Oggi per la rubrica dei castelli, vi portiamo in provincia di Cuneo, sulle colline di Manta, a visitare un maniero che custodisce un ciclo di affreschi meravigliosi. Dimenticate però mura e torri merlate. La struttura imponente è frutto di sovrapposizioni architettoniche che trasformarono una fortezza militare in un palazzo signorile.
Storia del castello
Nel Quattrocento, Tommaso III dei marchesi di Saluzzo, lasciò al figlio, Valerano e ai suoi successori, il castello e la villa di Manta. Pur essendo figlio illegittimo, Valerano ebbe ottimi rapporti con la famiglia del padre, tanto che divenne reggente del marchesato sino alla maggiore età del fratellastro, Ludovico.
Valerano, da cui discenderà la dinastia dei Saluzzo della Manta, trasformò il castello, nato come fortezza militare, perché potesse accogliere la sua corte. Grazie a lui fu costruita l’ala più antica che ospita la splendida Sala Baronale.
Nel 1443 alla morte di Valerano, il castello passò ai rami collaterali della famiglia e nel secolo successivo furono apportate altre modifiche. Fu costruita, adiacente alla parte più antica del maniero, l’ala orientale e in seguito un’altra ala, con grandi stanze affrescate, fu eretta a occidente, trasformando definitivamente il castello medievale in palazzo signorile. L’ala occidentale non esiste più, fu abbattuta nel 1860 ormai pericolante, per garantire stabilità al castello.
I Saluzzo della Manta mantennero il dominio sulla città e sul territorio, con alterne vicende, sino alla Rivoluzione Francese. Il castello fu poi abbandonato, fu utilizzato anche come ospedale militare durante il periodo delle campagne napoleoniche e infine nel 1860 acquistato da una nobile famiglia torinese, i Radicati di Marmorito, che riuscirono a ridare il giusto splendore all’edificio. Estintasi la famiglia dei Radicati, il castello passò ai conti Provana che lo donarono al Fai. Il castello è visitabile e permette di spaziare tra il giardino, i locali di servizio come le cucine e le cantine, ma le sale affrescate sono il punto di arrivo che lascia stupefatti.
La sala delle grottesche
Intorno al 1560, Michele Antonio Saluzzo della Manta fece costruire un grande salone di rappresentanza, il cui soffitto è decorato con stucchi, pitture a grottesche e antiche rovine ispirate alle Logge Vaticane.
Sala Baronale
L’altra meraviglia è la Sala Baronale in cui sono conservati affreschi che non solo sono testimonianza della cultura cavalleresca del tempo, ma sono anche uno degli esempi più stupefacenti di pittura tardogotica dell’Italia settentrionale, la cui realizzazione risale agli anni 1416 -1426.
Su una parete della sala, gli affreschi, rappresentano nove eroi e nove eroine, nei cui volti sarebbero ritratti i marchesi di Saluzzo e le loro consorti. Le figure, quasi a grandezza naturale, sono riccamente abbigliate secondo la moda del Quattrocento e rappresentano personaggi del mondo pagano e della letteratura biblica che a loro volta incarnano gli ideali della cavalleria. Ecco quindi Ettore che avrebbe il volto di Valerano, Alessandro Magno con i tratti di suo padre Tommaso III, ma anche Giulio Cesare, Re Davide, Re Artù, Carlo Magno. Tra le donne invece sono raffigurate cinque amazzoni e tre regine.
L’influsso della cultura francese è evidente, ma non deve stupire. Alla corte dei marchesi di Saluzzo si parlava, infatti, francese e i figli erano inviati a studiare a Parigi. Si crearono quindi dei legami molto stretti che permisero ai Saluzzo di poter contare sull’appoggio della corona francese per contrastare le mire espansionistiche dei Savoia Acaia.
Sulla parete opposta, l’affresco che raffigura la Fontana della Giovinezza in cui ci si immerge anziani e se ne esce nuovamente giovani, trae ispirazione non solo dai romanzi medievali francesi, ma anche dal Livre du Chevalier Errant, un poema scritto nel 1395 proprio dal colto marchese Tommaso III, padre di Valerano. Completa la sala un grande camino decorato con lo stemma dei Saluzzo della Manta.
Il maestro del castello della Manta.
Chi realizzò queste pitture? Gli studiosi hanno proposto il nome di alcuni artisti, Iverny, Jean Bapteur, Aimone Duce, Giacomo Jaquerio, Guglielmetto Fantini, senza però riuscire ad attribuire con certezza, a uno di essi, la paternità del ciclo pittorico della Sala Baronale. Convenzionalmente l’anonimo pittore è indicato come “il maestro della Manta”, anche se sicuramente ad aiutare nella realizzazione dell’opera, furono più maestranze.
Fantasmi
Ogni castello che si rispetti ha il suo fantasma, in quello della Manta sembra che siano ben tre le presenze che lo abitano.
Il primo è quello di una nobildonna uccisa dal marito dopo aver scoperto la sua infedeltà. Lungi dall’agire direttamente di persona, il marito non fece abbeverare per molti giorni i cavalli che conducevano la carrozza della moglie. Quando furono finalmente aggiogati, i cavalli sentendo l’odore dell’acqua si diressero verso il fiume e vi trascinarono dentro la carrozza, facendo annegare la donna. Sembra che lo spirito della nobildonna si possa incontrare nelle stanze al terzo piano e che sparga nell’aria un profumo di gelsomino. Fate attenzione però, si dice anche che sia molto dispettosa.
Il secondo spirito è quello di un giovane straniero esperto di erbe medicinali e riti magici che si sarebbe innamorato, corrisposto, della figlia del castellano. Il padre della ragazza contrario a quest’amore, costrinse la figlia a monacarsi e al giovane non restò che salire sul torrione del castello e gettarsi nel vuoto. Nelle notti di luna piena, il suo fantasma si aggira per il castello alla ricerca del suo amore perduto.
Il terzo fantasma invece è quello invece di una bellissima contadina il cui compito era quello di mantenere colme le botti di vino bianco. Quando il suo innamorato, un giovane scudiero, morì accidentalmente durante una battuta di caccia, la donna si rinchiuse nella cantina, lasciandosi morire. Sembra che il suo spirito continui ad aggirarsi nelle vicinanze del locale dove morì nelle notti di primavera.