Personaggi Storici Viaggio nella storia

Carlo V: l’Imperatore dei Romani

Articolo a cura di Marina Colacchi Simone

Carlo era nato in una uggiosa giornata del febbraio 1500, nella splendida città di Gand nei Paesi Bassi, terra dove la sfarzosa corte degli Asburgo regnava da quando suo nonno Massimiliano, poi divenuto Imperatore del Sacro Romano Impero, aveva impalmato la bellissima Maria, figlia di Carlo il Temerario, fanciulla che aveva portato in dote quelle ed altre preziose contrade.

Il piccolo per caso aveva visto la luce a Gand perché i suoi giovanissimi genitori Filippo il Bello, figlio dell’Imperatore Massimiliano e la spagnola Giovanna di Castiglia, quasi presaghi della nascita di un erede maschio, avevano voluto trasferire in quella città tutta la lussuosa e colta corte che prosperava a Bruxelles. Per rendere la sua nascita ancor più dominante gli diedero il nome del coraggioso antenato, quel duca di Borgogna sopraffatto ventitre anni prima a Nancy dalle picche degli svizzeri. Era un bimbo fragile, con qualche episodio epilettico, dal volto già segnato dalla malformazione mascellare, il prognatismo asburgico, ereditato dall’ava Cimburga di Masovia. Asburgo per parte paterna, il bambino aveva nelle vene un tale miscuglio di sangue nobile da essere imparentato con mezza Europa tanto da poter vantare diritti su molti reami.

Allevato da una donna colta e sagace, l’arciduchessa Margherita, sorella del padre, e sotto tutela di Adriaan Florensz rigoroso prelato fiammingo, aveva frequentato un ambiente colto e raffinato. Ma la vera iniziazione alla politica e al comando del regno gli sarebbe venuta da un gentiluomo borgognone, Guillaume de Croÿ, signore di Chièvres, primo ciambellano sin dai tempi del nonno Massimiliano e titolare di un cavalierato del Toson d’Oro, una delle massime onorificenze del tempo, che lo seguì come un’ombra fino al 1521. Per 16 anni Carlo visse nelle Fiandre lontano da sua madre che dopo la morte del marito Filippo era rimasta in Spagna, quasi prigioniera nel lugubre palazzo Villamarin di Tordesillas, a causa di una sua presunta pazzia. La chiamavano “la loca”, in realtà era l’unica erede legittima dei re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia e per questo allontanata dal marito e dal padre, avidi entrambi di impossessarsi del potere. 

Carlo all’inizio della sua avventura terrena assunse autonomamente il titolo di re di Castiglia e d’Aragona e morti il padre e il nonno, si presentò in Spagna nel 1517 col titolo di Carlo I scatenando l’ira delle Cortes che rivedevano un copione già scritto, quello del comportamento di Filippo il Bello e della sua corte fiamminga nei loro confronti: avvoltoi avidi delle ricchezze iberiche senza alcun interesse per il bene del popolo. Eppure l’arrivo in Spagna, seppur velato dai contrasti con le Cortes e da numerose insurrezioni diede inizio ad un’ascesa che sembrava non aver fine.

A 20 anni ad Aquisgrana fu incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero grazie alle sovvenzioni dei banchieri tedeschi Fugger che scalfirono a suon di fiorini la dura scorza decisionale dei 7 Elettori della Bolla d’Oro. In pochi anni, sotto la guida di un nuovo consigliere, il versatile  avvocato piemontese Mercurino Arborio di Gattinara, diverrà uno dei grandi sovrani del Vecchio Continente votato prima di tutto alla conquista di una monarchia universale cattolica di cui sarebbe stato arbitro morale e politico. Strada irta di difficoltà a cominciare dalla presenza ai confini di Francesco I re di Francia, che Carlo contrastò, combattè e vinse quasi sempre, svuotando le già esangui casse imperiali.

Le campagne di conquista nel Nuovo Mondo e in Asia erano costosissime e le enormi entrate di oro non erano sufficienti a rimpinguarle. Non bastò il vicino di regno dei Valois a rendere il suo percorso difficile, ci si misero ben sei Papi tra i quali eccelse in opportunismo e falsità il secondo pontefice della famiglia Medici, Clemente VII, tanto da portarlo alla più scellerata conquista di Roma, quella dei Lanzichenecchi del 1527. Nel febbraio 1530 l’incoronazione a Re d’Italia e quella a Imperatore  entrambe suggellate dallo stesso Papa Medici, ormai quietato e sottomesso, non lo resero più vicino alla meta che si prefiggeva.

A sbarrargli il cammino verso la monarchia universale cattolica era già arrivato Lutero che stava cambiando la fisionomia religiosa dell’intero Continente; si accavallavano le congiure antiasburgiche nel nord Italia e le rivolte dei principi protestanti e ancora gli ottomani di Solimano il Magnifico che con le loro incursioni terrestri nell’Europa orientale e le azioni piratesche nel Mediterraneo indebolivano la sua decisa guerra personale. Iniziò per Carlo di Gand un periodo di grande riflessione che lo portò a mettere in discussione tutto quello che in 41 anni di regno aveva fatto, seppur con estremo rigore. Le sfide ormai erano troppe, gli anni pesavano.

Decise di lasciare al figlio Filippo la Spagna, le Indie e quei territori europei che gli erano cari come le Fiandre e la Borgogna mentre al fratello Ferdinando, “el nino”, affidò l’Impero. Si ritirò a Juste, in un Monastero lontano dal mondo, per meditare su ciò che aveva sempre anelato e mai ottenuto: una monarchia universale cattolica con basi morali e religiose che garantisse altresì un ordine politico. Carlo V morì nel settembre1558, era stato un grande protagonista sulla ribalta storica europea, aveva traghettato un intero Continente dal Medio Evo all’età moderna ma il suo grande ideale, quello sì, era fallito.

Marina Colacchi Simone

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