Un antico mestiere ormai scomparso è quello della balia; già nella Bibbia è narrata la storia di una nutrice di nome Debora che era accanto a Rebecca, moglie di Isacco e madre di Giacobbe ed Esaù e sembra che visse come vero e proprio membro della famiglia per tutta la vita.
Nell’Antica Roma è riportato dalle fonti storiche che le famiglie benestanti usufruivano della pratica della balia scelta generalmente tra le loro schiave o tra le donne libere.
Sembra che anche la famosa sovrana egiziana Bithia, colei che adottò e allevò Mosè, ebbe una balia anche se alcuni testi sottolineano che ella avrebbe affidato il compito dell’allattamento alla madre biologica del bambino.
Nella mitologia greca è presente la famosa figura di Euriclea, nutrice di Ulisse, da lui molto amata.
Una figura quindi, che ritroviamo nel corso della storia, la seguiamo per tutto il Medioevo e poi durante l’Età moderna. Il vero e proprio “boom” del “servizio a balia “si ha verso la fine dell’Ottocento inizi Novecento quando le famiglie erano molto numerose e più avanti con la Rivoluzione industriale quando cambia completamente il tessuto economico e sociale, è un’epoca in cui il latte artificiale ancora non esiste, ed era considerato un vero e proprio “oro bianco” il latte materno.
La balia era una figura preziosa per le famiglie, era spesso molto giovane e fungeva da “madre surrogata” a cui le famiglie benestanti si rivolgevano per allattare i propri bambini.
Le balie erano donne per lo più di origini contadine spinte a diventare balie per contribuire al sostentamento economico della propria famiglia, spesso lasciavano i propri figli a casa affidati alla cura di altre donne per offrire il proprio latte ai figli dei signori di città, rinunciavano ad allattare la propria creatura per poter essere balie a pagamento. La balia poteva essere anche una donna che aveva partorito da poco e che purtroppo aveva perso il suo bambino nei primi mesi di vita, la mortalità infantile era infatti molto alta. Oppure a seconda delle situazioni a volte portava, anche se raramente, con sé il proprio bambino e allattava entrambi. Le balie, infatti, erano ben pagate e le condizioni di vita ottime, erano trattate molto bene dalla famiglia che le ospitavano, erano curate e mangiavano bene cosa che purtroppo a casa loro per la grande povertà spesso non avveniva.
Requisito principale per diventare balia era quello di essere di sana e robusta costituzione per garantire una nutrizione adeguata al bambino, erano infatti anche sottoposte a rigidi esami clinici per la verifica del loro stato di salute.
L’attività di balia era molto remunerativa per l’epoca, rispetto ad altri mestieri contadini percepivano fino al triplo di un operaio e per questo servizio era previsto un compenso che però era diversificato in base alla fisionomia della balia. Si avevano, infatti, delle credenze sulle fattezze che una balia dovesse avere e quindi il compenso saliva o scendeva proprio in base all’aspetto fisico e al livello di benessere della famiglia che la ingaggiava.
La balia si trovava in uno stato di segregazione dorata, data la sua funzione il trattamento riservatole era di prim’ordine, sia sotto l’aspetto economico sia sotto quello del vitto e dell’alloggio. Rispetto al resto della servitù, la sua posizione era privilegiata: il suo stipendio era più alto, il cibo, pur nell’osservanza di una dieta mirata, era di qualità, il vestiario assegnatole, tipico della balia, oltre che funzionale all’allattamento, era sobrio e ricercato, volto a esibire il prestigio sociale della famiglia.
Una volta preso servizio una balia accudiva un bambino per circa 12 mesi e poteva rimanere lontano da casa per più di un anno.
Il rientro in paese non era semplice un po’ per la tristezza di lasciare i bimbi che avevano allattato e a cui si erano affezionate, ma soprattutto per la difficoltà di ricucire i legami affettivi per la prolungata lontananza, specie con i figli piccoli che non riconoscevano più la madre. Tra l’altro, molte balie si trattenevano nella stessa famiglia come balie asciutte, prolungando di molto l’assenza da casa.
Il mestiere di balia non era sicuramente un mestiere facile, è stato senza alcun dubbio uno dei duri lavori che ha contribuito a garantire la sopravvivenza e la crescita delle nuove generazioni in un’epoca in cui il latte artificiale non esisteva. Un mestiere da ricordare con profondo rispetto.
Quella della balia, da qualsiasi angolo la si osservi, è stata un’esperienza dolorosa, sofferta, carica di implicazioni interiori, merita non solo comprensione, ma riconoscenza.
Curiosità
Con il termine “mammazezzella” veniva anticamente chiamata a Napoli la nutrice. La balia che accudiva e, in alcuni casi, allattava anche fino allo svezzamento i bambini di altre donne.
Per la scelta delle balia alcune famiglie scrupolose non si fidavano degli esami clinici e delle analisi, utilizzavano il metodo del “tocco” che consisteva nel far accomodare aspiranti balie su delle sedie e la madre del neonato palpava le mammelle delle candidate selezionandole in base al tatto o alla sensazione. In alternativa c’era la prova dello schizzo: da sedute le donne si premevano un seno e quella che schizzando aveva il getto più potente veniva scelta
Alla balia spettava un corredo composto da indumenti intimi, vestiti da casa, vestaglie, grembiuli, pettorali ricamati e non era raro che ricevessero in dono orecchini o spille; inoltre erano solite portare cuffie o cappelli che le facessero riconoscere, o gioielli di corallo con cui, scaramanticamente, si pensava di poter propiziarsi abbondanza e bontà del latte.
La balia sedeva ai pasti coi padroni, servita dalle altre donne impiegate in casa perché era ovviamente fondamentale controllare che si nutrisse adeguatamente.