“Temi gli amici più dei nemici, perché il tradimento germoglia fra loro e prima che tu possa svelarne la natura ti colpiranno alle spalle”
Elide Ceragioli, con il suo ultimo romanzo, porta il lettore nel medioevo. Ghino di Tacco, il personaggio che dà il titolo al romanzo, fu un brigante toscano vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo. Un personaggio meno noto, sicuramente, ma citato in due opere importantissime della nostra letteratura come il Decamerone del Boccaccio, nella seconda novella del decimo giorno (vedi Ghino di Tacco e l’abate di Clignì) e dal sommo poeta Dante nel sesto canto del Purgatorio della sua Commedia.
Le vicende si svolgono nei territori che circondano il territorio della città di Siena. La data di nascita di Ghino è tutt’ora incerta, ma non il luogo: nacque, infatti, a La Fratta, al tempo sotto il controllo del Castello di Torrita, oggi nel comune di Sinalunga, in provincia di Siena.
Per la contesa del possesso proprio del castello di Torrita con la nobile famiglia dei Cacciaconti, con alcuni scontri armati e assedi che portarono a diversi gravi ferimenti tra le famiglie in campo, Ghino, il padre Tacco, il fratello minore Turino, e lo zio omonimo Ghino, furono condannati dal podestà di Siena, costretti ad abbandonare il castello de La Fratta e vivere di brigantaggio.
“Banditi, briganti, ladri. Ci chiamavano così, e questo eravamo, ma non per nostra scelta.”
Elide Ceragioli incunea il suo romanzo tra questi eventi. Affronta la vita di Ghino di Tacco e della sua banda, raccontando episodi di assalti, furti, assedi e battaglie. Boccaccio stesso, e così anche l’autrice di questo romanzo, dipingono il personaggio di Ghino come un brigante buono, fuorilegge per necessità e imposizione, ma ancora con un animo onesto e un senso di giustizia che, in fondo, non lo abbandona mai.
Una vita complicata, alla ricerca della propria vendetta personale, verso colui che Ghino considera da sempre il responsabile della morte del padre. All’improvviso Ghino si ritrova sulle spalle tutto il peso della responsabilità della propria famiglia.
“L’onestà e la lealtà sono compagne e un cavaliere non deve macchiarsi di colpe disonoranti. Deve avere per scudo il coraggio e per spada la sete di giustizia”
A lato delle vicissitudini che interessano la famiglia di nuovi briganti, le vicende di una giovane donna, Donata, nata bastarda da una violenza subita dalla madre, come tante ne avvenivano ai tempi, e cresciuta nei boschi, accudita da un animo sensibile come quello di Matelda, guaritrice e grande conoscitrice di erbe e medicamenti. Con lei, il figlio di Matelda, Ansovino, uomo dall’animo buono che la prende sotto la propria ala protettiva facendole da padre per tutta la sua gioventù.
Le strade di Donata e Ghino si incontrano presto. Nella difficoltà della vita del ragazzo, la dolce presenza di Donata illumina il cammino. I due saranno benefattori per la collettività tutta: Ghino con il suo animo generoso, come un novello Robin Hood, che ruba ai ricchi per donare ai poveri; Donata, con le sue grandi capacità e conoscenze di erbe e medicina, nell’alleviare i dolori che affliggono i poveri delle campagne intorno alla città di Siena. Il tutto non senza correre qualche rischio di troppo.
“La speranza è luce. L’odio è buio. L’amore e luce.”
Parole semplici che l’autrice riporta nel prologo del romanzo. È il crocevia della vita di Ghino di Tacco, si parte da lì. Da quel preciso istante la vita del ragazzo cambia, si carica sulle spalle le sorti della madre, del fratello Turino e della piccola sorella Margherita.
Il racconto varia dal punto di vista del narratore, in terza persona, a quello diretto di Ghino. Elide Ceragioli ne racconta le emozioni e il percorso di crescita, in una vita che più volte lo mette di fronte alle avversità. Ghino diventa uomo tutto d’un pezzo e il lettore ne segue la parabola fin dalla più tenera età.
Gli intermezzi tra un capitolo e l’altro permettono all’autrice di presentare la situazione politica del tempo: la città di Siena affronta un periodo di forte instabilità, contesa tra le due grandi fazioni dei guelfi e dei ghibellini che, al tempo si davano battaglia in Toscana e non solo. Le nobili famiglie del tempo, espressione del potere e delle importanti questioni politiche che ritornavano, in un modo o nell’altro, all’impero o al papato, ottenevano alterni periodi di fortuna e disgrazia. Lo scorrere del tempo accompagna il lettore fino al pontificato di Bonifacio VIII, il papa che passò alla storia per il suo rapporto burrascoso con Filippo il Bello, Re di Francia.
Se la prima parte del romanzo denota una dimensione più territoriale, intorno alla città di Siena, con la storia di Ghino, Turino e della loro famiglia, la seconda parte ha un connotato più Storico in senso ampio del termine: si affronta la questione degli ordini francescani e della loro protesta nei confronti della Chiesa; il gran rifiuto di Papa Celestino V e l’ascesa al trono papale di Bonifacio; il rapimento dell’abate di Cluny; le trattative con la corona di Francia.
“Non seppi mai, veramente, cosa avesse spinto mio padre alla ribellione e cosa inducesse mio zio e pochi altri ad imitarlo. Per noi figli, allora, era solamente un’esaltante avventura, per mia madre e mia zia il preludio di una tragedia.”
Un romanzo che tocca i temi di giustizia, vendetta, onore e lealtà in un contesto storico affascinante come quello del medioevo toscano.
Pro
L’aver voluto raccontare la storia di un personaggio meno noto come Ghino di Tacco e la sua banda di briganti
Contro
Niente di particolare da segnalare.
Trama
Tenevo stretta la mano di mia madre e di mio fratello per dar loro coraggio, un coraggio che non avevo. Adesso li ‘giustiziavano’. Giustizia! Era forse quella la Giustizia giusta? E da quale Autorità veniva? Mia madre, invece, piangeva singhiozzando e le sue lacrime cadevano, come fossero le gocce di un temporale estivo, nella terra rossa. Erano nere, cariche di fuliggine e di dolore perché, lo avevo imparato, il dolore e la morte, se non c’è speranza, sono neri. La speranza è luce. L’odio è buio. L’amore è luce.