per il banchetto dei festeggiamenti.
Naturalmente la focaccia genovese ha continuato la sua Storia nei secoli e qualcosa ci dice che non tramonterà mai. Di sicuro, a un banchetto di TSD non mancherebbe.