Recensione a cura di Roberto Orsi
“In quel dramma di sangue e vendetta, di dolore e depravazione, Antonio rivedeva il destino di Venezia, consumata dal vizio, decimata dall’epidemia di vaiolo, imprigionata nella morsa di un gelo che pareva senza fine e attraversata da oscure trame che rischiavano di porre in pericolo il suo fragile equilibrio.”
Il sipario si apre sulla città di Venezia del XVIII secolo. La Repubblica non è più quella dei grandi fasti dei secoli precedenti. Lo Stato da Mar si sta progressivamente ridimensionando, con la perdita di alcuni territori nevralgici per i traffici commerciali della città. Dal punto di vista politico, pur avendo mantenuto la sua indipendenza rispetto alle grandi potenze europee, la città sta perdendo la sua influenza e il grande potere che aveva raggiunto.
Nonostante ciò, Venezia in quel secolo è ancora una perla dal punto di vista culturale e artistico. Viene ancora considerata la “Mecca dell’eleganza”, con i migliori tessuti e le produzioni sartoriali più raffinate. Il vizio e la perversione sono spinti al massimo livello.
È una città permeata di chiaroscuro, tra luci e ombre, quella che Matteo Strukul presenta ai lettori nel suo nuovo romanzo “Il cimitero di Venezia”. Un chiaroscuro che si ritrova impresso nelle tele di Giovanni Antonio Canal, protagonista e investigatore sui generis di questo thriller storico.
“Era dunque possibile che stesse dipingendo i luoghi in cui l’assassino sceglieva di far ritrovare la vittima della sua rabbia sanguinaria?”
Canaletto viene chiamato a indagare sul ritrovamento dei cadaveri di alcune giovani donne veneziane il cui corpo martoriato si presenta squarciato sul petto e senza cuore.
Per una serie di coincidenze le ultime opere del Canaletto ritraggono proprio i luoghi del ritrovamento delle vittime. Inoltre, in una di queste che ritrae il Rio dei Mendicanti, è raffigurato un nobile veneziano in compagnia di altri due individui. Il Doge, sollecitato dalla moglie del nobile, vuole vederci chiaro e chiede al Canaletto di indagare sui possibili collegamenti. Che ci faceva quell’esponente nobiliare della città in quel vico malfamato?
“Quella tecnica, che stava via via affinando, gli avrebbe permesso di catturare Venezia in una nuova luce e prospettiva. Non più la semplice veduta, il congelamento dell’istante attraverso la tela, piuttosto la riproposizione di una parte della città, trasfigurata in un gioco di prospettive e punti di vista, a celebrare la grandezza della Serenissima.”
L’indagine di Giovanni Antonio affoga nel torbido di una città che rincorre i vizi, dimenticando molto spesso le proprie virtù. Aiutato dall’amico e committente di opere, Owen McSwiney, irlandese trapiantato in laguna, Canaletto si inserisce, al di sopra di ogni sospetto, in un giro di ridotti, bordelli e bische clandestine, in cui si aggirano loschi figuri poco raccomandabili.
Su un filone di indagine parallelo l’autore racconta le vicissitudini del ghetto veneziano e di Isaac Liebermann, medico ebreo alle prese con l’epidemia di vaiolo che sta sconquassando la città. Una vita non facile quella degli ebrei, nonostante la prosperità economica che la città di Venezia aveva dipendesse anche e soprattutto dalla loro comunità. Il successo genera invidia e frustrazione: quale migliore capro espiatorio, per gli omicidi che avvengono in laguna, di un popolo bistrattato e confinato nel “recinto” del ghetto?
“Il ghetto stava impazzendo davvero: era una gigantesca pentola che sobbolliva e, presto o tardi, si sarebbe scoperchiata, rovesciando tutti i mali del mondo all’intorno.”
Matteo Strukul, con la sua grande abilità di narratore, racconta la storia di Sabbatai Zevi, giovane seguace del rabbino di Smirne, che nel XVII secolo si autoproclamò nuovo messia travolgendo e sconvolgendo gli insegnamenti della Torah e gettando scompiglio tra il popolo ebraico. Personaggio enigmatico, controverso e rivoluzionario a suo modo, passò alla storia per una competa rivisitazione dei precetti ebraici, uscendo dagli schemi e istigando comportamenti che portavano a macchiarsi anche di atroci delitti.
Una spirale di violenza che sembra aver ripreso forza e vigore nella laguna veneziana, presa in una morsa di gelo che non riesce a fermare lo scorrere del sangue, in cui le autorità cittadine appaiono inermi.
La ricerca della verità e la risoluzione del caso da parte del Canaletto diventa ben presto un tentativo di preservare Venezia: l’ultimo sogno che è rimasto e che non può essere lasciato
“Nessuno ha mai dipinto Venezia come riesce a voi. Non si tratta solo di ritrarre il vero, niente affatto, la vostra è un’autentica visione, una sublimazione, è come se, con i chiaroscuri e i colori, e la scrittura della luce che realizzate attraverso i pennelli, voi coglieste in pieno l’anima di questa città che è viva e palpitante e freme di passioni, schiude promesse e rappresenta un ideale di bellezza irraggiungibile.”
La descrizione delle opere del Canaletto, perfettamente resa dall’autore, si insinua nelle pieghe della vicenda con un impatto visivo che restituisce i lineamenti più duri della città e dell’animo umano, ma allo stesso tempo ne esalta la bellezza.
La tecnica narrativa di Matteo Strukul, se ce ne fosse stato bisogno, conferma la sua grande capacità evocativa: ambientazioni, edifici, opere d’arte, abbigliamento e atteggiamenti dei personaggi, sono perfettamente resi e impreziositi da dialoghi in cui i termini e i toni delle conversazioni risultano perfettamente calati nel contesto.
Nonostante la trama intricata, come quella di un thriller storico deve essere, l’autore ha la capacità di introdurre i personaggi sulla scena con i giusti tempi, senza affastellamenti o confusione di sorta.
Dopo il racconto della famiglia Medici, delle grandi dinastie e di personaggi rinascimentali del nostro paese, con un passaggio al medioevo dantesco, Strukul racconta l’orrore più cupo di una città che abbiamo sempre amato per i colori, la luce, la fastosità, ma che come tutte, ha sempre nascosto un lato più buio e miserabile.
Trama
Venezia, 1725.
Mentre un’epidemia di vaiolo miete vittime tra la popolazione, una delle donne più illustri della città viene trovata con il petto squarciato nelle acque nere e gelide del Rio dei Mendicanti. In un clima di crescente tensione, Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto, viene convocato dagli Inquisitori di Stato, insospettiti da una sua recente opera, che ritrae proprio quel luogo malfamato: c’è forse un legame tra il pittore e l’omicidio? Mentre, sconvolto, sta lasciando il Palazzo Ducale, Canaletto viene fermato e portato al cospetto del doge, anche lui interessato a quel quadro, il Rio dei Mendicanti. Nel dipinto c’è qualcosa che, se rivelato, potrebbe mettere in grave imbarazzo un’importante famiglia veneziana: un nobile, ritratto in uno dei luoghi più popolari e plebei di Venezia. Perché mai si trovava in un posto simile? Canaletto riceve dal doge l’ordine di scoprirlo e riferire direttamente a lui. L’indagine – che all’inizio lo spaventa e poi, lentamente, lo cattura – lo porta però a frequentare ambienti apparentemente illustri in cui sembrano consumarsi oscuri riti, e nei quali si aggirano figure ambigue, dal passato avvolto nel mistero. Quali segreti si celano nei palazzi veneziani? Quali verità sarebbe meglio rimanessero sepolte?