Recensione a cura di Donatella Palli
Questo non è un romanzo, almeno nel senso tradizionale del termine in cui un autore sceglie di raccontare una storia e il lettore vi si immerge.
Di solito quando leggiamo un romanzo storico, pur sapendo che è il frutto di un’ampia e approfondita ricerca che l’autore poi media con la sua fantasia creativa, non assistiamo alla genesi del suo pensiero. Tutto questo invece accade nell’opera di Giuseppe Culicchia.
Egli ci fa partecipi di quanto venga da lontano, come spesso succede, l’idea di scrivere la storia di questo amore impossibile tra Giovanbattista Pergolesi e Maria Spinelli, detta Giulia. A questo si aggiunge una sua personale ricerca di Gesù, partendo da una posizione agnostica.
Giuseppe Culicchia scompagina i generi letterari presentandoci l’autobiografia di un giovane ventenne completamente indifferente alla religione.
“Le uniche religioni che mi ispirassero erano quelle pagane come adorare il sole”
Una sera Giuseppe va a vedere il film di Milos Forman , Mozart, e rimane colpito da due frammenti dello Stabat Mater di Giovanbattista Draghi, detto il Pergolesi.
In quella musica egli ravvisa la sofferenza di Gesù fatto uomo e le sue parole nel martirio: “Padre mio perché mi hai abbandonato?”
Da qui inizia la sua ricerca che va di pari passo sia su Gesù che su Pergolesi in cui le divagazioni, da giovane curioso della vita, sono tante. I suoi viaggi prima a Parigi per ritrovare i luoghi di Hemingway, lo scrittore che lo ha appassionato e le sottoculture giovanili, poi a Londra e a Berlino, sempre alla ricerca della cultura giovanile contemporanea.
Di Hemingway l’autore trova nei quarantanove racconti quello del soldato romano che assiste alla fine di Gesù sul Golgota. Il soldato è mosso a compassione, ha combattuto ed ucciso ma davanti all’agonia di Gesù sulla croce è sconcertato:
“Certo è folle ma non ha fatto niente”
Lo stimolo che aveva ricevuto dallo Stabat Mater lo induce ad approfondire leggendo il vangelo di Marco, in cui Gesù si mostra irato solo quando caccia i mercanti dal tempio.
Dopo anni, Culicchia, scrittore affermato, si reca a Napoli e avrà come guida un famoso giornalista e traduttore, Francesco Durante.
“E va bene: la sporcizia, e certo: i graffiti, e va da sé: la microdelinquenza, e certo: la camorra. E come no: l’incuria (..) ma per quanto certi suoi abitanti non ne avessero cura, o addirittura si adoperassero per deturparla, Napoli restava stupenda”
La città è stata il centro più importante della Magna Grecia, ridotta poi dai romani a un luogo di svago per gli imperatori, una sorta di ibrido in versione antica tra Montecarlo e Las Vegas. La visita dell’autore non è certo casuale poiché Pergolesi, nato a Jesi il 3 gennaio 1710 ha studiato a Napoli dal 1726 al 1731 ed è lì che diventerà famoso.
Napoli a quei tempi era la capitale della musica e fucina di nuove idee, seguite dai compositori di tutta Europa.
Mozart, che fu a Napoli qualche decennio dopo, nel 1770 affermava:
“Con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non tenendo cento concerti in Germania“
Certo alla fine del ‘700, Napoli era la città più popolosa d’Italia, al terzo posto in Europa dopo Londra e Parigi e Goethe stesso nel suo viaggio in Italia del 1787 ne celebra la bellezza e la gioia di vivere dei suoi abitanti.
Culicchia nella sua visita a Napoli giunge a palazzo Zevallos Stigliano e rimane colpito dal quadro di Maria Spinelli, detta Giulia durante la cerimonia della sua monacazione a 17 anni nel 1734.
Non sappiamo veramente se Giulia s’innamorò di Giovanbattista, qui l’autore deve lavorare di fantasia perché i documenti sono assenti…Pare che il Pergolesi abbia conosciuto la giovane dandole delle lezioni di pianoforte regalate dal padre di lei, don Tommaso Francesco lII Spinelli.
Ed ecco che lo scrittore prende finalmente le redini della storia; è questo il momento in cui dà finalmente sfogo alla sua creatività.
Dice Culicchia:
”Chi scrive deve credere in ciò che scrive , perché solo così potrà credervi chi legge”
Quindi non importa che ciò che racconta sia vero ma deve essere verosimile. È certa la monacazione di Giulia nel 1734, come ci testimonia il quadro e che sia stata in qualche modo forzata, era il costume dell’epoca; è certa la sua morte nel monastero di Santa Chiara dopo poco tempo. Tutto il resto è affidato alla creatività dell’autore.
Pergolesi già malato di tisi finirà i suoi giorni a Pozzuoli nel convento dei cappuccini, il 16 marzo 1736 a soli ventisei anni, dopo aver composto lo Stabat Mater.
Ascoltando questo pezzo famosissimo si partecipa al dolore e alla mestizia di Maria sotto la croce del figlio ma possiamo supporre anche al dolore di Pergolesi per la perdita di Giulia ?
Pro
Il dialogo che Giuseppe Culicchia fa costantemente con il lettore ti fa sentire partecipe del suo pensiero e certo non ti puoi esimere dall’ascoltare quei quaranta minuti dello Stabat Mater di grande bellezza ed estasi.
Contro
La presenza dell’autore è un po’ ingombrante e rende difficile immergersi completamente in questa storia di amore impossibile che finisce col passare in secondo piano dopo tante elucubrazioni.
Trama
A Napoli, come nella teoria della relatività, spazio e tempo si curvano, le epoche si sovrappongono e si stratificano. Fondata dai Greci, passata attraverso i Romani, i Bizantini, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Spagnoli, a Napoli ogni manifestazione della vita, anche la più profana, porta in sé qualcosa di profondamente sacro. Questo spiega a Giuseppe Culicchia, in una passeggiata napoletana, Francesco Durante, grande scrittore e suo caro amico. Una guida d’eccezione che lo conduce a Palazzo Zevallos Stigliano, in via Toledo, davanti al quadro di una giovane “con il capo coperto da un velo, le mani giunte e gli occhi tristissimi”. È il ritratto di Giulia Spinelli, una ragazza di buona famiglia che si innamorò del suo maestro di musica, Giovanni Battista Pergolesi. Seduti uno accanto all’altra al pianoforte, i due scoprirono un sentimento fortissimo e puro che dalle loro mani bramose di sfiorarsi presto divampò nei loro cuori. È proprio qui, però, che comincia la storia tragica di questo amore impossibile. Per salvare la vita del suo amato, Giulia scelse infatti la clausura. E il giorno della monacazione, Pergolesi suonò l’organo mentre lei prendeva i voti. Fu l’ultima volta che si videro, e dal dolore del distacco sgorgarono le note dello Stabat Mater, l’opera più celebre del musicista.