Recensione a cura di Donatella Palli
“I soldati imprigionati a Colditz erano senza dubbio coraggiosi, disponevano di una forte tempra ed erano certo dotati di molta fantasia, come testimoniano i loro tentativi di fuga da un campo di massima sicurezza che segregava i detenuti considerati maggiormente pericolosi per il Terzo Reich”
La città di Colditz ed il suo relativo Castello si trovano in Sassonia a 32 km da Lipsia, quindi nella Germania orientale che nel 1949 sarebbe diventata DDR, Repubblica Democratica Tedesca.
La costruzione della fortezza fu iniziata nel 1043 e poi ampliata, modificata, distrutta, ricostruita. I signori di Sassonia la trasformarono in una residenza di caccia nel sedicesimo secolo. In epoche più recenti divenne una prigione e un ospedale per incurabili e durante la Prima Guerra Mondiale ospitò pazienti affetti da tubercolosi. Prima della Seconda Guerra Mondiale i nazisti la trasformarono in prigione per comunisti e oppositori del regime ed infine nel ‘39 diventò campo di prigionia speciale per gli ufficiali nemici che avevano già tentato la fuga altrove.
Ospita oggi un piccolo museo con reperti dei vari tentativi di fuga e un ostello della gioventù.

Questo luogo era gestito dalla Wehrmacht, ossia dall’esercito e garantiva il rispetto della Convenzione di Ginevra: gli ufficiali catturati avevano diritto ad alcuni privilegi tra cui quello di essere trattati con il riguardo dovuto al loro grado, ricevevano una retribuzione mensile spendibile nello spaccio, potevano servirsi di un attendente, non erano tenuti a lavorare come i soldati semplici, avevano il diritto di fare esercizio all’aperto. Sappiamo bene che poteva essere considerata una situazione idilliaca rispetto ai campi gestiti dalla Gestapo e dalle SS, organi paramilitari; cionondimeno i prigionieri tentarono in ogni modo di fuggire.
A capo delle guardie c’era il Leutenant Reinhold Eggers, un ex insegnante formale, auto disciplinato, devoto al proprio Paese ma non nazista. Eggers rese Colditz un luogo di prigionia tollerabile ma fece anche ogni sforzo per impedire ai detenuti di fuggire.
L’invasione e la spartizione della Polonia del 1939 e la sconfitta francese di Dunkerque nel maggio 1940, avevano riempito i campi di concentramento di polacchi e francesi. Molti dei loro ufficiali arrivarono a Colditz.
Nel dicembre 1940 la Croce Rossa internazionale svizzera, come Paese neutrale, inviò al castello molti pacchi di viveri per i prigionieri e questi aiuti continuarono ad arrivare regolarmente. Poco prima del Natale 1944 arrivò l’ultimo pacco della Croce Rossa che fu preso d’assalto anche dalle guardie che morivano di fame.
“Questo aspetto non è mai stato sufficientemente ricordato, ma è certo che, senza i pacchi della Croce Rossa, un numero maggiore di prigionieri di guerra sarebbe morto in Germania”
Nella primavera del ‘41 britannici, polacchi e francesi stavano lavorando alla costruzione di altrettante gallerie, ciascun gruppo all’insaputa degli altri sovrapponendosi; si pensò allora di costituire un Comitato Internazionale per l’Evasione.
“Prima di tentare la fuga i singoli avrebbero dovuto ottenere il permesso del loro ufficiale superiore e questi era tenuto a informare i suoi pari -grado delle altre nazionalità”
Le divisioni politiche all’interno dei prigionieri erano marcate : mentre i francesi chiesero che i loro compatrioti ebrei fossero separati dagli altri e relegati nelle soffitte, gli inglesi manifestarono solidarietà agli ebrei.
Il corpo degli ufficiali a Colditz apparteneva al ceto medio o a quello superiore, mentre gli attendenti erano quasi tutti della classe operaia.
Alla fine di luglio ‘41 la popolazione carceraria aveva superato i 500 ufficiali: circa la metà erano francesi, 150 polacchi, 68 olandesi e altrettanti inglesi.
Il morale oscillava a seconda delle notizie che giungevano dal fronte; comunque la vita di un ufficiale prigioniero era insopportabilmente noiosa e la costruzione di tunnel serviva anche per dare uno scopo alle proprie giornate. Per questo motivo le autorità permisero anche l’organizzazione di gare sportive e l’allestimento di un teatro.
A settembre arrivò un contingente speciale di prigionieri chiamati “gli eminenti” come Giles Romilly il nipote comunista di Winston Churchill, Mazumdar un medico indiano sostenitore di Gandhi, Elie de Rothschild e altri . L’idea dei tedeschi era che questi preziosi ostaggi sarebbero potuti servire in seguito. Si tentò di convincere Mazumdar a tradire l’Inghilterra, visto che l’India stava lottando per la sua indipendenza, ma il medico si rifiutò sempre benché fosse discriminato dagli altri prigionieri e considerato una spia dei tedeschi.
Il controspionaggio britannico sotto la sigla MI9 e la direzione del genio Christopher Clayton Hutton “Clutty” elaborò eccezionali marchingegni (alla 007) che potevano aiutare i prigionieri a fuggire. Coloro che riuscivano ad arrivare a Varsavia venivano aiutati da un agente dei servizi segreti: Jane Walke che si faceva chiamare Janina Markowska.

Tra il settembre 1940 e il maggio 1942 la rete accolse 65 militari britannici in fuga e ne salvò 52.
Certo ogni volta che qualcuno riusciva a fuggire era una bella iniezione di fiducia per gli altri!
Nell’autunno 1942 le sorti della guerra stavano ribaltandosi e i tedeschi con le perdite sul fronte orientale e il ritiro di Rommel in Nord Africa cominciavano a perdere sicurezza; le incursioni degli aerei alleati si erano fatte più frequenti e:
“A Eggers , che non aveva mai creduto alle storie sulla barbarie nazista e sugli omicidi di massa, perché le considerava il prodotto della propaganda alleata, il dubbio si insinuò: non solo la Germania poteva perdere la guerra, ma forse se lo meritava anche“
Il 18 ottobre Hitler aveva emanato un ordine che costituiva una clamorosa violazione della Convenzione di Ginevra: tutti gli incursori alleati catturati dovevano essere giustiziati senza processo.
Nel 1943 iniziarono i disastrosi bombardamenti delle città tedesche: Amburgo con oltre 37mila vittime, a ottobre Halle, a dicembre Lipsia con 1.800 morti solo a 50 km da Colditz. Ne seguirono molti altri come il tragico bombardamento di Dresda nel febbraio 1945 con 135mila vittime.
“L’esercito tedesco stava perdendo la guerra e con essa la lotta di potere all’interno del regime: Himmler e i suoi sgherri delle SS avevano ormai il sopravvento e avrebbero fatto sì che la fine del nazismo fosse all’insegna del bagno di sangue e della furia belluina”
Il 6 maggio 1944 arrivò a Colditz la Commissione della Croce Rossa diretta da Rudolf Denzler. Si voleva cercare di proteggere i prigionieri di Colditz da esecuzioni sommarie e fu proprio lui, in seguito, a riuscire a salvare, con la diplomazia, 21 importanti prigionieri britannici e americani (gli eminenti) che Hitler aveva già deciso di fare uccidere.
L’attentato a Hitler il 20 luglio 1944 guidato da Claus von Stauffenberg dette origine a una rappresaglia in cui 5000 sospetti furono giustiziati.
Gli americani erano già sbarcati in Normandia il 6 giugno 1944 ma la sopravvivenza dei prigionieri e con loro anche dei carcerieri era in grave rischio. Tutti stavano morendo di fame e di paura.
Si sviluppava uno spirito di reciproca considerazione se non di cameratismo.
La corrispondente di guerra Lee Carson, rischiò più volte la vita nel raccontare gli eccidi dei nazisti, i bombardamenti delle città tedesche e la battaglia per la conquista di Colditz tra le SS e le truppe americane.
Proprio nella cittadina gli alleati trovarono nella fabbrica dismessa HASAG un campo di lavoro per ebrei ungheresi, in condizioni di schiavitù, che producevano munizioni per armi leggere e lanciarazzi per l’esercito tedesco. La forza lavoro era di circa 700 ebrei ma l’aspettativa di vita per i prigionieri era di tre mesi e mezzo. Persino Eggers non sapeva niente di questo campo.

“Mentre le forze tedesche sconfitte si preparavano a ritirarsi, le guardie delle SS iniziarono a uccidere gli ebrei a gruppi di cinque“
Il 14 aprile 1945 il controllo di Colditz passò dalle guardie ai detenuti.
La mancanza di cibo e la snervante attesa della liberazione dopo quattro anni di prigionia aveva provocato episodi di suicidio e follia sia tra i detenuti che fra le guardie.
Così si festeggiò l’arrivo del primo americano :
“Un uomo dal volto fresco, appena uscito dall’adolescenza, carico di armi. LO fissarono , il soldato statunitense abbassò l’arma, gli uomini si fecero avanti e il soldato venne sommerso da una folla entusiasta, che rideva e lo acclamava. Decine di mani gli batterono le spalle, un boato di applausi”.
L’Armata Rossa raggiunse Colditz nel maggio 1945, la città si trovò nella zona d’influenza russa.
Reinhold Eggers che non aveva accettato di fuggire fu prima arrestato dagli americani e poi rilasciato ma fu giudicato da un tribunale militare sovietico che lo condannò a 10 anni di lavori forzati. Rilasciato nel 1955 e espulso dalla DDR si stabilì sul lago di Costanza dove morì nel 1974. Ci ha lasciato il proprio libro di memorie: The German Viewpoint.
Molti altri sopravvissuti hanno pubblicato libri di memorie. Su Colditz hanno girato dei film: La giungla degli implacabili ( 1955) e Colditz ( 2005). Inoltre la BBC nel periodo dal 1972 al 1974 ha presentato una serie televisiva in 28 episodi.
PRO
Il libro, molto fedele all’accaduto, ci racconta dettagliatamente tutti gli espedienti che utilizzarono i prigionieri nei vari tentativi di fuga e mi sono davvero sorpresa e divertita per la grande creatività di cui un uomo può essere capace se disperato.
CONTRO
Niente da eccepire se non una eccessiva lunghezza

Prigionieri del castello – Edizione e-book
Trama
“Questa è l’incredibile storia vera della prigione più inespugnabile della Germania nazista. Un castello, quello di Colditz in Sassonia, che nel corso dei secoli era stato fortezza medievale, residenza di caccia, sanatorio, sede di gruppi paramilitari, e che infine, durante la Seconda guerra mondiale, fu per quattro anni campo di prigionia per ufficiali alleati ad alto rischio di fuga. Così all’interno di quelle mura – a strapiombo su un fossato oltre il quale comunque non c’era la libertà, ma chilometri e chilometri di terra tedesca – si creò una specie di “università dell’escapismo”, un microcosmo di persone con un unico obiettivo: l’evasione. Ciò, tuttavia, non si tradusse mai in vera e propria unità: ciascun gruppo nazionale, nei pochi anni in cui Colditz fu il campo di massima sicurezza Oflag IV-C, tentò la fuga decine di volte, sovrapponendo gallerie a gallerie, tentativi a tentativi, al punto che si rese addirittura necessaria l’istituzione di un «comitato internazionale per l’evasione», il solo a essere informato di ogni singolo piano, di cui gli spettava specifica autorizzazione. Dei numerosissimi tentativi attuati, in realtà, solo pochi andarono a buon fine, e tutti all’insegna di una certa assurdità: ci fu chi si nascose tra la folla di ritorno da una partita di calcio, chi viaggiò otto giorni in sella a una bicicletta rubata, chi scappò cucito all’interno di un materasso pieno di paglia marcescente. Con Prigionieri del castello, Ben Macintyre ci conduce dietro le quinte di un’intrigante storia del Novecento per offrirci il ritratto di un gruppo di uomini eroici ma fallibili, che pur prigionieri replicavano gli schemi classisti e gli antagonismi della società pre-bellica; il libro definitivo sul mito di Colditz.