Narrativa recensioni

Otto. L’abisso di Castel del Monte – Alfredo De Giovanni

Recensione a cura di Lucia Maria Collerone

La storia del romanzo ti travolge fin dalle prime pagine, ti immerge nei luoghi e nella realtà, ti fa sentire la telecronaca di Pizzul e il gol mancato di Baggio, quella notte del 17 luglio 1994, nel silenzio immobile di una natura impervia, tra le mura del castello enigmatico e maestoso che svetta nel cielo pieno di costellazioni luminose di una notte estiva in Puglia. Il lettore è lì, con i protagonisti, suda freddo con loro, rabbrividisce, si eccita, prova paura e procede con loro, in quell’incedere frenetico della vicenda che ti lascia senza fiato.

Il Castel Del Monte, massiccio, simbolo di potenza e di grandiosità con i suoi segreti e i suoi misteri è al centro della storia e risucchia le vite dei quattro giovani, cambiandola per sempre. Questo presagio è forte già dall’inizio del racconto e Paolo Manfrè, geologo appena laureato, lo sente con chiarezza.

Era sospeso nell’aria, come se qualcuno o qualcosa lo tenesse agganciato a dei fili invisibili, come se all’improvviso potesse spiccare il volo verso Venere o Sirio ben lieto di accoglierlo nelle loro sfere pulsanti. Deglutì con forza e scacciò il nodo alla gola.
Tra pochi minuti, quel Castello lo avrebbe cambiato per sempre.

Il Castello con le sue forme geometriche perfette, la forma ottagonale e le otto torri anch’esse ottagonali, la sua architettura ingegnosa e curata, la sua bellezza artistica e la sua storia ricca di figure imponenti come Federico II, è il protagonista indiscusso. L’autore mostra al lettore le sue particolari e inusuali caratteristiche, i misteri che si celano nella sua storia e lo fa tenendo il lettore avvinto, in un modo che è sensoriale e plastico. Sembra davvero di sentire la roccia liscia strisciare sotto le dita, di percepisce l’odore di muffa, di vecchio. Le descrizioni della natura, dei luoghi, degli ambienti, come delle chiese, che entrano come luoghi nella storia, fanno in modo di fare pensare al lettore di essere lì come spettatore silenzioso, ma ugualmente coinvolto.

Il Castello appariva ormai in tutta la sua geometrica bellezza, vestito di quella pietra calcarea, simbolo dell’essenza delle Murge, lavorata ad arte con lucida ossessione per rappresentare un solo numero: l’otto.

La vicenda si srotola con un ritmo frenetico, reso ancora più avvincente dalla forza delle emozioni vissute dai protagonisti che vengono narrate non solo nell’effetto fisico che essi producono, ma soprattutto nei risvolti psicologici che innescano. Anche questo aspetto psicologico del romanzo è molto interessante e usato con maestria dall’autore. Quello che risulta è una narrazione ben congeniata e costruita, senza sbavature e senza mancanze, dove tutto si concatena e ha un senso e una ragione.

Un altro aspetto del romanzo che lo caratterizza, è che esso non è solo un thriller, ma anche un romanzo di formazione. Il protagonista principale, Paolo, conquista un’immagine di sé nuova, capace di fare pace con se stesso e con i suoi familiari, forte e coraggioso, capace di determinare la propria esistenza, di non arrendersi alle paure.Il romanzo non è solo la ricerca di un tesoro nascosto, è la ricerca del proprio io.

Quell’assurda storia gli aveva regalato qualcos’altro. La consapevolezza e il coraggio potevano diventare suoi compagni di vita se lo avesse voluto. Forse nel dolore, nell’angoscia, nel sottosuolo dell’io, nell’inferno che aveva dovuto affrontare aveva ritrovato la sua libertà.

A partire dal mistero che avvolge il Castel del Monte si viene a conoscenza di molte leggende e interpretazioni legate alla numerologia, all’astrofisica, alla religione, alle scienze esoteriche che aumentano l’aura di enigma che avvolge tutto il racconto e che scaturiscono dalle mura stesse di quella preziosa e grandiosa opera.

 La lingua usata dall’autore è molto curata e precisa, a volte anche lirica e sicuramente aulica, ma scorrevole, capace di facilitare il ritmo incalzante della narrazione. Si percepisce l’uomo di scienza che guarda la terra, i luoghi e li racconta, ma senza tecnicismi o freddezza. Alfredo De Giovanni è un geologo, un musicista e un autore che ama la sua città, Barletta e il territorio in cui sorge, cosa che non è difficile comprendere per le straordinarie descrizioni che sembrano quadri di quei luoghi e della loro storia. In alcune parti del testo, nella scelta delle parole, nella struttura delle frasi non è difficile sentire la mano del musicista che studia, con attenzione e perizia, i suoni delle parole e il loro potere evocativo.

Un romanzo che intriga, confonde, spaventa, causa riflessioni, risveglia paure, stuzzica l’immaginazione e spinge all’estremo la curiosità, che conduce verso l’azione e a cercare una via d’uscita quando non sembra essercene alcuna. Un canto all’intuizione, alla conoscenza, all’intelligenza e alla volontà di perseguire una via. Ogni personaggio è spinto da una necessità, un desiderio, un credo, uno scopo.

Quali esperienze si può essere disposti a vivere per seguire i propri obiettivi?

Trama
Cosa nasconde il sottosuolo di Castel del Monte, l’enigmatico maniero di Federico II, da otto secoli abbarbicato su una collina solitaria nel cuore delle Murge? La notte del 17 luglio 1994 tutto il mondo è davanti al televisore per seguire la finale del campionato mondiale di calcio tra Italia e Brasile, quando Paolo Manfrè, giovane geologo dell’Università di Bari, l’amico fraterno Mauro Petruzzelli, il geofisico americano Robert Trimble e l’archeologa salentina Alessandra Bianco, decidono di esplorare il sottosuolo del castello. Ciò che troveranno sconvolgerà per sempre le loro vite. I protagonisti si muoveranno al confine della conoscenza, districandosi tra antichi codici rinascimentali e sedute di ipnosi regressiva fra Parigi, Chartres e la Puglia al centro di interessi occulti di un pericoloso gruppo internazionale.
Editore: Gelsorosso (16 novembre 2018)
Pagine: 312
ISBN-13: 978-8898286805
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