Recensione a cura di Luigia Amico
“Cinque braccia per tre: tanto è grande il mio universo oggi. Murata viva in questo lercio cubicolo, con un solo pertugio a lasciar entrare un filo d’aria, riporto alla mente i fatti che mi condannarono.”
“Cinque braccia per tre” e si alza il sipario su uno dei personaggi forse più conosciuti del mondo letterario e storico. Tanto si è scritto sulla celeberrima Monaca di Monza ma scavando nei ricordi è impossibile non risalire a una manzoniana memoria. Marianna Virginia de Leyva, divenuta in seguito Suor Virginia Maria, costretta a 13 anni, da un padre assente e tiranno, a entrare come novizia nell’Ordine delle umiliate di San Benedetto.
Ma cosa c’è di diverso nel romanzo che Matteo Strukul ha presentato ai suoi lettori?
La narrazione, che scorre come un fiume in piena, restituisce la voce non al personaggio storico ma alla donna che è stata Marianna. Tra le pagine si avverte il tormento, il dolore e l’infelicità che la scelta a cui è stata costretta dalla figura paterna arreca al suo animo. Sarà lei, Suor Virginia Maria, non più Marianna, a raccontare, come in una sorta di confessione liberatoria, lo stravolgimento emotivo che l’incontro con l’amato e amante Gian Paolo Osio ha provocato alla sua vita da reclusa. Quell’uomo che ha trasportato la giovane donna lì dove le emozioni si tramutano in perversioni e delirio, passione e dissolutezza.
Quando i suoi occhi si confondono per la prima volta con lo sguardo del giovane, il cammino verso gli inferi della perdizione è ormai spianato e caro pagherà Suor Virginia il suo desiderio di vita vera e reale, non quella offuscata dalla clausura e dalle regole di un mondo che non le appartiene.
“Superai una linea che non avrei mai dovuto attraversare. O forse, facendolo, accolsi per sempre la libertà di essere quello che davvero volevo.”
“Cinque braccia per tre” e le scene presentate da Strukul sul palcoscenico letterario scorrono come dei fotogrammi, uno dopo l’altro a creare un film dalle atmosfere cupe, nere, come cupo sarà il destino cui Virginia andrà inesorabilmente incontro. Con voce ferma e perentoria, la sventurata monaca urla attraverso il suo peccato tutto il dolore e la frustrazione per una libertà che le è stata strappata; soffoca Virginia tra le mura monacali e si abbandona a un amore e un desiderio violenti e manipolatori che restituiranno una donna offuscata dalla lussuria e dalla crudeltà.
L’autore, attraverso una preparazione profonda e una ricerca meticolosa, prende per mano la monaca feudataria e la accompagna verso di noi permettendole di raccontare i suoi tormenti, le sue paure in un vano e disperato tentativo di chiedere perdono per i suoi peccati, sempre che un perdono per lei esista.
“Cinque braccia per tre” una frase cantilenata e il sipario viene calato come una scure sulla vita di Virginia, sul suo amore proibito, peccaminoso e deleterio.
“Cinque braccia per tre sono le note del mio canto di dolore.
Cinque braccia per tre sono le lettere del mio rimpianto.”
PRO
Matteo Strukul ha abituato i suoi lettori a narrazioni travolgenti, intriganti, ammalianti e con il romanzo “Marianna. Io sono la monaca di Monza” ha nuovamente centrato l’obiettivo.
CONTRO
Più che un elemento a sfavore del libro è una sorta di avvertimento: all’interno del romanzo sono presenti alcune scene forti che potrebbero forse disturbare un lettore poco avvezzo a tali immagini. Nulla di inventato, come specifica l’autore nelle note conclusive, sono fatti realmente accaduti ed è forse questo a renderle così disturbanti.
Trama
Murata viva in una cella, una donna bellissima si consuma nel proprio tormento: è Marianna Virginia de Leyva, già monaca feudataria di Monza. ‘Cinque braccia per tre’ ripete a se stessa: tanto è lo spazio buio e angusto nel quale vivrà fino alla morte. La sua colpa? Aver amato di una passione infuocata Gian Paolo Osio quando era vicaria del monastero di Santa Margherita, costretta a prendere i voti da un padre assente e tiranno. Nella disperazione della prigionia, Virginia ripercorre la sua storia, in una girandola di immagini nere d’orrore e rosse di sangue. A partire dal giorno fatidico in cui lo vide per la prima volta, di là dal muro che separava il convento dalla sua abitazione. Ricorda quanto cupi e profondi fossero i suoi occhi e quanto i suoi sensi s’accesero d’un sentimento bruciante mentre la pelle pareva andarle a fuoco. Che cosa rimane ora di lei? Da quanto dura il suo castigo? E infine, come guadagnarsi il perdono, se un perdono esiste per un’anima come la sua? Coniugando il rigore della ricostruzione storica a una narrazione appassionata, Matteo Strukul mette in scena la vicenda della monaca di Monza, indimenticata protagonista dei Promessi sposi. Come in una confessione, Marianna rivela ai lettori la sua parabola di passione e delitto, suscitandone a un tempo l’orrore e la pietà.