Recensione a cura di Mara Altomare
“Il terremoto dell’11 gennaio 1693 è stato uno degli eventi sismici più distruttivi e deflagranti della storia d’Europa. Con una magnitudo pari a 7,31, ben 45 centri abitati distrutti e 60.000 vittime, è considerato in assoluto il terremoto più forte mai registrato nel territorio italiano.”
Una forza dirompente scuote il libro, dal titolo all’ultima pagina, pervade la lettura, coinvolge il lettore, sconvolge l’uomo, immenso, che questo romanzo ci fa conoscere.
Quest’uomo è Bernardo, “un peccatore che ama il suo peccato”.
Bernardo è un prete che guida una piccola chiesa, Santa Maria dell’Itria, animato da una vocazione molto blanda. La famiglia d’origine e in particolare una madre severa lo ha costretto ai voti, ma è più il senso di responsabilità a guidarlo e quotidianamente celebra la messa vivendo in un sacerdozio stretto e costretto.
“Tutta la sua esistenza era stata un continuo alternarsi di preghiera e peccato, pregava per abitudine e peccava per disobbedire”
E’ un disobbediente e la sua passione è scossa da una donna, Tresina, che lo abbraccia di un amore che lo porterà al momento più elevato possibile, quello del concepimento di un figlio: qui, profonda è per tutti la riflessione sul peccato e sulla fede, in un’epoca e in una terra che ancora vive sulla scia dell’Inquisizione.
“Non è la costrizione a generare la fede, e nemmeno il timore delle tenebre. Io ho sentito di non essere solo in questo mondo soltanto dopo aver poggiato la mia mano, questa mano, sul ventre di una donna e avere sentito che dentro il suo corpo si cela il miracolo di una vita che si forma”
Questa è la felicità per Bernardo, che in un dialogo intenso con suo fratello Eligio afferma: “Nella felicità ho trovato la luce, solo nella felicità, e mai nella privazione.”
Dialoghi coinvolgenti sono proprio quelli tra i due fratelli, Bernardo ed Eligio, cresciuti con un’infanzia segnata dalla rigidità della madre e dall’intransigenza del loro educatore e ancora di più marchiata da un episodio che segna da bambino il destino di Eligio, costretto all’immobilità, trascinando Bernardo in un costante senso di colpa… quella colpa che prima o poi scatenerà l’Ira di Dio. Ma Eligio è una creatura luminosa, sensibile, spirituale, che non sopporta di vedere la felicità di suo fratello divorata dal dolore e dall’inquietudine. E pur non essendo attore principale, Eligio è un personaggio che entra nel cuore di chi legge.
Così come entra nel cuore Tresina: con il candore, la tenerezza, l’autenticità che ci viene restituita nei dialoghi. E’ illuminante la scelta dell’autrice di far parlare sempre in siciliano Tresina, così come altri pochi parrocchiani, i più semplici, i non protagonisti, che nonostante lo scandalo frequentano la chiesa. Una scelta che avvicina il lettore a questi personaggi e li rivela nella loro veste più intima e naturale.
Lei lo guardò incantata; ancora una volta, in quell’uomo dominato dalle passioni e vinto dalle responsabilità riuscì a scorgere l’imponenza della determinazione. Nel suo sorriso trovò riparo. Nel suo dolore ebbe la certezza di essere amata. Bernardo le offrì la mano e lei gliela porse, ma prima di alzarsi lo pregò: “Bernardo, pi carità, biniricitimi”
Bernardo invece parla, risponde, discute, grida, impreca sempre in Italiano. C’è solo una pagina del romanzo, un punto preciso, in cui per un’unica volta lo sentiamo, libero, esprimersi in dialetto siciliano.
Un momento indimenticabile, emozionante, che va colto in tutta la sua essenza, leggendo con cura e accarezzando le parole.
Ma la storia fa la sua parte in questo romanzo e il terremoto del 1693 è storia. In una mattina d’inverno silenziosa, con un cielo terso senza nuvole, una furia improvvisa sconvolge la città, le case, le chiese.
“Ogni cosa prese a vibrare con una potenza funesta e terribile emettendo un suono nebuloso e greve. La gente, assalita dalla paura cominciò a correre senza una direzione… grida e colpo violenti… la polvere si sollevò come se la terra si fosse aperta lasciando risalire fumo e detriti. Poi come un sogno di morte, pezzo dopo pezzo, pietra dopo pietra, l’imponente chiesa cominciò a sgretolarsi”
Ecco l’ira di Dio, potenza funesta e terribile, spavento e disperazione che si abbattono sulla vita di Bernardo, sconvolgendola. Sono pagine durissime per come raccontano ciò che accade e per quanto forte trasmettono la paura dell’uomo; e poi il dolore successivo, quando, tornato il silenzio, Bernardo dovrà fare i conti con l’ira di Dio e con quante e quali cose questa ira ha portato via dalla sua vita. Via le persone, i luoghi, la fede, ci si domanda tra queste pagine se l’ira più grande è quella di Dio o quella di Bernardo… o la nostra! …un terremoto che sconquassa una terra e un’anima che già era in conflitto, facendo tremare le pagine.
Bernardo è distrutto come la sua città, la sua terra è specchio della sua anima… ma il tempo passa e, come la sua città, piano piano comincia ad accompagnarci e a raccontarci una grande rinascita; oggi è storia quella della ricostruzione della città, la meravigliosa Ragusa Ibla, che una volta risorta è diventata, e lo è ancora, unica al mondo. Un luogo dove attraverso un percorso difficile, ma necessario, anche Bernardo forse riesce a trovare la sua strada e forse farà la pace con Dio… verso una luce, quella piccola luce che si può scorgere nel buio della copertina del libro.
I PRO DEL ROMANZO
La potenza: della natura, delle emozioni, della scrittura.
I CONTRO DEL ROMANZO
Pagine dolorosissime senza sconti, che provocano forte un terremoto interiore
TRAMA
Il Seicento volge quasi al termine, laggiù a Ibla, terra di Santa Inquisizione e governatori regi, notabili e viddani, vecchie zitelle e prostitute lise. La terra dove padre Bernardo, uomo dai moti secolari più che claustrali, «dominato dalle passioni eppure vinto dalle responsabilità», amministra una piccola chiesa celebrando messa senza slancio né vocazione. È la terra dove lui troverà l’amore, più che in Dio in Tresina, la perpetua redenta con il cuore grande e la risata lieta, lei che «infinitamente donna» gli farà il regalo più grande. Eppure, sullo sfondo di una fugace e momentanea felicità, aleggia un antico rancore, professato da un «dimonio» di madre che, timorata e luttuosa, mai gli ha perdonato errori adulti e bambini. Così, in un crescendo incontrollato di sentimenti contrastanti, senso del dovere e bramosia di dar seguito alle passioni, Bernardo diventa testimone di un evento distruttivo ed epocale, il grande terremoto dell’11 gennaio 1693, che segnerà la sua esistenza riducendola a fede macilenta, rovina e silenzio. In un ordito sapiente di realtà e fantasia, questo è il ritratto di un uomo straziato tra dubbio e rinascita, che della resilienza fa il proprio riscatto, scorgendo nel passato irrisolto la promessa di un nuovo futuro. Sullo sfondo, la Sicilia che l’autrice come sempre sa raccontare: calda e sanguigna, dissoluta e antica, qui più densa e ferita, ma ancora umana come nessuna.