Recensione a cura di Claudia Babudri
Suo padre beveva e sua madre l’ha abbandonato a cinque anni lasciandogli solo un nastrino grigio. Un pezzo di stoffa sbiadito come il suo ricordo.
Affidato ai nonni, due vecchi campagnoli privi di qualsiasi empatia e gentilezza, ha conosciuto l’umiliazione, la solitudine, la vergogna e la privazione in nome delle quali ha rubato e infranto la legge. Per sopravvivere. E per un senso di giustizia che quelli come lui, non tutelati da nessuno, devono crearsi da sé.
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Lui, ultimo tra gli ultimi, giudicato da una società ipocrita, condannato per gli errori di una vita disgraziata, recluso nel riformatorio di Belle-Île-en-Mer, isola al largo della costa bretone, considerava il mare “la guardia più crudele, pronta a sorvegliarci, a risparmiarci o ad ammazzarci”.
Jules Bonneau, protagonista de “La furia”, romanzo storico di Sorj Chalandon edito da Guanda (2024), è figlio di un dio minore. Vomitato nell’esistenza più ruvida, per crescere e diventare uomo, dovrà stringere i pugni e combattere più forte di altri. E lo farà da solo. Senza la protezione di una famiglia e la tutela dello stato. Istituzione impeccabile, solo a parole. Infatti, più che comprendere e migliorare le condizioni sociali, la comunità di cui fa parte il protagonista, reclude i disagiati, buttando via la chiave. Senza farsi domande. E così Jules, a meno di sedici anni, finisce in riformatorio: un purgatorio di anime disgraziate come la sua, ingabbiate solo per essere nate nella parte sbagliata del mondo. I suoi compagni di sventura, infatti, sono ragazzi provenienti da contesti economicamente e moralmente deprivati, per questo, a priori, mal considerati dai ben pensanti.
“Siamo l’erba cattiva. La gramigna. La feccia. Nascondete le vostre figlie, i vostri portafogli e i vostri gioielli, care signore. Il peggio dell’umanità sta sfilando in città.”
Costretti a svolgere lavori socialmente utili per gli abitanti dell’isola, i ragazzi della colonia sono soggetti a quotidiane vessazioni, in un contesto in cui la forza e la prevaricazione sono all’ordine del giorno. Fino a quel 1934. La notte dell’evasione.
Sorj Chalandon è un giornalista: oggi è redattore del settimanale francese Le Canard enchaîné. È stato corrispondente di guerra, lavorando per testate come Libération. Non potendo attingere agli archivi storici del penitenziario di Belle-Île distrutti in un incendio nel 1959, ha studiato la materia a lui più cara, ovvero la stampa di allora, apprendendo della fuga di cinquantasei fanciulli dalla colonia penale di Belle-Île-en-Mer nel 1934. Di questi, solo cinquantacinque furono ritrovati. Nel suo romanzo, Jules Bonneau è il cinquantaseiesimo, colui che non fu mai preso e che, secondo alcune ipotesi, “trovò una sottoveste accogliente sull’isola”. Quella “sottoveste” nel romanzo, viene fornita al protagonista da un marinaio, il capitano di un peschereccio di sardine: Ronan Kadarn. L’uomo e sua moglie, Sophie, infermiera nel penitenziario da cui è scappato Jules, lo accolgono in casa, fornendogli un alibi e la possibilità di poter avviare una nuova vita in un contesto storico particolare, diviso tra collaborazionisti del regime, resistenza e semplici cittadini. Jules si trova in un universo più grande e più complesso e si rende conto che le angherie del penitenziario erano solo il microcosmo di una realtà più grande, prossima alla crudeltà della Seconda Guerra Mondiale.
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Ho sentito subito un’intima connessione con questo romanzo e il suo protagonista. Jules Bonneau ed io non abbiamo tutto in comune, ma qualcosa. E non esagero quando affermo che ognuno potrebbe riconoscersi in lui. E, rispecchiandosi in Jules, in alcune situazioni o stati d’animo, potrebbe riceverne una struggente restituzione. Qualcuno di noi è stato maltrattato. Altri sono stati incompresi o inascoltati. Altri ancora non hanno avuto giustizia. Verso alcuni, la società ha cercato di stringere il bavaglio sulle bocche, recludendoli in uno spazietto angusto. Jean Bonneau è molto di più di una “Tigna” da debellare: è l’incompreso per eccellenza, stendardo della rabbia di tutti noi.
Per questo, il racconto non può che commuovere per la bellezza e la concretezza di una storia aspra, profondamente umana. Come l’autore ha rivelato in un’intervista pubblicata su franceinfo Culture il 7 settembre 2023, il racconto nasce dall’urgenza di dare giustizia al suo io bambino, figlio di un padre indegno, capace solo di minacciarlo ripetutamente. L’ombra del riformatorio, anche solo per aver rovesciato un bicchier d’acqua a tavola, ha segnato tutta l’infanzia dell’autore il quale, balbuziente, rimaneva soggetto alle angherie paterne. “Il personaggio di Jules, l’ho costruito a partire dalle mie rabbie” afferma Sorj Chalandon nell’intervista. Da fanciullo, in una casa dove c’erano solo libri sulle SS e su Hitler, non era libero neanche di leggere. Così iniziò a farlo di nascosto. “Andavo alla biblioteca SaintJean a Lione, e leggevo tutto ciò che riguardava i bambini picchiati”. Lesse dell’anarchico Jules Vallès che “era stato maltrattato, schiacciato” e che ora, attraverso un libro, “diceva al piccolo Sorj che non era solo.” E con Vallès, il cui nome, Jules, è stato d’ispirazione per la creazione di Bonneau, Jules Renard, Hervé Bazin, Jean Genet. Giornalisti, attivisti, poeti, scrittori dall’infanzia segnata dalla violenza e dalla prevaricazione di un genitore. Voci nella storia che sussurravano all’autore di non essere solo.
Leggere “La Furia” è fonte inesauribile di riflessione. Con questo romanzo egli denuncia le falle di una società ipocrita, vile, corretta solo sulla carta, capace di giudicare senza capire. Rea di usi ed abusi atroci.
Quando l’autore descrive la tragica sorte di Camille Loiseau, un orfano abusato in carcere, unico e vero amico del protagonista, traccia i contorni di un’esistenza che agli occhi del mondo sfugge indifferente. Nonostante le parole altisonanti della “brava gente”, a nessuno importa davvero di questo fanciullo abbandonato a dodici giorni di vita, recluso in una prigione solo per essere al mondo. Oppure, quando Chalandon descrive il dramma della famiglia Rolin, ingiustamente accusata di un furto non commesso, evidenzia un altro concetto ancor oggi attuale: la facilità con cui si giudicano gli indifesi dandoli in pasto alle fauci della stampa, affossandone le sorti, fino alla rovina. Stampa che rimane muta quando si scopre la tragica svista ma che non ha esitato a spolpare la notizia sulla base di un malinteso. Stesso comportamento, da parte dei giornalisti e della gente comune, è ben descritto dall’autore nella caccia ai detenuti seguita alla rivolta del 1934. Nella notte, tutti, turisti compresi, si scatenarono nella ricerca dei fanciulli scappati. Giovanissimi sulle cui teste era stata fissata una misera taglia.
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Quella stessa notte di quello stesso anno, tra i turisti presenti sull’isola di Belle-Île-en-Mer, c’era anche il poeta Jacques Prévert, testimone storico dei fatti realmente accaduti. Il poeta, per denunciare la crudeltà della “brava gente” del posto durante la caccia al bambino, compose l’omonima opera. Prévert compare nel romanzo, a colloquio con Jules nella dimora dei Kadarn. L’episodio dona al racconto una maggiore autorità storica, conferendole una dolce verità umana, tingendo il tutto di speranza. Non tutti sono lupi. Qualcuno, oltre la famiglia del capitano, può fare la differenza. La società dipinta da Chalandon, anche se in maggioranza marcia, è capace di generosità e ascolto, se lo vuole. E può offrire aiuto incondizionato, anche a costo di rompere tutte le regole. Sophie, la moglie del capitano Kadarn è un’infermiera. Sottobanco, sfidando la mentalità del tempo, aiuta le donne vittime di abusi ad abortire. Tale rivelazione, sconvolgerà il protagonista, il quale, messo davanti alla crudezza dell’esistenza di molte donne abusate e violate da padri, fratelli o sconosciuti, si renderà conto che crescere significa guardare il mondo da un altro punto di vista, rompendo schemi mentali obsoleti e regole in nome di qualcosa di più grande e di una speranza che va conquistata giorno per giorno, con le azioni e spirito critico.
Dal punto di vista tecnico il romanzo presenta uno stile avvincente e scorrevole capace di toccare l’emotività del lettore, coinvolgendolo nella narrazione.
Unica pecca: la mancanza di una sezione dedicata alle fonti, in cui l’autore approfondisca il suo metodo di studio, elencando i dossier consultati e le interviste condotte. Ho dovuto ricercare il percorso creativo di Chalandon leggendo articoli ed interviste in francese dedicate al suo libro, privo di quegli approfondimenti finalizzati ad assicurare al lettore la verità storica della narrazione (basata, ad esempio, sulle ricerche effettuate da Chalandon sulla pesca delle sardine negli anni Trenta) e l’onestà intellettuale dell’autore. Nonostante questa mancanza, “La furia” resta un romanzo bellissimo. Così intenso. Come la vita di Jules Bonneau.
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La furia – Edizione e-book
SINOSSI
La sera del 27 agosto 1934 cinquantasei ragazzini evadono dalla Colonia penale per minori di Belle-Île-en-Mer, un’isola al largo della Bretagna. Subito le guardie e i gendarmi organizzano una vera e propria caccia, a cui prende parte anche la «brava gente» del posto e perfino qualche turista. La ricompensa è di venti franchi per ogni fuggiasco. In poco tempo tutti vengono catturati. Tutti tranne uno, non sarà mai ritrovato. Quando viene a conoscenza di questa storia Sorj Chalandon pensa: quel ragazzino sono io. Immagina il suo nome, Jules Bonneau, racconta la sua storia. Jules, abbandonato dai genitori, vive in casa dei nonni paterni, che non esitano a liberarsene appena finisce davanti alla Giustizia. A soli tredici anni si ritrova in un cosiddetto Istituto di rieducazione, in realtà una prigione. Dentro quelle mura, Jules impara a farsi rispettare e temere, guadagnandosi il soprannome di Tigna, per sopravvivere a una realtà dominata da soprusi e violenze. E mentre sogna di diventare marinaio, dentro di lui cova una rabbia che fa fatica a contenere. Chalandon si infila nella pelle di un ribelle cresciuto senza amore e scrive il suo romanzo più potente, che più gli assomiglia: «Perché questa rabbia è sempre stata in fermento dentro di me. È una rabbia autobiografica». E a quel ragazzo che avrebbe potuto essere lui, vissuto nell’oppressione degli adulti e della società, offre una possibilità di salvezza, quella di aprire i pugni per accogliere mani amiche, e trasformare la sua furia in bellezza, l’odio in fiducia.
L’AUTORE
Sorj Chalandon (1952) è scrittore e redattore del settimanale francese Le Canard enchaîné. Dal 1974 al 2007 ha lavorato come reporter per il quotidiano Libération, seguendo alcuni tra i maggiori conflitti internazionali degli ultimi decenni. Con i reportage sull’Irlanda del Nord e il processo a Klaus Barbie ha ottenuto il Prix Albert-Londres nel 1988. Tra i suoi romanzi ricordiamo: Il mio traditore, Chiederò perdono ai sogni (Grand Prix du Roman de l’Académie française), La professione del padre, Una gioia feroce. Guanda ha pubblicato La quarta parete (Prix Goncourt des lycéens, Prix le Choix de l’Orient, Prix des Libraires du Québec, Premio Terzani.) e il suo ultimo romanzo, La furia (Prix Eugène Dabit du roman populiste 2024).