Il grande detective della letteratura, colui a cui molti altri, dopo, si sono ispirati: Sherlock Holmes, protagonista dei libri di sir Doyle e ultimamente di diverse pellicole cinematografiche (l’ultima è del 2009 con Robert Downey Junior- e serie tv – quella della BBC vede Benedict Cumberbatch nei panni di Sherlock Holmes), segno che la sua fama è infinita.
Personaggio di pura fantasia comparso nella prima opera di Arthur Conan Doyle Uno studio in Rosso datata 1887. Accompagnato dalla fedele spalla Watson, piacque fin da subito. Un uomo alto e allampanato, spesso sprofondato nella poltrona con la sua pipa o intento a suonare il violino; di indole controversa e caratterizzata da costanti chiaroscuri, Holmes piacque tanto al pubblico che vi fu una vera e propria protesta quando Doyle decise di sbarazzarsene, facendolo precipitare dall’alto di una cascata insieme al suo acerrimo nemico, Moriarty (in L’ultima avventura, 1893).
L’autore dovette così scrivere un altro racconto, Il mastino dei Baskerville, che uscì tra il 1901 e il 1902 ed era ambientato prima della morte dell’investigatore. Ma questo non bastò a tacitare i lettori che pressarono a tal punto che Conan Doyle fu costretto a fingere che Holmes non fosse morto affatto, ma che si fosse tenuto nascosto per svolgere servizi segretissimi al servizio della Corona britannica (L’avventura della casa vuota).
Parliamo di un personaggio mai esistito nella realtà ma che ha in Joseph Bell il suo ispiratore.
Chi era Bell?
Nato nel 1837 (morto nel 1911) Joseph Bell era un medico, insegnava all’università di Edimburgo ed era il professore dello stesso Doyle.
Ma il dottor Bell non era un semplice medico, capace di dare responsi in tempo record, rendendosi conto di quale vita facesse il paziente che stava visitando da particolari che osservava senza aver bisogno di fare alcuna domanda.
Bell applicava in maniera arguta il metodo scientifico, basato sulla deduzione e sulla verifica delle ipotesi; sbagliava raramente le sue diagnosi mediche e spesso, nelle lezioni, rivelava particolari della vita delle persone che a occhi non attenti sarebbero di sicuro sfuggiti.
Ad esempio, quando un giorno in aula entrò una donna, il dottor Bell le chiese subito dove avesse riposto la sua pipa d’argilla. Allo stupore tanto della donna quanto dei suoi studenti, il medico portò l’attenzione dei presenti sull’ulcera del labbro inferiore della donna e sulla cicatrice da bruciatura sulla guancia sinistra.
«Sono tutti segni di una piccola pipa tenuta vicino alla guancia mentre si fuma — un comportamento tipico di una contadina che fuma mentre siede vicino al focolare».
A un paziente, chiese se gli era piaciuta la passeggiata lungo il fiume. Di fronte alla costernazione dell’uomo, Bell gli fece notare che aveva dell’argilla rossa sulle scarpe e aggiunse che un argilla di quel tipo, a Edimburgo, si trovava soltanto lungo le rive del fiume.
Lo stesso scrittore Arthur Conan Doyle cita questo aneddoto in The Five Orange Pips.
Se, dunque, nei romanzi le abilità deduttive di Sherlock Holmes possono talvolta somigliare più a delle rivelazioni divine, la Storia ci dice che la perspicacia del dottor Joseph Bell non aveva nulla di soprannaturale o di “strano”.
Era soltanto – si fa per dire – una capacità di osservazione allenata a rilevare i più piccoli dettagli che il medico poneva in relazione con il contesto e con l’ambiente e da cui riusciva a trarne delle “soluzioni”.
A riprova, poi, che fosse proprio questo medico l’ispiratore del detective Holmes, interviene lo scrittore stesso che nella sua autobiografia mette nero su bianco tale dichiarazione:
«Ho pensato al mio vecchio insegnante Joe Bell, alla sua faccia aquilina, ai suoi modi curiosi, ai suoi trucchetti per scoprire i dettagli. Se (Bell) fosse stato un detective, avrebbe sicuramente ridotto questa disorganizzata professione in qualcosa di simile a una scienza esatta».
E ancora, in una lettera spedita al professor Bell nel 1892, ammise:
«È a te che devo Sherlock Holmes».