Un uomo «esiliato, tormentato, umiliato e risorto con le sue ultime forze», che vive la scrittura come una necessità febbrile e un’ossessiva indagine sul lato oscuro dell’animo umano, in perenne lotta con i debiti, la malattia e una vita estrema in cui riecheggiano tanti motivi dei suoi capolavori letterari.
San Pietroburgo 1849, Fëdor Dostoevskij è davanti al plotone d’esecuzione, accusato di un complotto contro lo zar. Solo all’ultimo secondo viene risparmiato dalla morte e deportato in Siberia. Il ventenne Alexander von Wrangel, barone russo di origini baltiche, ricorda bene la scena quando qualche anno dopo è nominato procuratore della città kazaca dove Fëdor sta ancora scontando la pena, nella logorante attesa della grazia. Due spiriti affini, uniti dal fervore etico e intellettuale e innamorati perdutamente di due donne sposate: il giovane baltico della femme fatale Katja, e Dostoevskij della fragile ed eternamente infelice Marija. Confidenti, complici e compagni di sventura, Fëdor e Alexander si aggrappano uno all’altro come a un’ancora di salvezza nella desolazione siberiana, riuscendo a ritagliarsi un rifugio nel «Giardino dei cosacchi», vecchia dacia in mezzo alla steppa che diventa un’oasi di pensiero e poesia nella corruzione dell’Impero. In un appassionante romanzo «russo» basato su documenti, memorie e lettere giunte fino a noi, Brokken racconta un’amicizia che si intreccia alla storia politica e letteraria di un paese e attraverso la voce del barone Von Wrangel ricompone un ritratto intimo del grande autore ottocentesco. Un uomo «esiliato, tormentato, umiliato e risorto con le sue ultime forze», che vive la scrittura come una necessità febbrile e un’ossessiva indagine sul lato oscuro dell’animo umano, in perenne lotta con i debiti, la malattia e una vita estrema in cui riecheggiano tanti motivi dei suoi capolavori letterari.Recensione a cura di Thomas Buratti
La passione per la Russia e per Dostoevskij mi ha convinto a comprare questo libro a occhi chiusi, avendo capito dalla sinossi che avrei letto della storia romanzata dell’amicizia tra lo scrittore russo e il più giovane barone Alexander von Wrangel, durante l’esilio siberiano di Dostoevskij, ma con accenni anche al periodo precedente e successivo alla condanna voluta dallo Zar. Una bella amicizia (ma con un finale che mi ha sconcertato non poco) vera e sincera, tante belle riflessioni e un modo di pensare tipico dei russi che ho adorato in tanti altri romanzi divenuti dei classici. Ma questo è soprattutto il diario in prima persona (ricostruito minuziosamente dagli scritti e dalle lettere ritrovate e ben conservate di von Wrangel e con vari elementi di fantasia in aggiunta, per una migliore integrazione al romanzo, a detta dell’autore) del barone e lo scrittore non compare sempre. Anzi, in diversi capitoli viene appena citato oppure non vi è proprio per niente, e proprio questi sono stati per me meno interessanti e meno avvincenti (ma utili comunque per capire il pensiero russo e le vicende dell’epoca. Ma io sono fissato con Dostoevskij, che ci devo fare?). Comunque, in generale, una lettura molto ben scritta e non particolarmente noiosa. L’autore olandese si è ben immedesimato nell’epoca e nella mente del barone, cercando anche di usare uno stile di scrittura e un lessico appropriato e sempre credibile, raccontando molte delle sue vicende personali e di chi gli stava a cuore. Più colpi bassi e disgrazie che momenti felici, purtroppo. Ma questa è un’altra storia, è stato un periodo turbolento per tutti. Leggendo è anche possibile rendersi conto dell’assurdità di certe situazioni di quel tempo e capire come funzionava il pensiero comune russo. Un ottimo e incredibile lavoro, Jan.
Il giardino dei cosacchi Jan Brokken Traduttore: C. Cozzi, C. Di Palermo Editore: Iperborea Collana: Narrativa Anno edizione: 2016 Pagine: 420 p. , Brossura EAN: 9788870914719