Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo. Personaggio letterario inventato dallo scrittore Maurice Leblanc, nonché protagonista di diversi film e a cui, a sua volta, si ispira la recente serie tv in cui l’emulo di Lupin ha il volto di Omar Sy.
Possiamo considerarlo un po’ anche il corrispettivo francese di Sherlock Holmes: come lui, è elegante, ironico, acculturato… ma a differenza dell’investigatore inglese, Lupin è colui cui dare la caccia.
Ma è veramente frutto della fantasia dello scrittore?
In realtà, e lo ammette lo stesso Leblanc, no!
Per Arsenio Lupin, lo scrittore si era ispirato (parecchio ispirato!) a un famoso anarchico di nome Alexandre Marius Jacob, originario di Marsiglia dove nacque il 29 settembre 1879.
Figlio di un marinaio, si imbarca come mozzo a 13 anni, arriva fino in Australia, cambia nave, ma capita su un vascello pirata e quella vita lo disgusta, è troppo crudele.
Ma è in mare che si accosta agli anarchici, poiché si ammala di strane febbri e dovendo stare a riposo forzato impiega il tempo a leggere. E legge alcuni libri anarchici che gli presta un amico. Caserio, Bakunin, lo ispirano, vuole essere come loro.
A un certo punto decide di fabbricare una bomba in casa, ma mentre compra l’occorrente lo arrestano ed è nei sei mesi di galera che matura la scelta nonviolenta.
Quando esce di galera si mette in cerca di un lavoro, ma la polizia ha diffidato tutti dall’assumerlo perché lo vuole far diventare una spia.
È così che fonda la sua banda Les travailleurs de la nuit, I lavoratori della notte, composta da tutti anarchici come lui: organizza rapine fantasiose e geniali ai danni di commercianti disonesti, contesse ricchissime di cui si finge ospite, persino al Casinò di Montecarlo. Mai ai danni di medici, uomini di scienza, artisti, ingegneri – che reputava umani rispettabili e utili alla società –, e mai per se stesso, ma solo per finanziare circoli operai e libertari, soccorrere i deboli, aiutare chi è in stato di bisogno.
Durante una di queste rapine, però, qualcosa va storto e lo arrestano; evade con la complicità di un infermiere che condivide le sue idee. Prosegue la sua carriera: impara ad aprire tutte le cassaforti, a travestirsi, si fa persino scritturare come attore teatrale usando una falsa identità.
Viene di nuovo arrestato, nell’aprile 1903 e nel suo lungo discorso al processo attacca la chiesa e il clero, i giudici e i magistrati, alla fine dichiarò:
«La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti […] sono un buon diavolo».
Non chiede perdono, ma è lui a concederlo.
Un discorso col quale riesce a convincere i giudici della sua buonafede e si risparmia la condanna a morte. Gli viene comminato l’ergastolo da scontare nel bagno penale della Cayenna, dove Jacob arriva 22enne e per sei anni resta coi ferri ai piedi e mangiando solo pane acqua.
Si guadagna la stima del direttore – a cui apre in un attimo la cassaforte perché quello aveva perso la chiave – e l’amore della moglie del vicedirettore che è letteralmente stregata da lui.
Tenta di evadere diciassette volte. Dopo 23 anni, riceve la grazia e torna in Francia.
Si stabilisce a Reully dove si mette a fare il venditore ambulante, e riprende la lotta politica. Partecipa alla guerra civile spagnola, durante la Seconda Guerra Mondiale dà rifugio ai partigiani.
Nel 1950 pubblica le proprie memorie e vive circondato dall’affetto dei suoi compagni, dei compaesani, e di Negro, il suo cane molto vecchio e cieco.
Ma il 28 agosto 1954 decide di morire. Per salutare tutti quelli che gli vogliono bene scrive una lettera che termina così:
«… mi considero soddisfatto del mio destino. Dunque, voglio andarmene senza disperazione, il sorriso sulle labbra e la pace nel cuore. Ho vissuto. Adesso posso morire.
P.S.
Vi lascio qui due litri di vino rosato. Brindate alla vostra salute».
Prepara due iniezioni di morfina. Una per il cane, Negro. L’altra per sé.
Moriranno sdraiati uno accanto all’altro.
Se ne andò così un novello Robin Hood, dopo aver messo a segno 106 furti in tre anni (ma gliene furono imputati 150). Nessun omicidio, mai. Ribelle, illegale, ma mai assassino, convinto che “non si uccide se non per proteggere la propria vita e la propria libertà”.
Sembra proprio che vi abbiamo raccontato di Arsenio Lupin, ma in realtà è la storia del suo ispiratore. Come a conferma che spesso è la realtà a trasfondersi nella fantasia.