Articolo a cura di Laura Pitzalis
La Sardegna è una terra che possiede un ricco patrimonio di tradizioni intramontabili, riti popolari e religiosi uniti spesso a doppio filo con l’arte culinaria e la gastronomia dell’Isola, che vengono conservati e tramandati da centinaia di anni, soprattutto nei paesi dell’entroterra barbaricino. E qui, nella provincia di Nuoro, viene ancora custodito, ormai nelle mani di poche persone, il segreto della tecnica di preparazione di una delle paste più rare non solo dell’Italia ma del mondo, Su Filindeu, dalla lavorazione particolarmente accurata, la cui ricetta è stata tramandata di generazione in generazione, conservando intatta la sua sacralità e la sua storia è legata ad una vecchia tradizione religiosa ancora molto sentita.
L’aspetto religioso
Tagliatelle sottili in brodo caldo di pecora insaporito con una grattata di formaggio pecorino, su filindeu non è solo un piatto di pasta, sono la ricompensa che viene offerta dai priori ai pellegrini che ogni anno, da cinque secoli, si inerpicano per arrivare fino al Santuario di San Francesco, a Lula, paesino sulle alture di Nuoro, in Sardegna, camminando nel buio della notte per oltre 30 chilometri.
Si tratta di una delle sagre campestri più caratteristiche della Sardegna, descritta anche nel romanzo “Elias Portolu” di Grazia Deledda, e a cui ancora oggi partecipano tantissimi cittadini devoti.
Secondo una leggenda, il santuario si trova vicino ad una grotta dove, verso la fine dell’Ottocento, si rifugiò un giovane bandito del borgo lulese accusato di omicidio e che invocò proprio San Francesco affinché lo aiutasse a dimostrare la sua estraneità al delitto. Sottoposto poi a processo e dichiarato innocente, costruì la chiesetta in segno di ringraziamento al Santo proprio nei pressi del luogo dove passò la sua latitanza.
Il pellegrinaggio parte da Nuoro, dopo la messa di mezzanotte, snodandosi tra salite e oleandri per arrivare, alle prime luci dell’alba al Santuario. Una volta giunti a destinazione, i pellegrini trovano riparo e vengono rifocillati con una minestra cucinata proprio con Su Filindeu.
Una pasta che nella cultura popolare, dato il forte legame simbolico con questa manifestazione religiosa, viene considerata dalle facoltà miracolose, al punto che rifiutarla non sarebbe di buon auspicio. Un racconto popolare, infatti, narra di una sposa che la respinse e rientrando a Nuoro cadde da cavallo precipitando nel dirupo che oggi è noto come il “fosso della sposa”.
La circostanza che oggi questo pellegrinaggio sia diventato un rito paganizzato e amato dai turisti non è per forza negativa, anzi ha aiutato a preservare una tradizione culinario-religiosa dall’oblio, dall’abbandono. E sì, perché il filindeu è tra i 4000 piatti o ingredienti a rischio di estinzione, un rischio elevato che potrebbe scomparire inghiottito dall’indifferenza e dalla complessità della preparazione che richiede anni di pratica per essere padroneggiata.
Origine de Su Filindeu
Sono diverse le ipotesi sull’origine di questa pasta, sia sul nome, che sul metodo di preparazione.
C’è chi dice che sia araba, portata in Sicilia dopo la sua conquista, chi che provenga dalla Cina e che sia arrivata in Italia per mano di Marco Polo e chi vuole invece che essa sia l’evoluzione della “laganon” greca (impasto di acqua e farina tagliato a fette).
Anche l’interpretazione del nome è alquanto varia: qualcuno dice che significhi “capelli di Dio”, qualcun altro “capelli d’angelo” o “fili di Dio”. In realtà il nome ha un’origine araba, fidaws, che vuol dire “capello”, cioè fine come un capello. Il termine, passando in Spagna dopo la conquista mussulmana, lo si ritrova nella forma fideos e con la conquista catalana prima e spagnola poi, il termine si afferma anche in Sardegna, findeos, fundeos, in Logudoro, filindeus.
Ma cos’avrà di tanto speciale questa pasta?
Prima di tutto per preparare su filindeu bisogna capire la lingua della semola, bisogna ascoltarla, perché impastare non è mai solo impastare. Impastare è raccontare una storia atavica, magica e preziosa.
È una tecnica antica, particolare, complessa, laboriosa, vecchia di trecento anni, tramandata esclusivamente di madre in figlia, che si prepara in gruppo, con le vicine di casa e con le nipoti, tutte rigorosamente donne, come da tradizione.
La base del filindeu è composta da un semplice impasto a base di farina di semola, acqua e sale, lavorato con cura e pazienza finché le mani non avvertono il momento esatto in cui la pasta ha raggiunto la giusta elasticità. Non ci sono indicazioni precise, non ci sono tempi né regole scritte: è solo l’esperienza che permette di capire il momento esatto in cui la massa di farina e acqua è pronta per passare alla fase successiva, la più complessa: essere trasformata nei sottili filamenti.
Una volta pronto, all’impasto viene data la forma di un cilindro lungo e stretto che, sapientemente tirato e allungato tra le dita delle mani e dopo essere stato ripiegato ogni volta su sé stesso, si dividerà in tanti piccoli filamenti. Ad ogni ripiegamento e “tiramento”, i fili di pasta raddoppieranno di numero, diventando via via più sottili, e alla fine, da un piccolo pezzo di impasto doppiato e “tirato” per otto volte, si otterranno circa 256 piccoli, sottilissimi fili, sottili come un capello.
I sottilissimi fili così ottenuti vengono poi stesi in tre strati su un canestro circolare di foglie di asfodelo essiccate, facendo in modo che in ogni strato i fili vengano incrociati a formare una sorta di fitto reticolo. Infine, i filindeu così sistemati vengono messi ad essiccare al sole, dove grazie al calore e all’aria asciugheranno e si compatteranno in un solo, unico strato di pasta dall’aspetto di una rete fittissima e sottile. E sarà proprio questa rete di pasta, una volta spezzata a mano e ridotta grossolanamente in pezzi più piccoli, ad essere cotta in un denso brodo di pecora e insaporita con abbondante pecorino fresco che al calore diventa filante.
Una tradizione che rischia di perdersi
Non solo un cibo, ma un rito sacro e una tecnica di preparazione che può richiedere anni prima di essere imparata. Su Filindeu racchiude storia e identità di un popolo, ma anche un’arte manuale antica che rischia l’estinzione. Infatti, per quanto apprezzati e tradizionali, pochissimi sono interessati a portare avanti questa antica e laboriosa preparazione e le donne che conservano quest’arte si contano sulle dita di una mano. Tra tutti i circa 4000 alimenti e lavorazioni a rischio di estinzione, nessun altro tipo di pasta ha un numero di esecutori così limitato, cosa che fa de su filindeu la pasta in assoluto più rara al mondo.
Per evitare che tutto questo possa cadere nell’oblio, le custodi di questa memoria hanno pensato di fare qualcosa per tramandare la tecnica dell’antica pasta e, venendo meno all’antico patto non scritto di custodire gelosamente il segreto nell’ambito familiare, hanno aperto le porte ad altre persone.
Oggi su filindeu fa parte del progetto “Presidi Slow Food”, per il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni di eccellenza gastronomica italiana, ed è stato inserito dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Sardegna (PAT).
Inoltre, il comune di Nuoro ha deciso di compiere un passo ancora più importante iscrivendo Su Filindeu nel registro delle De.C.O., ossia delle Denominazioni Comunali di Origine, per dimostrare l’origine locale del prodotto, stabilendo ingredienti e fasi di preparazione, ma soprattutto per valorizzarlo e renderlo ufficialmente patrimonio del luogo.