Trama
V secolo dell’era cristiana, l’Impero Romano è al tramonto, minato da cospirazioni e intrighi di palazzo e devastato dalle invasioni barbariche. Ciò nonostante nella città fortezza di Aquileia, estremo baluardo d’Italia, la vita continua con le sue gioie e le sue miserie. I fratelli Massimo e Valerio guardano con fiducia all’avvenire, ma presto dovranno fare i conti con l’amara realtà di quegli anni. La lite con un concittadino potente e vendicativo li costringerà ad abbandonare la famiglia, la loro terra e le donne che amano. Nel frattempo, a oriente del Danubio, una nuova orda barbarica è sul piede di guerra. Sono gli Unni di Attila, affamati di oro e conquiste. Dopo il loro passaggio l’Impero precipita nel caos, le carestie e le pestilenze seguono gli invasori e il presente e il futuro appaiono sempre più incerti. Comincia così una strenua lotta per la sopravvivenza che li porterà, seguendo la profezia di un aùgure degli antichi dei, a cercare rifugio e salvezza nel luogo dove terra e mare si legano. Nel primo capitolo del Ciclo della Serenissima, l’autore ci accompagna in un viaggio a ritroso, al tempo in cui l’Impero e i suoi dei sono al tramonto e in un’Europa che cambia sotto l’influsso di genti nuove e di una nuova fede. Da Bisanzio all’ Italia, passando per i campi di battaglia della Gallia, s’intrecciano le storie di donne e uomini, di pagani e di cristiani, di imperatori e papi, di guerrieri ed eunuchi, di romani e di barbari accomunati dal destino di profughi. Guidati dalla fede e dalla sete di giustizia parteciperanno alla costruzione di una nuova civiltà che nascerà, come Venere, dal mare e che troverà su di esso un glorioso e millenario futuro.
Recensione a cura di Laura Pitzalis
Questo libro è stato per me una vera sorpresa. Ho Iniziato la lettura molto prevenuta per il periodo storico , V secolo d.C., periodo che conoscevo molto superficialmente e in modo molto confuso. A me, però, piacciono le sfide e ho accettato di leggerlo e … non so se paragonare l’evento, senza passare per presuntuosa, alla “fermata” di Attila da parte di Leone I (tanto per stare a tema con il romanzo), ma come il Papa convinse il re degli Unni a ritirarsi,
Giacomo Stipitivich con questo romanzo ha completamente ribaltato tutte le mie opinioni e pregiudizi su questo periodo storico, facendo chiarezza e dissolvendo tutta la confusione storica che avevo su invasioni barbariche, imperi d’oriente e occidente, Costantinopoli, Ravenna, Roma …
“Come Venere dal Mare” mi ricorda il genere epico per la visione totale del mondo che vuole rappresentare: attraverso vicende individuali ci fa partecipi della Storia di quel periodo e ci comunica l’intera rappresentazione del mondo, propria di un popolo: coscienza religiosa, vita politica e familiare, modo di vivere, sentimenti.
Siamo nel V secolo d.C. , l’Impero romano è diviso in due parti: l’Impero d’occidente, con capitale Ravenna, è martoriata da congiure e complotti mentre a oriente nella nuova capitale di Costantinopoli, imperatori cristiani cercano di far rivivere i fasti di Roma. Una nuova minaccia si va delineando ad oriente del Danubio, da un nuovo e minaccioso popolo barbaro: gli Unni con a capo il terribile Attila, il “Flagello di Dio”.
Il popolo degli Unni supera ogni limite di barbarie […] Sono infidi e incostanti nelle tregue […] e sacrificano ogni sentimento ad un violentissimo furore. Ignorano profondamente, come animali privi di ragione, il bene ed il male, sono ambigui ed oscuri quando parlano, né mai sono legati dal rispetto per una religione o superstizione, ma ardono di un’immensa avidità di oro. A tal punto sono mutevoli di temperamento e facili all’ira, che spesso in un sol giorno, senza alcuna provocazione, più volte tradiscono gli amici e nello stesso modo, senza bisogno che alcuno li plachi, si rappacificano. [Ammiano Marcellino, V secolo A.D.]
In questa situazione storica, prende via il romanzo di Stipitivich che ci racconta le vicissitudini, durante un periodo di dieci anni, della famiglia Avilio: Ennio il
pater familias, la moglie Aurelia e i figli Valerio, Massimo e Canzianilla.
Attraverso le loro azioni, i loro occhi, la loro esistenza, l’autore ci porta a vivere in prima persona, gli eventi storici di quel periodo: la battaglia dei Campi Catalaunici, l’invasione degli Unni, le morti di Attila, Teodosio ed Ezio, l’ascesa al trono di Marciano, il tradimento di Giusta Grata Onoria, l’assedio e distruzione di Aquileia e l’incontro tra papa Leone e Attila sul Mincio.
L’intreccio tra romanzo e Storia è così stretto che non riesci ad individuare il reale dal fantastico e in questo modo Giacomo Stipitivich mi avvicina a questo periodo storico, m’incuriosisce, mi coinvolge.
Trama avvincente, dimensione epica, personaggi iconici: un pregio di questo romanzo è quello di avvicinare il lettore alla storia con una lettura di cui non si può che restare soddisfatti. Un romanzo storico, quindi, dove si trovano le storie d’amore, gli intrighi, le cospirazioni, i pericoli, i conflitti religiosi, le lotte per il potere, le vendette.
Il tema che più mi ha colpito in questo romanzo è la convivenza del Cristianesimo, che da piccolo culto ebraico è diventato la religione ufficiale dell’impero, con il paganesimo che ormai si sta spegnendo. L’autore l’ha voluto utilizzare
come metafora dove i riti pagani rappresentano l’Impero Romano ormai al tramonto, e il Cristianesimo come il Medioevo che s’affaccia al mondo.
L’ombra della croce si allunga ormai da Costantinopoli fino alle più remote propaggini dell’occidente oscurando il ricordo dei numina e degli dei di Roma. Giove, Giunone, Marte, Ercole Invitto e persino i Mani, i Lari e i Penati stanno scomparendo da queste terre e presto di loro non resterà che qualche immagine sbiadita sulle pareti di templi abbandonati. I giorni dei nostri avi sono al tramonto, una nuova era incombe e non solo a causa della croce.
La caratterizzazione dei personaggi è fantastica. Ce ne sono tantissimi tanto che ho fatto un po’ di fatica a raccapezzarmi durante la lettura, soprattutto per i loro nomi quasi impronunciabili ma conformi al periodo. Tutti ben descritti e diversificati non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Che siano eroi o antagonisti, giusti , onesti, leali o disonesti, malvagi, perversi, ognuno di loro ha delle sfumature, con i loro vizi e virtù, paure e angosce, speranze e sogni.
Quel che è certo, è che questi
personaggi s’imprimono nella mente, li si guarda evolvere durante tutto il romanzo, li si vede raggiungere picchi di umanità da un lato e di crudeltà dall’altro. E mi affeziono a Valerio e a Massimo, alle loro famiglie, agli abitanti della laguna e mi scopro a fare il tifo per loro perché riescano ad ottenere quello che si meritano.
Le scene delle battaglie sono minuziose, particolareggiate, così reali da risultare adrenaliniche creando momenti di suspense: io che aborro la violenza delle battaglie, che non sono mai riuscita a leggerle senza annoiarmi al punto che spesse volte le salto a piè pari, ebbene io in questo romanzo ne sono rimasta così coinvolta da non mollare la lettura fino alla fine dei combattimenti.
Un altro mio “tabù” che Stipitivich ha fatto crollare.
Lo stile narrativo è molto schietto, nessun termine antiquato, parole vezzose o espressioni altisonanti, ma un lessico elementare dove abbondano parole ed espressioni con una struttura sintattica che riproduce il parlato. Se da una parte questo mi ha reso la lettura scorrevole e comprensiva, in alcuni punti l’ho trovata un po’ dissonante, anche se non ha intaccato la struttura del romanzo.
Un romanzo che ci racconta di un tramonto, quello di un grande impero, di una grande civiltà: l’Impero Romano.
Ma ad ogni tramonto segue sempre un’ alba, l’alba di un nuovo mondo, di una nuova civiltà che nascerà, come Venere, dal mare e che troverà su di esso un futuro eroico e millenario.
Vide eserciti che cavalcavano su campi insanguinati, colonne che crollavano, rovine, fuoco e una notte lunga anni. Poi l’aurora ma senza più Apollo a condurre il carro del sole. L’aùgure pensò che fosse diversa da ciò che lui conosceva ma che era pur sempre un’alba. L’inizio di un mondo nuovo che lui non avrebbe visto ma che sentì gli sarebbe piaciuto conoscere. In quella nuova alba il sole sarebbe sorto, come Venere dal mare.
Per concludere, una “chicca”. Giacomo Stipitivich ha inserito, verso la fine del romanzo, il
carme 5 di Catullo, intitolato “
Vivamus mea lesbia”. Lo fa cantare al popolo della laguna, radunatosi a Torcello, dopo il Te Deum. È uno dei carme più celebrati dell’intera letteratura latina, inneggia a un amore passionale e noncurante dei giudizi degli altri, lasciando un messaggio paragonabile al lasciarsi andare verso l’amore, senza curarsi del giudizio altrui.
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumores quesenum severiorum
omnes uniusae stimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobiscum semel occiditbrevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
È questa la colonna sonora del libro
Copertina flessibile: 349 pagine
Editore: Independently published (24 aprile 2020)
Lingua: Italiano
ISBN-13: 979-8634222783
ASIN: B087L8DX8M
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