Recensione a cura di Roberto Orsi
Maria Luisa Minarelli abbandona temporaneamente Marco Pisani, l’Avogadore protagonista della serie di romanzi ambientati nella Venezia del 1700, per proporre una nuova serie di gialli storici. Si tratta dei primi due capitoli de “I misteri di Bologna”: “Delitto in Strada Maggiore” e “La veggente di Via De’ Toschi”.
Nella città emiliana degli anni del fascismo i due gialli in parola assumono lo schema classico dell’indagine portata avanti dal Maresciallo dei Reali Carabinieri Vittorio Righi, per portare alla luce la verità su casi di omicidio spinosi e intricati.
I due episodi, ambientati tra il 1935 e il 1936, calano il lettore in una Bologna che da un certo punto di vista non si è ancora arresa del tutto all’avvento del fascismo dopo il Biennio rosso e la strage di Palazzo D’Accursio del 1920. Un evento che provocò l’ascesa del partito fascista in città, a suon di violenza da parte di squadristi che si opposero all’egemonia politica socialista predominante fino a quel momento.
La Bologna descritta dall’autrice ha ancora dei sussulti di socialismo, di ribellione al regime dittatoriale imposto da Mussolini. È di qualche anno prima (31 ottobre 1926) l’attentato alla vita del Duce, perpetrato dall’esponente anarchico Anteo Zamboni. Una scia di lotta tra classi politiche che sembra non essersi esaurita e che continua ad aleggiare tra le pagine dei due romanzi. Tra un sabato Fascista con i giovani vestiti da Balilla, e una parata allo stadio Littorio, si respira l’atmosfera del tempo in una città che con i suoi chilometri di portici, gli anfratti bui di alcuni vicoli più nascosti e gli androni dei grandi palazzi signorili, nasconde più di un segreto.
“Gente passionale, i bolognesi… e razionale. Gente speciale che viveva di contrasti”
Lo stesso Vittorio Righi, maresciallo dei Carabinieri, non sembra essere un sostenitore convinto del regime, così come non lo è la moglie Anita, di professione insegnante. Nell’intimità e sicurezza della propria abitazione più di una volta le confidenze tra i due superano quello che è considerato un confine invalicabile per non essere incriminati come oppositori politici. Con loro il professore Jacopo, veneziano di origine, trasferitosi a Bologna per motivazioni che rimangono misteriose, inquilino dell’appartamento a fianco, che non esita a inserirsi nelle indagini condotte da Vittorio, dando anche un contributo molto spesso fondamentale.
Un personaggio, quello di Jacopo, molto interessante del quale l’autrice svela i retroscena a poco a poco, lasciando al lettore la curiosità di saperne di più attraverso i nuovi romanzi che comporranno la serie.
“In quegli anni il Codice Rocco aveva istituito il corpo di Polizia giudiziaria dell’Arma dei Reali Carabinieri, e Vittorio, rinunciando al grado di tenente pur di avere una carica operativa, si era iscritto alla Scuola Tecnica di Polizia di Roma per sottufficiali, con l’intento di difendere i deboli e impedire ai malviventi di nuocere. Giorno dopo giorno la possibilità di sbrogliare un mistero e di scoprire i colpevoli di un delitto lo ricompensava di ogni fatica.”
Nel primo episodio le vittime fanno parte della famiglia dei Conti Perdisa: marito, moglie e figlio vengono ritrovati senza vita all’interno del loro palazzo. Nel secondo volume della serie, un serial killer misterioso uccide cinque diverse donne che apparentemente non hanno alcun legame.
Due indagini che si rivelano da subito complicate, in un contesto come quello fascista in cui simili eventi non potevano ricevere risalto mediatico. Sui giornali certe notizie non dovevano essere pubblicate, si doveva dare parvenza di città sicure, ordinate, in cui i malintenzionati e i sovversivi venivano prontamente arrestati e condannati.
Il maresciallo Righi più volte viene messo alle strette dai vertici del partito, che ricoprono le più alte cariche istituzionali in città: il Prefetto, il Podestà, il Federale e il Magistrato, tutti impegnati nella corsa contro il tempo per assicurare alla giustizia il colpevole, o i colpevoli, prima delle visite ufficiali del Principe Umberto o del Duce stesso.
Mentre le indagini proseguono, grazie all’aiuto dell’appuntato Otello Marangoni e del brigadiere Ciro Mancuso che l’autrice descrive con la loro ironia e disponibilità, la città di Bologna, il suo impianto architettonico inconfondibile e lo strato sociale di riferimento, diventano protagonisti del romanzo.
“Il regime in seguito alla crisi del ’29 aveva creato vari strati di miseria abbassando i salari, mentre aumentava la disoccupazione, per favorire industriali, agrari, professionisti che lo sostenevano. Dove erano finiti l’ironia e il sarcasmo dei bolognesi, la loro razionalità? Cosa li aveva portati a farsi dominare da un regime roboante e magniloquente?”
Una città, ma anche una nazione, dai forti contrasti. Da una parte l’opulenza e l’ostentazione della ricchezza, l’atteggiamento di chi vuole darsi un tono e apparire tra i forti. Dall’altra uno strato sociale permeato di miseria e di difficoltà.
Lo stile narrativo dell’autrice è asciutto e lineare, le descrizioni dei luoghi e della città non sono mai troppo dettagliate ma si limitano a donare una sfumatura, una sensazione, un odore. Un modo per avvolgere il lettore nelle atmosfere del tempo a partire dalle due copertine che restituiscono da subito l’aria di mistero. Mentre le due indagini si risolvono senza lasciare nulla di insoluto, le vicende personali che ruotano attorno ai protagonisti indirizzano verso una continuazione della serie a cui probabilmente l’autrice sta lavorando.
Omicidi che scavano nella parte più brutta dell’animo umano, in un’area selvaggia dell’io più profondo, dove anche coloro tra i più insospettabili scatenano un vortice di violenza inspiegabile.
Trama
Delitto in Strada Maggiore
Bologna, estate del 1935. Gli abitanti dei dintorni di Strada Maggiore sono riuniti per un funerale quando le urla disperate di una donna annunciano che il conte Perdisa, sua moglie e il figlioletto giacciono riversi nel sangue nel salone del loro palazzo.
A occuparsi del caso, per ordine dei ras della città, sarà il maresciallo Vittorio Righi dei Reali Carabinieri. Reduce della Grande Guerra, sensibile alla miseria delle classi inferiori, consapevole dell’impossibilità di contrastare la popolarità del Duce, Righi ha scelto l’esercizio della giustizia come unica soddisfazione dei propri ideali. Affiancato dai fidi Ciro e Otello, non esiterà a scavare nei bassifondi come nelle ville in collina, svelando un mondo di prostituzione, gioco d’azzardo, droga e pratiche magiche.
L’arrivo in città del principe ereditario Umberto imporrà una sosta alle ricerche, ma grazie anche all’arguzia del misterioso amico veneziano Jacopo, Righi proverà a dipanare la vicenda e a mettere le mani sul colpevole.
Maria Luisa Minarelli, con sguardo ironico e tagliente, coglie la singolare bellezza di Bologna, città affascinante ed enigmatica dove, tra le ombre dei portici, ogni angolo sembra custodire un mistero.
La veggente di Via De’ Toschi
Ottobre 1936. Bologna è in fermento per la visita del Duce e mentre le forze dell’ordine sono impegnate a gestire le misure di sicurezza per accogliere l’illustre visitatore, in città vengono rinvenuti i cadaveri di diverse donne uccise nelle loro case dopo aver subito violenza.
Il maresciallo Vittorio Righi e la sua squadra si trovano a fronteggiare il nervosismo delle autorità e un difficile lavoro di indagine che li conduce solo in vicoli ciechi: l’assassino, infatti, è tanto abile da non lasciare tracce.
Scavando nei palazzi del potere, nei quartieri popolari, nei teatri, nell’ospedale psichiatrico, fino ad assistere a una seduta spiritica in uno dei lussuosi appartamenti dell’aristocrazia, Vittorio non solo indaga ma osserva anche con occhio sempre più critico il regime e inizia a individuarne le prime crepe.
L’assassino, tuttavia, è sempre un passo avanti. E a poco sembra servire l’aiuto dell’amico veneziano Jacopo che supporta il maresciallo con le sue competenze di criminologia. Finché in una Bologna festante e in delirio per il tanto atteso arrivo del Duce, Righi individua il bandolo della matassa. Il colpo di scena è però in agguato.