Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
Nel romanzo, L’ultimo Principe di Sicilia, a cura di Bonfirraro Editore, Elio Manili, fonde la vita del protagonista con la storia di una Sicilia feudale che con i Sicani, (un popolo della Sicilia stanziato su gran parte dell’isola) e i coloni greci, popolarono questa straordinaria zona geografica dell’isola centro meridionale, al confine di tre civiltà.
Si viene letteralmente catapultati, fin dalle prime pagine, in quello scenario, politico e sociale, che fu la Sicilia tra il XVIII e il XIX secolo.
Elio Manili usa una componente storica molto curata, che ne fa una lettura scorrevole e chiara dalla quale traspare il legame con la sua terra proprio come il nobile siciliano, Ercole Michele Branciforte, al quale è ispirato il romanzo. Un personaggio con la vocazione all’azione e allo studio; vissuto tra il 1750 e il 1814. Ultimo discendente di una delle famiglie più importanti del regno di Sicilia.
La storia dei Principi di Butera si annoda strettamente alla nobiltà che fa parte della storia della Sicilia, l’antichissima Trinacria, che fu il punto d’incontro, reso strategico dalla sua posizione geografica e che, diventò, un importantissimo perno per tutte le civiltà del Mediterraneo.
Donna Margherita accese le candele di un raffinato candelabro d’argento. Attraversando la galleria dei feudi, la governante indicò l’affresco che raffigurava il simbolo araldico della famiglia Branciforte: un leone che reggeva il vessillo con le zampe monche. <<Questa è la storia del capostipite della vostra famiglia. Obizzo era un guerriero molto apprezzato fra i Franchi per il suo valore, il suo coraggio e la sua forza.>>
La governante Margherita racconta al piccolo Ercole di come durante una battaglia contro i Longobardi, l’eroico Obizzo, circondato da numerosi nemici nel tentativo di strappargli l’orifiamma, il vessillo dei franchi che, Carlo Magno, gli aveva affidato preferì farsi mozzare le braccia, e nonostante ciò con grande tenacia, riuscì a custodirlo fra gli arti monchi. Un atto eroico che gli valse il soprannome di Branciforte.
La storia del suo antenato renderà il piccolo Ercole consapevole di quanto il suo destino sia legato a quello del suo casato. La stessa consapevolezza che lo seguirà quando la corte di Ferdinando di Borbone lo chiamerà a Napoli, ma sempre con la sua Sicilia nel cuore.
Nel 1543 il Re di Spagna Filippo II elesse Ambrogio Branciforte Principe di Butera, titolo che rimase alla famiglia fino al 1800: un riconoscimento di grande importanza nella Sicilia feudale.
Le vicissitudini che la famiglia Branciforte attraversa, molte volte, indicano quelle di una terra accogliente, ma ombrosa; conservatrice di quella seduzione che scaturisce dalle vestigia che i dominatori succedutesi nei secoli hanno lasciato.
Lo scrittore Manili ha inserito, in questo romanzo, oltre alla storia politica e sociale di questa terra, un’alchimia di colori, di sapori, di profumi, facendone un punto di luce che, inizialmente, provoca una forma di avversione arcaica, in cui si innesta quel doppio, strano, sentimento d’amore – odio: quel desiderio di lasciarla per avvertire, subito dopo, la nostalgia del suo mare, della sua gente, del suo sole. Viene fuori il volto di una Sicilia che si mostra in tutta la sua affascinante bellezza, ma che può diventare crudele con i suoi stessi figli.
Scopriamo Palermo, una delle città più ricche d’Europa, che segna un arco di tempo dalla metà del ‘700 al primo decennio dell’’800 durante il quale si compie la vicenda dell’ultimo Principe. E’ un tormentato periodo storico che inizia nel 1773 con lo scoppio dei tumulti e l’allontanamento del viceré Fogliani, con l’avvicendamento del viceré illuminista Domenico Caracciolo, acerrimo nemico della solida roccaforte feudale e aristocratica siciliana. L’avvelenamento del principe di Caramanico, la decapitazione dell’avvocato Francesco Paolo Di Blasi, lo scoppio della rivoluzione francese e lo sbarco a Palermo di re Ferdinando e della regina Maria Carolina d’Austria: tutti questi avvenimenti minarono la solidità del plurisecolare parlamento siciliano e all’abolizione nel 1812 del feudalesimo in Sicilia.
Il Principe non riusciva a dormire quella notte. Si alzò e andò nella galleria dei feudi: il luogo che aveva amato di più fin da bambino. Davanti ai suoi antenati cercava quasi di giustificarsi: <<Ho servito fedelmente la corona, dilaniata da intrighi e tradimenti; ho offerto il meglio di me, ricevendone in cambio solo ambiguità. Si fanno chiamare liberali, moderati, giacobini e realisti, hanno nomi diversi, ma possiedono tutti la ricetta giusta per offrire progresso e felicità agli abitanti di questa terra. Vengono da liberatori per riscattare i nostri mali. Faranno questo…cambieranno quello…abbiano il coraggio di parlarmi da veri uomini, non negando che bramano anch’essi l’ebrezza del potere.>>
Prodigiosamente i panorami dei suoi feudi presero vita ed Ercole “vide” i contadini che aravano, seminavano, raccoglievano, “vedeva” i preparativi che organizzavano in occasione delle sue visite. “Sentiva”il calore che, nonostante le condizioni misere, gli comunicavano: un moto dell’animo, nuovo per lui, un’emozione che non aveva mai provato prima. Rimpianse di non aver fatto di più per migliorare la loro povera esistenza.
<<La mia Sicilia è formata da tante Sicilie che si fondono l’una con l’altra, spesso in piena contraddizione. Perfino i paesaggi si trasformano da un luogo all’altro in un gioco di stridenti contrasti. È fuori di dubbio che luci e ombre avviluppano la mia terra, facendone una meta unica e singolare>>. (Ercole M. Branciforte)
Con questa frase il protagonista intreccia il passato alle pagine più controverse della storia, tra legami di sangue, eredità patriarcali attraverso le quali si passava il testimone alle generazioni successive: indicativa per una terra, quella siciliana, che fa nascere dal silenzio di uno sguardo una storia ricca di significati, dalla quale traspare l’amore viscerale dei suoi “figli”che diventano storie nella storia.
Trama
Un romanzo storico incentrato sulla figura di Ercole Michele Branciforte (1750- 1814), principe di Butera, ultimo rampollo del più importante casato del regno di Sicilia, quello dei Branciforti, il cui stemma araldico – il leone con le zampe monche – ha origine dal mito di Obizzo, alfiere di Carlo Magno che, circondato dai nemici che vogliono impossessarsi dell’orifiamma, preferisce farsi mozzare entrambe le braccia, riuscendo egualmente a reggere il glorioso vessillo. Generoso verso i poveri, altezzoso verso i prepotenti di turno, spesso appartenuti alla sua stessa classe sociale , Ercole Branciforte è amato dal popolo che lo venera come un vero re e temuto dai potenti e dagli stessi viceré. E’ un vero principe, capace di grandi imprese. Conoscerà gli onori e i fasti di corte, ma anche l’onta della prigionia. La pubblica dimostrazione del pallone aerostatico sarà l’episodio più celebre della sua vita. Ci troviamo in una Palermo “felicissima”, seconda città d’Italia e una delle più ricche d’Europa, nella quale in un arco di tempo che va dalla metà del ‘700 fino al primo decennio dell’800 si consuma la vicenda dell’ultimo principe di Sicilia. E’un periodo di profondo travaglio storico che ha il suo inizio nel 1773 con lo scoppio dei tumulti e il successivo allontanamento del viceré Fogliani; l’arrivo del viceré illuminista Domenico Caracciolo deciso a demolire la salda roccaforte feudale e aristocratica di Sicilia; l’avvelenamento del principe di Caramanico causato dagli intrighi di corte per la lotta al potere; la decapitazione dell’avvocato Francesco Paolo Di Blasi, fautore di un nuovo ordine politico e sociale; lo scoppio della rivoluzione francese e il conseguente sbarco a Palermo di re Ferdinando e della regina Maria Carolina d’Austria fino a raggiungere allo scioglimento del secolare parlamento siciliano e all’abolizione nel 1812 del feudalesimo in Sicilia.