Articolo a cura di Maria Rita Truglio
Da sempre il nome Federico II di Svevia suscita immagini di prosperità, tolleranza e pace e inglobato nello Stupor Mundi, tanto decantato dai contemporanei, ha dato il via a numerose leggende che ne circondano la vita. Ma dove finisce esattamente il mito? E dove inizia la realtà? Negli anni tutto si è fuso e amalgamato dando forma ad un’unica “verità” generale. Eppure leggendo una sua biografia questa “verità” ci viene data in mostra nelle sue mille sfaccettature ed al centro c’è solo l’uomo e non il mito. Gli scritti di Ernst Kantorowicz e di David Abulafia per esempio, ci mostrano sì lo stesso Federico ma raccontato con due punti di vista differenti e con un’enfasi volta a dare diversa visione dell’imperatore. E Federico sta lì in mezzo tra adulazione e dissacrazione.
La nascita come una fiaba
Figlio dell’imperatrice Costanza d’Altavilla, (ultima normanna di Sicilia e figlia di Ruggero II), e di Enrico VI di Svevia ( figlio del Barbarossa), nasce a Jesi il 26 dicembre 1194 nella piazza del paese, luogo insolito ma scelto dalla madre; Costanza era in viaggio verso Palermo (dalla Germania) e avvertite le doglie fece fermare il corteo. Si dice che in molti non credessero alla sua gravidanza in quanto quarantenne, una fascia di età considerata troppo in là per avere figli. Si vuole che anche il marito ne dubitasse e per dimostrare la veridicità del parto ordinò che fosse montata una tenda al centro della piazza e che tutte le donne del paese fossero testimoni della nascita del figlio.
È molto probabile che il principio del mito corrisponda alla sua stessa nascita; fin da subito si rincorrono voci che vogliono Federico Ruggero Hohenstaufen il messia, il Salvatore del mondo. Goffredo da Viterbo, maestro di Enrico VI, lo celebrò come il Cesare che, citando Kantorowicz , <<sarebbe venuto a compiere i tempi; e aveva già per l’innanzi oscuramente profetato al suo signore e imperatore che era destinato a suo figlio, secondo quanto predetto dalla Sibilla Tiburtina, lo scettro del mondo, sotto il quale l’occidente si sarebbe riunito all’oriente>> .
Non mancarono però altre predizioni: pare che Mago Merlino avesse predetto la nascita miracolosa e insperata del bambino “ma altresì, con parole oscure, le calamità che ne sarebbero venute: <<Egli sarà un agnello da squartare ma non da divorare, e leone furioso tra i suoi>>” (sempre dalla biografia di Kantorowicz). Gioacchino da Fiore, abate Cistercense calabrese, lo riconobbe da subito come il castigatore, l’Anticristo che sarebbe venuto a confondere il mondo. Non la pensavano diversamente i Papi che incrociarono la sua strada.
La faida col papato fu una piaga che accomunò gli Staufen a partire da Federico I detto il Barbarossa e che con Federico II si fece più aspra. Il motivo della contesa era il Regno di Sicilia: allora feudo della Chiesa, venne concesso ai Normanni e quindi ereditato da Federico grazie alla madre. Ma lo Stupor Mundi aveva ben altre aspirazioni e tra queste non era contemplato l’essere un semplice vassallo della Chiesa. E proprio attraverso i suoi rapporti coi Papi abbiamo modo di conoscerlo nelle diverse fasi della sua vita. Possiamo dire che ognuno di essi ha conosciuto un Federico differente: tramite Innocenzo III (che la stessa Costanza d’ Altavilla ,prima di morire, aveva investito del ruolo di reggente del Regno e di tutore di Federico) lo osserviamo infante, mentre fugge dal suo Castello di Palermo per girare nelle vie della città: accolto da varie famiglie e nutrito, entra in contatto con culture e lingue diverse. E’ circondato da molte etnie e si sviluppa in lui la voglia di conoscenza. C’è un episodio curioso riguardante questi anni con Innocenzo, riportato su tutte le biografie lette fino ad ora ma che sembra non avere una validità storica accertata: quando Markward Von Anweiler prese Palermo ebbe una soffiata sul luogo in cui era nascosto il piccolo Federico. Sembra che per non farsi catturare, il bambino di appena 7 anni, tentò di scacciare gli intrusi ma non riuscendoci slacciò il suo manto regale, si strappò le vesti e lacerò le sue carni con le unghie. Un episodio che secondo lo scrivano di Federico era << l’esplosione di una natura selvaggia e passionale, d’un furore sconfinato contro l’offensore della dignità del re.>>
L’adolescenza
Crescendo sotto la sua ala, Innocenzo ebbe modo di “studiare” Federico e con una chiaroveggenza che ha dell’incredibile predice la futura vita del suo pupillo. Egli scrive:
Quando questo fanciullo sarà giunto all’età del giudizio, e apprenderà che fu la Chiesa a derubarlo della dignità imperiale, non soltanto le negherà il rispetto che le compete, ma la combatterà in tutti i modi possibili; strapperà dai feudi di Roma la Sicilia, rifiutando alla Chiesa l’obbedienza dovuta.
Ormai quattordicenne , che a quei tempi significava aver raggiunto la maggiore età, il Papa depone la tutela e Federico comincia a governare da solo. Dopo solo due settimane cominciano i contrasti con Innocenzo. I suoi presagi stavano per diventare realtà.
Fin da subito comunque dimostra una spiccata propensione alla politica. Uno dei suoi primi obiettivi fu quello di mettere ordine in Sicilia. Federico stesso dirà: <<I figli della rivolta, che odiano la pace, li ho costretti alla quiete, chini sotto il mio giogo>>.
Nel 1209, con un matrimonio deciso da Innocenzo III, sposa Costanza d’Aragona da cui avrà Enrico VII, successivamente eletto re di Germania. Da notare come Innocenzo si guardò bene dallo scegliere una sposa tedesca. Questo Papa chiese più volte a Federico la conferma di non unire il Regno all’Impero, e quest’ultimo rinnovò per tre volte il giuramento, anche nell’occasione solenne che lo vide incoronato re di Germania nel 1212 A Magonza e nel 1215 imperatore ad Aquisgrana.
Se con Innocenzo III conosciamo un Federico fanciullo, adolescente, appena adulto, alle prime armi con la politica ma già molto capace, con Onorio III abbiamo una visione più chiara del Federico politico e stratega; si attua la profezia del Papa precedente. Dopo l’incoronazione di Aquisgrana Federico chiama in Germania la moglie Costanza e il figlio Enrico (già re di Sicilia) con lo scopo di eleggerlo suo successore; il tutto avvenne nel 1220 quando Innocenzo era morto ormai da 4 anni. Tutte le promesse fatte al vecchio pontefice per Federico non avevano più valore. Facendo eleggere re dei romani suo figlio, mantenne formalmente separato l’impero dal regno ma in quanto tutore di Enrico riunì le due parti nelle sue mani. La Sicilia cessò di essere proprietà ecclesiastica. Oltre a questo si aggiunse la questione delle Crociate. Anche in questo caso più di una volta fece la promessa di restituire Gerusalemme alla cristianità ma più di una volta rimandò. Onorio III non aveva la stessa tempra di Innocenzo e lasciò correre dando fiducia a Federico incoronandolo Imperatore del Sacro Romano Impero il 22 Novembre 1220 a Roma.
Lo scontro col Papato
Ma è con Gregorio IX, suo successore, che assistiamo ad un vero e proprio scontro tra potenze. L’alterigia di Federico tocca il suo apice e il suo fastidio nei confronti delle cariche ecclesiastiche si fa più acceso. Dopo aver ricevuto la prima scomunica dal Papa per non aver concluso la crociata del 1227 a causa della peste, Federico scrive:
Ecco i costumi dei prelati romani, ecco i lacci che tendono per ismungere denaro, soggiogare i liberi, inquietare i pacifici. Pecore all’esterno, i Papi sono lupi in cuore che mandano da per tutto legati con facoltà di scomunicare, sospendere, punire, non per seminare la parola di dio, ma per estorcere denaro, mietere e raccogliere ciò che non hanno seminato. Sulla povertà e semplicità era fondata la primitiva Chiesa, quando feconda partoriva i santi[…]
Contro questa bolla il Papa rispose scomunicandolo nuovamente e sciolse i sudditi, in special modo di Sicilia e Puglia, dal vincolo di fedeltà all’imperatore.
In questa sua diatriba con Gregorio, si nota un cambiamento radicale in Federico. Era arrivato ad un punto di non ritorno a mio avviso. Scherzosamente dico sempre che più che al padre Enrico, somigliava molto al nonno Barbarossa. Se contro i rivoltosi non c’era via d’uscita entrambi risolvevano il problema alla radice: rasavano al suolo l’intera città. Come fece il Barbarossa con Milano, Federico adottò questo metodo con Siracusa dalle cui ceneri successivamente nacque Augusta. Eppure in quegli ultimi anni di lotta al papato, la tirannia usata lo fece avvicinare molto al padre Enrico. Il che è tutto dire. Se i Papi si consideravano inferiori a Dio ma superiori agli uomini, Federico a sua volta la pensava diversamente: l’impero era un opera divina e i Papi dovevano sottomettersi. Se avesse ragionato in maniera più lucida usando le sue capacità politiche, avrebbe accettato la possibilità che gli diede Gregorio di partecipare a quello che sarebbe stato il suo ultimo concilio prima della morte. Ma lui si rifiutò. Sicuramente un’occasione persa che probabilmente avrebbe potuto cambiare il destino di molti. E chissà, anche quello dell’intera stirpe Staufen. Ma si sa che la storia non si fa con i “se” o con i “ma” soprattutto se è già scritta e avvenuta.
E cosa successe dopo Gregorio IX?
Il successore di Gregorio IX fu Celestino IV che morì 17 giorni dopo la sua elezione. Senza perdere tempo si scelse Sinibaldo Fieschi che divenne Innocenzo IV. Furono gli ultimi anni di vita di Federico quelli passati a combattere con questo nuovo Papa mentre era fortemente impegnato nel nord Italia per sottomettere le città che non gli avevano giurato fedeltà. Come suo nonno Barbarossa anche lui ebbe a che fare con la Lega Lombarda. Innocenzo IV non le mandò certo a dire. Stanco dei soprusi dell’imperatore, organizzò in gran segreto un concilio a Lione e nel 1245 lo depose dal trono imperiale:
Spogliato da Dio da ogni onere e dignità del sopraddetto principe il quale si è reso tanto indegno di onore, di dignità, di regno e di impero che per i suoi peccati e per la sua indegnità è stato da Dio dannato a non regnare e a non imperare .
Nulla potè Federico il cui sole stava ormai per tramontare. Di certo non si arrese, non era nella sua indole, ma la sconfitta di Parma non giovò al suo animo.
La sua corte, la Crociata e le sue opere
Se si conosce la sua storia si capisce che in fin dei conti ha molte cose in comune coi suoi predecessori. Per citare il professore Alessandro Barbero “Era sempre un uomo del suo tempo” e in un certo senso è così. Eppure è stato in grado di portarsi dietro, ovunque andasse, un’aura di magnificenza che sicuramente ha contribuito a crearne il mito. La sua corte che si sposta verso la Germania con animali esotici e schiavi saraceni deve aver suscitato una certa impressione nella corte tedesca (e non), tanto da essere soggetto di numerosi brani e poesie. Le sue feste a corte ricche di scambi culturali con amici arabi ,di cui Federico si circondò, non fecero altro che ingrandirne la magnificenza.
La stessa crociata che riuscì a portare a termine senza usare armi contribuì in tal senso. Forse era proprio questa la sua forza e ciò che lo distingueva dagli altri imperatori: se c’era la possibilità di non usare le armi ed arrivare ad un accordo lui non si tirava indietro.
Altro punto che lo distingue e che ne ha creato la meraviglia è la sua curiosità, cosa non molto comune tra gli imperatori del tempo, più interessati alle armi che al resto. Anche la sua passione per la caccia andava ben oltre. Interessato ai volatili, ne studiò i comportamenti tanto da scriverne un trattato con l’aiuto del figlio Manfredi: De Arte Venandi Cum Avibus. Inoltre manteneva una viva corrispondenza con ebrei, musulmani egiziani e suoi stessi cortigiani lontani da corte, una sorta di “corso per corrispondenza” (come lo ha definito David Abulafia) in scienza e filosofia. Si tenne in contatto con lo stesso Al-Kamil (il sultano d’Egitto con cui si accordò per la consegna di Gerusalemme) scambiandosi idee sull’origine dell’universo.
A lui si deve l’università di Napoli e con la Costituzione di Melfi nel 1231 stabilì che l’attività di medico potesse essere svolta solo da dottori in possesso di diploma rilasciato dalla Scuola Medica Salernitana. La scuola poetica siciliana, invece, introdotta da Guglielmo II, con lui ebbe il suo apice e assunse i contorni di un movimento culturale; del volgare siciliano ne parla anche Dante nel suo De vulgari eloquentia.
[…] e poiché regale soglio era la Sicilia, avvenne che quando i nostri predecessori composero in volgare, fosse chiamato siciliano: il che noi pure riteniamo, né i nostri posteri riusciranno a mutarlo.
Dal nonno Ruggero non ereditò solamente la voglia di conoscenza ma anche la base per creare nuove leggi facenti parte della costituzione sopra citata. Furono costruite sulla struttura normanna già esistente ma Federico ne plasmò alcune, usò altre e ne fece di nuove. Il Codice Melfi fu diviso in tre libri: uno dedicato al diritto civile, uno al diritto penale, uno al diritto pubblico. Riorganizzò completamente il territorio: gli amministratori di provincia erano tutti di nomina regia e le grandi province erano rette da un Giustiziere, la cui funzione era quella di governatore politico regionale. Nelle sotto province invece operava un giustiziere di grado inferiore rispetto al giustiziere regionale coadiuvato dal segretario preposto al fisco e da altri funzionari addetti al controllo del territorio. Tutto ciò consentiva all’imperatore di avere occhi ovunque nel regno.
La sua vita venne considerata dissoluta non solo per il rapporto che aveva con gli infedeli (I Musulmani) ma anche per i suoi rapporti con le donne. Non è un segreto che ne avesse un debole e che amasse soprattutto le saracene. Questo suo “vizio” venne usato contro di lui dai Papi per riuscire a macchiarlo agli occhi dei sudditi ma con poco successo. Gregorio IX lo accusò addirittura di sodomia ma Federico sembrò non curarsene minimante e la diceria cessò di esistere da sola.
Ufficialmente ebbe tre mogli: la già citata Costanza d’Aragona da cui ebbe Enrico VII (questa unione inizialmente poco voluta da Federico si è successivamente trasformata in qualcosa che andò al di là di un matrimonio organizzato), Jolanda di Brienne figlia di Giovanni di Brienne che gli avrebbe consentito di avere in eredità la corona di Gerusalemme. Da lei ebbe due figli: Corrado IV e Margherita. E infine Isabella d’Inghilterra, sorella di Enrico III, che gli diede Margherita e Enrico detto Carlotto. Una menzione a parte merita Bianca Lancia. La loro fu una storia clandestina e sembra che Federico ne fosse sinceramente innamorato. Ebbero due figli: Manfredi e Costanza. Dell’esistenza di un terzo, il cui nome dovrebbe essere Violante, non si hanno conferme. Si dice che sposò Bianca in punto di morte in modo da legittimare i figli.
Il mito
Il mito accompagnò Federico II di Svevia per tutta la sua vita e anche oltre. Dopo la sua morte avvenuta il 13 dicembre 1250 a Torremaggiore, per suo volere passò qualche giorno prima che la notizia si diffondesse. Il tempo di essere deposto nella Cattedrale di Palermo accanto ai suoi famigliari dove ad oggi riposa. Quando la notizia della sua morte prese piede venne il turno di maghi, indovini, sibille che ne predicavano il ritorno. Si racconta di suoi avvistamenti un po’ in tutta Italia e anche in Germania. A tal proposito Eberhard Horst riporta nella sua biografia qualche episodio:
Dopo il 1260 provocò scalpore nella regione dell’Etna un tipo che si gabellava per Federico redivivo e per un paio di anni trovò una schiera di seguaci. Il cronista Tommaso da Eccleston aveva annotato la singolare visione di un monaco siciliano: <<Nella stessa ora in cui Federico Imperatore rendeva l’anima a Dio io mi inginocchiai sulla riva ,in preghiera, là dove il pendio del Mongibello, detto anche Etna, scende scosceso verso quel mare dal quale la montagna emerse nella notte dei tempi. Un terribile rumore mi riscosse dalle mie devote meditazioni. Vidi allora un interminabile corteo di cavalieri armati, cinquemila circa, che cavalcavano sulla riva dentro il mare. L’acqua si ribellava al loro passaggio e schiumava come se essi fossero avvolti di metallo incandescente. Chiesi ragione di tutto ciò a uno di loro e quello, con viso pallido e immobile, rispose di appartenere a Federico Imperatore in procinto di cavalcare coi suoi uomini nell’Etna per prendervi dimora
Secondo il monaco l’imperatore stava inabissandosi verso l’inferno ma il popolo lo interpretò in maniera differente: ritiratosi nelle viscere della montagna per riposarsi, sarebbe ritornato un giorno come liberatore.
A niente valsero le grida di giubilo della chiesa. Lo stesso pontefice venuto a sapere della morte dell’imperatore ne aveva dato comunicazione con un- Letentur coeli et exultet terra– (si allietino i cieli ed esulti la terra). Il loro intento di cancellare dalla memoria “il babilonese” servì a poco. Evidentemente l’amore e il rispetto verso Federico erano tali che nemmeno la morte ha potuto scalfirne il ricordo. Amato e odiato, uomo del suo tempo o meno è innegabile il fascino di questo personaggio che a di stanza di secoli continua a suscitare stupore; e la Chiesa di allora, inconsapevolmente, gli ha dato maggiore risalto ottenendo il risultato contrario al loro scopo. Chissà cosa ne penserebbe Gregorio IX…