Recensione a cura di Roberto Orsi
Per questa causa io, Piero Quirino di Vinezia, ho deliberato, a futura memoria di posteri nostri e a cognizione di presenti, scrivere e con pura verità manifestare quali e in che parti del mondo furono le adversità e infortunii che mi sopravennero per il corso e disposizion della volubil rota di fortuna, l’officio della quale (come abbiamo per lunga esperienzia) è di abbassar in un momento il sublime e per il contrario l’infimo e basso inalzare, e molto piú quelli che pongono in essa ogni sua speranza.
Tratto da “Il viaggio e il naufragio in Norvegia” di Piero Quirino.
Questa è la storia di un naufragio, probabilmente uno tra i tanti di quel periodo. Siamo nel 1431, ancor prima della scoperta dell’America, allorquando le rotte verso il nord Europa erano tra le più trafficate. La regione delle Fiandre, famosa per i suoi tessuti, ebbe una grandissima espansione nel XV secolo.
Le Fiandre seppero sfruttare la loro posizione centrale nelle rotte commerciali europee, e i ricchi borghesi delle città ne trassero i maggiori vantaggi. Commercianti, banchieri e artigiani che confezionavano prodotti di lusso accumularono grandi fortune che permisero loro di diventare anche generosi mecenati. Il Rinascimento, infatti, non fu unicamente un fenomeno italiano.
Messer Piero Quirino (o Pietro Querini) era un patrizio veneziano, commerciante del tempo. Il romanzo di Giliberto e Piovan ne racconta le vicende legate al viaggio che intraprese da Candia, l’odierna Creta, proprio verso il Nord, verso la regione delle Fiandre. Il 25 aprile 1431 la “Gemma Quirina” è pronta per salpare: la nave è carica di ogni genere alimentare per le necessità dell’equipaggio e di merci da rivendere nei territori del nord.
Il capo della spedizione è un uomo deciso che non si arrende nelle difficoltà, e ne affronterà molte nel corso di questo viaggio e non solo. Un “vecchio lupo di mare” diremmo oggi, con approfondite conoscenze marinaresche e di navigazione.
“A dargli un certo fascino erano il colorito bruno e le sottili rughe disegnate dal mare, dal sale, dal vento; e gli occhi scuri con riflessi grigiastri, attenti, penetranti, capaci di catturare e dominare anche l’interlocutore più smaliziato. Amministrava la voce mutevole in virili, armoniose sonorità con naturale talento a seconda delle circostanze: dalla preghiera accorata al complimento galante, all’ordine aspro dal cassero. Quando occorreva, aveva toni ispirati, pensieri espressi con meditato linguaggio limpido, fascinosa nitidezza di racconti d’avventure e di viaggi.”
A bordo con l’equipaggio di 68 membri, anche Aloìsius Mòsele, un giovane di origine bavarese, che all’inizio della nostra storia è impiegato in casa del nobile Michele Grimani quale precettore delle figlie Elisabetta e Caterina. Per uno sfortunato caso del destino, Aloìsius si trova costretto a chiedere la protezione del vecchio amico di famiglia Piero Quirino, per un posto sulla nave che affronterà il viaggio per mare. Aloìsius ha ottime conoscenze mediche e Patron Quirino non esita un solo secondo a offrirgli il ruolo di medico di bordo. Il bavarese è un uomo riflessivo, calmo e razionale. Un carattere ponderato e mite, curioso e teso allo studio e alla conoscenza.
“Soppesava le parole non per la fatica di usare una lingua che non gli appartenesse, ma per agevolare i propri interlocutori. Curioso e indagatore, sapeva porre domande garbatamente e ascoltava le risposte con interesse mai simulato, senza interrompere chi parlava: si riservava di approfondire alla fine, dopo aver brevemente meditato, per accertarsi se fossero o meno superflue le sue osservazioni.”
Il viaggio, però, non ebbe la sorte sperata. I problemi tecnici, soprattutto al timone, resero complicata la navigabilità della nave. La natura fece il resto: venti contrari, tempeste e mareggiate si abbatterono sull’equipaggio della Gemma Quirina che fu costretta a deviare dalla rotta originale e finire alla deriva al largo delle isole di Scilly, nell’odierno Regno Unito.
È in quel momento che inizia l’incubo per i nostri protagonisti. Le razioni scarseggiano, le temperature del mese di dicembre a quelle latitudini sono insopportabili e possono diventare letali. L’equipaggio della Gemma Quirina, a Venezia, viene dato per disperso. Non si avranno notizie di loro per almeno due anni.
L’approdo, più o meno fortuito, nell’estremo Nord sull’isola di Røst, nell’arcipelago delle Isole Lofoten, sarà la salvezza per una minima parte dell’equipaggio partito da Candia.
Dopo una prima parte avventurosa tra i mari tempestosi, il romanzo assume un’altra connotazione, cambia quasi registro. È come se per i sopravvissuti iniziasse una nuova esistenza. “Cento giorni in paradiso”, così Quirino nelle sue memorie, descrive il tempo trascorso tra i popoli dei ghiacci. Nonostante le difficoltà comunicative del caso l’accoglienza del popolo norvegese è totale. Il lettore assiste alla meraviglia della scoperta dei marinai veneziani nei confronti di un mondo nuovo e quasi surreale.
“Alla larga da Venezia” non è solo il racconto di un naufragio, forse poco conosciuto, ma la storia di uomini che vissero due vite, che scoprirono, pur con sofferenza e sacrificio, la bellezza del mondo e di quanto una simile avventura sia stata capace di cambiare le loro esistenze. Dalla disperazione alla gioia, dal dolore della morte alla rinascita a nuova vita, dalla melanconia dettata dalla lontananza dalla patria al desiderio di un nuovo futuro. Sentimenti contrastanti e contrapposti che vivono negli animi dei marinai della Gemma Quirina, in un turbinio, non solo atmosferico, ma anche e soprattutto di coscienze.
“Capisco di dover affrontare la realtà: l’orribile mare oceano in cui siamo dispersi, con la Gemma allo stremo, il gelo bastardo che ci sovrasta, il cielo nero che anche di giorno ci opprime. Però bandisco le nostalgie da moribondo, ricaccio le visioni mistificatorie d’una vita felice che non è più mia. Fino all’ultimo fiato, dovrò capire lucidamente quello che sta capitando.”
Pro
Il racconto di un’avventura poco conosciuta, la grande capacità degli autori di ricostruire le vicende narrate nelle memorie di Pietro Quirino. L’utilizzo di tanti termini tecnici con glossario annesso e del dialetto veneziano che rendono ancora più viva la ricostruzione delle atmosfere del viaggio. I passi citati direttamente dalle memorie di Patron Quirino.
Contro
Una fase intermedia probabilmente più lenta di quanto ci si possa immaginare. Un romanzo che non ha nella parte di “action movie” il suo punto di forza, bensì un racconto dei sentimenti umani e dell’umanità del tempo.
Trama
La nave Gemma Quirina, con a bordo sessantotto marinai, carica di vino e spezie, non giunge a destinazione nelle Fiandre, ma va alla deriva nell’oceano in pieno inverno. Undici naufraghi sono accolti nella paradisiaca isola di Røst, oltre il circolo polare artico. È questo lo scenario in cui compaiono tormentose storie d’amore, inconfessabili segreti di fanciulle, burrascose vicende marinare, prepotenze e punizioni d’una ciurma allo sbando. Piero Quirino è il nobiluomo capitano della nave partita da Creta nel 1431 e scomparsa all’imbocco della Manica. A Venezia lo si crede morto, ma sorprendentemente, trascorsi ventuno mesi dalla partenza, ritorna in patria con i pochi compagni d’avventura rimasti, dopo un lungo percorso a piedi attraverso la Svezia e la Germania. Per rendere onore a un’impresa conosciuta soprattutto dagli studiosi per la sua importanza storica e geografica, gli autori ripercorrono le gesta di questo nobile veneziano con un racconto rispettoso della realtà dei fatti ma allo stesso tempo intenso e divertente.