Recensione a cura di Maria Marchesoni
“Il diavolo è un furbo, promette molto e mantiene”.
Che cosa accomuna Barbara Vellerin e Arianna Miele? A parte l’ovvio di essere entrambe donne, ben poco.
La prima è la vissuta nel Cinquecento e la seconda ai giorni nostri. Sono divise da secoli di storia e l’unico momento in cui è concesso loro di essere vicine è mentre una sfoglia antichi documenti, pagine ingiallite, fragili da custodire, da conservare accuratamente, che raccontano la storia dell’altra. In quel momento, quasi magico, sembra che le barriere tra il passato e presente cadano e, le due protagoniste del romanzo, possano guardarsi negli occhi e scoprire che non sono così diverse, molto le avvicina a cominciare dal fatto che la strada che le donne devono percorrere è sempre impervia, irta di ostacoli.
Arianna Miele è una giovane antropologa che, vinto un concorso, diviene la curatrice di una mostra dedicata alle streghe dello Sciliar, sulle Dolomiti.
La fondazione che fa capo all’intero evento è presieduta da Magnus Moser, un discendente del capitano di giustizia che, all’epoca dei fatti, si batté tenacemente per salvare le donne dalle accuse di stregoneria. Per Arianna sarà un’occasione unica per dare inizio alla sua carriera, per affermare la propria indipendenza sotto la guida di Moser, un illustre accademico.
“E ora mi aspettavano mesi e mesi di lavoro in un castello da fiaba, il Castel Presule nei pressi di Fiè allo Sciliar, sopra una piccola valle tra le Dolomiti.”
La valle dello Sciliar, tra il 1506 e il 1510, fu sconvolta da una da una caccia alle streghe che portò al rogo molte donne, circa una trentina, che tutto erano tranne ovviamente quello di cui erano accusate.
Nello studiare gli antichi resoconti dei processi, un nome colpisce Arianna, quello di Barbara Vellerin il cui destino appare non chiaro, quasi che le fosse stata concessa la possibilità di sfuggire al rogo. Chi fu il suo salvatore e perché?
Due voci raccontano quindi la vicenda. Quella di Arianna che scava nei documenti, cercando la verità che si cela dietro ogni donna accusata di stregoneria che finisce per scontrarsi con l’intransigenza di chi vuole piegare persino la Storia alle regole economiche dei nostri giorni, regalando una visione edulcorata di quella che fu la caccia alle streghe, e quella della misteriosa Barbara Vellerin che urla la sua innocenza.
Mentre l’allestimento della mostra prosegue alcune incongruenze non possono non saltare evidenti alla curiosità di Arianna, mentre Barbara diventa sempre più una figura tragica di cui scoprire l’esatto destino.
In una società patriarcale e povera come quella della valle dello Sciliar, le donne sole, rimaste senza mariti, diventano un elemento di disturbo per l’indipendenza di cui godono, un elemento d’instabilità da sradicare cui attribuire ogni calamità che si verifichi: dalle morti improvvise dei bambini ai temporali, alla siccità.
Basta poco, un sussurro, soprattutto di chi ha tutto da guadagnare nel colpire qualcuno, che le voci s’ingigantiscono e, una volta messa in moto l’Inquisizione il meccanismo innescato diventa irreversibile.
Chi erano queste streghe terribili da ardere sul rogo?
“Era un mondo di guaritrici, erbarie, levatrici, ostetriche che padroneggiavano la scienza di cosa dà e cosa toglie la vita. Conoscevano le piante e i loro principi attivi, e spesso il loro sapere si rivelava più efficace della medicina ufficiale”.
Se la verità era difficile da scoprire allora, figuriamoci quando i secoli sono passati, i documenti dispersi e difficili da reperire con qualcuno che è ostinatamente contrario ad approfondire le vicende e il ruolo tenuto dal suo antenato.
Un romanzo avvincente che pone a confronto due mondi. Katia Tenti, l‘autrice, rappresenta due donne, l’una indipendente, conoscitrice di erbe e l’altra che lotta per la propria autonomia personale e professionale che sono poi le due facce di un’unica medaglia. Il monito sotteso dell’autrice è che, il valore della verità e dell’oggettività storica, è l’obiettivo primario di chi studia questa materia per divulgarla a chi ha interesse a scoprirla.
“Cos’è una striga? Me lo sono chiesta tante volte, e mica mi sono mai risposta. Anche adesso, mica lo so, ma credo che sia perché abbiamo una forza e un sapere che gli altri non hanno e per questo chiamano magia.”
Pro
Un romanzo che si legge rapidamente, avvincente, in cui l’autrice cattura l’attenzione e la curiosità del lettore nello scoprire il mistero che si cela intorno a Barbara Vellerin.
Contro
Un contro vero e proprio non c’è, permane durante la lettura la tristezza per le morti ingiuste di tutti coloro che furono additati streghe o stregoni per ignoranza, interesse personali o economici. Pagine facili da scorrere leggendo, ma comunque vite innocenti distrutte.
Trama
A guardarlo da lontano, il castello di Fiè allo Sciliar sembra un luogo da fiaba. Scolpito nell’onice bianco, si staglia maestoso sul cielo cobalto di una valle delle Dolomiti e pare custodire le case che lo circondano. Nessuno penserebbe che tra quelle mura imponenti sia stato perpetrato un crimine orrendo, si sia svolto uno dei processi più drammatici del Cinquecento e trenta donne innocenti abbiano perso la vita sul rogo. E invece le streghe dello Sciliar sono state incarcerate nelle minuscole celle dei sotterranei del castello, sono state chiamate amanti del demonio, torturate, sono state loro estorte confessioni false, volte solo a far terminare il supplizio. E non sono state piante da nessuno, perché provare compassione per quelle donne dannate avrebbe significato autoaccusarsi. Barbara Vellerin è una di loro. Cresciuta dalla madre ai margini del villaggio per stare a contatto con la natura, i suoi primi anni di vita sono stati un incanto, tra lo studio delle piante e la cura dei bisognosi. Poi tutto è cambiato, il sospetto si è fatto strada negli occhi di coloro che prima richiedevano i suoi medicamenti e le idee di un manipolo di religiosi, per i quali ogni donna è una potenziale strega, si sono diffuse nella valle come una peste. Cinquecento anni dopo, Arianna Miele vince un concorso come curatrice di una mostra sulle streghe dello Sciliar. È la sua occasione per iniziare finalmente la carriera da antropologa che desidera, per rendersi indipendente da una famiglia che da sempre cerca di soffocarla e per dimostrare, soprattutto a sé stessa, il proprio valore. Non può sapere che, riportando alla luce le vite di un gruppo di donne che per lei all’inizio non sono altro che una lista di nomi, scoprirà una verità scomoda sull’eroe di quelle parti, il capitano del Tirolo Franziskus von Stauber, e riuscirà a dar voce, lei che una voce non l’ha avuta mai, a una donna innocente, messa a tacere dall’ipocrisia e dalla crudeltà.